Tournée è un film sull’essere fuori dal tempo, con le attrici che ballano il burlesque degli anni ’30, con Amalric che ha i baffi anni ’70, con una magnifica sequenza finale che sembra venire fuori da ciò che resta nella memoria di Shining, con un albergo vuoto e retrò messo su un'isola deserta. Parigi per una volta (e in modo per l'appunto polemico) non è la protagonista, c'è - e sarebbe meglio non ci fosse - solo per essere insultata e deturpata; tutto, però, gira intorno alla capitale, in un grande autoesilio senza fine, con piccole e tristi città di mare di cui si vede pochissimo e un'unica grande periferia-nazione popolata da persone escluse dal bachetto e condannate a destini di estraneità ed esilio.
Il cinema, in fondo, è condannato a percepire e a raccontare tutto. Amalric, invece, sceglie la marginalità come sistema di rappresentazione, prima ancora che come condizione di vita: mette al centro della scena uomini e donne destinati a restarne ai margini e prova a dar loro una terra promessa da attraversare. L'esito è un urlo selvaggio che potrebbe nascere dalla disperazione, ma pure, al tempo stesso, l'inizio di una canzone esaltante che attesti l'orgoglio di esserci ancora e di continuare a viaggiare.