Torna “Cronaca di una convivenza”!

Da Ornellaspagnulo82 @OrnellaSpagnulo

Sola. Quello che avevo sempre voluto: “Cosa vorresti fare da grande?” chiedeva papà. “Andare a vivere da sola”. Le altre bambine: “Sposarmi, avere figli, diventare una principessa…diventare…”. Avevo ambizioni lavorative, ero indecisa tra essere ballerina o giornalista. Di giornalisti in casa non ne avevamo. Era tutto mio quel desiderio. La tisana al limone e allo zenzero comunque non si può bere.

Così, hai voglia a ragazzi da deludere! In determinati modi. Mi bastava essere me stessa e venivo liquidata nel giro di un solo mese, 3 se ero fortunata. In 29 anni la mia relazione più seria aveva toccato i 10 mesi. E mi sono trasferita in questa casa. Quando mi sono trasferita, stavo già da 9 mesi con Daniele. Era automatico chiedergli: “Vieni con me?”, anche perché io non ci sapevo stare, da sola. Volevo, mi sarebbe piaciuto da piccola, ma anche la ballerina sarebbe stato un bel mestiere!

Daniele era incerto, non voleva condividere casa con me perché era casa mia, e si sentiva ospitato. “Ma vieni, che ci frega?”.

Tempo 6 mesi e l’ho lasciato. Volevo essere libera, per la prima volta: casa mia, amici miei, pensieri miei; mie scelte. Non stavo passando neanche un bel periodo equilibrato, diciamo. Mi è bastata la frase di un prete a farmi mettere in questione tutto quello che avevo creato e desiderato fortemente per un anno.

Ma non voglio parlare di preti, dare la colpa ad altri. L’uomo che con tanta pazienza avevo convinto a dormire, mangiare, guardare la tv dentro le mie mura domestiche, vicino a me, era andato via perché volevo riprendermi il mio spazio, forse – in qualche modo devo ancora motivare perfino a me stessa una decisione che ancora non capisco - . Bene, serena, cene a casa con amiche e amici, compresa un’ex compagna dell’università che ora sta in America, temporaneamente nella capitale, a casa mia. Via tutto quello che mi ricordava di lui.

È durata circa 3 settimane questa situazione. Poi è bastata una citofonata, alle dieci di sera. “Amore”, mi parlava dal marciapiede, siamo stati mezz’ora e più a parlare, con l’acqua nel pentolino che bolliva ininterrottamente, gli ho detto: “Se mi amavi venivi oggi pomeriggio. Lo sai che io la sera devo stare calma, per riuscire a dormire”. Ho chiuso il citofono, e tutta l’acqua era evaporata.

Mi sono stesa sul divano e ha cominciato a farmi male la schiena. Mi capita quando sono molto triste, per non dire depressa.

La mattina dopo, appena sveglia, come se niente fosse gli ho mandato un messaggio per dirgli: “Andiamo stasera a mangiare il sushi?”. E siamo tornati insieme, lui a casa sua e io a casa mia però.



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