Approvata al Senato la legge sulla tortura. Tante le perplessità, a partire dal relatore del testo. Ecco cosa viene introdotto nel codice penale.Il Senato ha approvato il DDL che introduce in Italia il reato di tortura con 231 sì e 3 astenuti, ma nella forma del reato comune e non del reato proprio del pubblico ufficiale. Questa opzione, da subito contestata nelle diverse audizioni parlamentari dall’Unione, rischia di vanificare la portata della innovazione. La norma dovrà essere cambiata nel prosieguo dell’iter alla Camera.
Il testo approvato prevede l’introduzione nel codice penale degli articoli 613-bis, che disciplina il delitto di tortura, e 613-ter, che incrimina la condotta del pubblico ufficiale che istiga altri alla commissione del fatto.
Ecco cosa prevede:
- Art. 613-bis - (Tortura) – Chiunque, con più atti di violenza o di minaccia, ovvero mediante trattamenti inumani o degradanti la dignità umana, ovvero mediante omissioni, cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza ovvero che si trovi in una condizione di minorata difesa, è punito con la reclusione da tre a dieci anni.Se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni ovvero da un incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio del servizio, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni.
Se dal fatto deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave le pene sono aumentate di un terzo e della metà in caso di lesione personale gravissima.Se dal fatto deriva la morte quale conseguenza non voluta la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte la pena è dell’ergastolo.
- Art. 613-ter – (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura). Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio il quale, nell’esercizio delle funzioni o del servizio, istiga altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l’istigazione non è accolta ovvero se l’istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
A questi si aggiungono delle modifiche ad articoli esistenti al fine di precisare che:
- Le dichiarazioni o le informazioni ottenute mediante il delitto di tortura non sono comunque utilizzabili, salvo che contro le persone accusate di tale delitto e al solo fine di provarne la responsabilità penale.
- Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che, essa rischi di essere sottoposta a tortura. Nella valutazione di tali fatti si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani.
- Non può essere riconosciuta l’immunità diplomatica ai cittadini stranieri sottoposti a
procedimento penale o condannati per il reato di tortura in altro Paese o da un tribunale
internazionale.
Diverse le reazioni all’approvazione di tale legge in Senato.
In una nota, la Giunta dell’Unione delle Camere penali si è espressa in questo modo: “L’approvazione al Senato del testo base per l’introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura, sarebbe una gran bella notizia se il prodotto legislativo fosse all’altezza delle intenzioni, ma così non è, come sta accadendo sempre più spesso. Mentre, infatti, la circostanza della introduzione per la prima volta nel nostro ordinamento del reato di tortura è attesa da trent’anni, non è meno vero che, come più volte segnalato nel corso dei lavori parlamentari dall’Unione Camere Penali Italiane, la soluzione che si sta delineando appare debole e contraddittoria. Il reato di tortura dovrebbe essere un reato proprio del pubblico ufficiale, come per altro prescritto dalla Convenzione dell’Onu fin dal 1984. Viceversa il testo approvato al Senato introduce la fattispecie come reato comune aggravato nel caso in cui sia commesso dal pubblico ufficiale. Questo è un grave errore ed una soluzione pasticciata, anche perché in questa maniera la condotta prevista finisce per sovrapporsi a quelle prese in considerazione da altri reati già esistenti, invece quel che doveva essere chiaramente e severamente sanzionato è proprio il fatto che la persona nelle mani dello Stato sia sottoposta a violenze fisiche o morali, questo per il particolare disvalore che tale fattispecie dimostra. L’auspicio dei penalisti è che la norma possa essere migliorata nel successivo passaggio parlamentare alla Camera e che tutto ciò avvenga con rapidità e senza compromessi.”
Stessa reazione da parte del Comitato Verità e giustizia per Genova.
La legge sulla tortura approvata al Senato è molto più che deludente. Diciamo pure inadeguata. L’Italia, come confermano ormai molti episodi e molti processi degli ultimi anni, è un paese nel quale appartenenti alle forze dell’ordine hanno praticato varie forme di tortura. Approvare una legge che non qualifica la tortura come reato specifico delle forze dell’ordine significa rinunciare a quell’effetto deterrente che una legge del genere dovrebbe avere.Significa fingere di vivere in un altro paese. Nella pratica è un cedimento della politica ai desiderata – in questo caso poco responsabili – dei vertici delle forze dell’ordine, che altrimenti si sarebbero sentiti messi sotto accusa, mentre è ben chiaro che una seria legge sulla tortura (che preveda anche la non prescrizione del reato) è nell’interesse di forze dell’ordine a loro pieno agio all’interno di un sistema autenticamente democratico.
Ma ciò che desta più perplessità sono i commenti di Manconi, il relatore del testo: “La mia critica non si limita ad alcune questioni, pur rilevanti, ma all’impianto ed all’ispirazione complessiva del disegno di legge a mio avviso depotenziato in misura rilevante nel suo significato, come la prospettiva e la finalità di questa normativa, a partire dalla formulazione che prevede la reiterazione degli atti di violenza, cioè il fatto che debbano essere ripetuti perché si dia la fattispecie della tortura. Il motivo fondamentale di critica è tuttavia un altro, nel provvedimento la tortura non è qualificata come reato proprio ma comune, quindi imputabile a qualunque cittadino e non solo ai titolari di funzione pubblica, cioè alle forze dell’ordine, come avviene invece in molti altri paesi occidentali. Senza questa previsione il provvedimento ne risulta devitalizzato”.
Parole di soddisfazione provengono dal PD, in particolare dal Senatore Felice Casson: “Il divieto di tortura entra finalmente tra i reati previsti in Italia. L’uso della tortura e ogni trattamento umiliante e degradante rappresentano la negazione di tutti i diritti umani. Il divieto di tortura è un principio che appartiene al nucleo fondamentale del diritto internazionale dei diritti dell’uomo come espressione diretta del valore della dignità umana, consacra un valore fondamentale nella società democratica e costituisce il contenuto di una norma imperativa del diritto internazionale generale”.
Scommettiamo che qualcuno tra questi neanche l’ha letta la legge?
- Foto di Nicola Gesualdo