La necessità di superare l’individualismo intellettuale, di indentificare dei padri prima di decidere se ammazzarli, la consapevolezza di essere figli della televisione molto più che di letture condivise (considerazione più lieve di quella contenuta nel manifesto dell’Avant-pop, che sottolineava l’egemonia televisiva a scapito delle stesse influenze famigliari): linee condivisibili. L’appello è scritto con qualche pretesa formale, con delle riprese interne che ne rendono piacevole la lettura: l’uso delle iniziali TQ per sviluppare i punti di discussione è un’accortezza che si apprezza e che ci si aspetta da scrittori e persone operanti nel mondo della letteratura.
‘Trenta quaranta’, che è il senso della sigla, per definire le coordinate anagrafiche dei partecipanti al movimento; ‘tale e quale’, per sottolineare l’assenza di identità che caratterizza questi tempi tormentati; ‘tanto quanto’: la cultura ‘bassa’ è il sostrato comune a tutti, su quella ‘alta’ s’ha da lavorare; ‘Tarantino Quentin’, referente ineludibile ma anche spunto di riflessione sulla necessità di un supporto mediatico alla propaganda di un manifesto culturale; ‘tutto questo’ il materiale di cui discutere e su cui confrontarsi.
E poi ancora, nell’appello si parla degli esperti che soppiantano gli intellettuali, dell’etica che sostituisce l’impegno, della cultura surclassata dalla comunicazione e come la letteratura dal mercato, così come la linea d’ombra è un’immagine sostituita dall’idea del futuro. Non sempre
il vincolo enigmistico delle iniziali (pur non impossibile da gestire) e il gioco delle sostituzioni terminologiche degenerative vengono sfruttati al servizio del contenuto. Insomma, l’esercizio di stile va un po’ a scapito del senso, ma va ancora bene, perché si tratta di intellettuali, e non di esperti della comunicazione (giusto?).
E poi mobilitarsi per smuovere la stantia cultura degli anni ’10 è cosa buona. Sarebbe cosa ottima, in realtà, se fosse gestita al meglio. Ma così non pare, dato che a questo appello (pubblicato sul Domenicale del «Sole24ore» il 18 aprile 2011) ha dato seguito, con l’incontro presso la sede romana dell’un tempo barese Laterza, la pubblicazione di un Manifesto tripartito a mio avviso discutibile.
Ha una impostazione molto politicizzata, questo Manifesto TQ, infatti rinnega le istanze estetiche (ma non si sta parlando anche di letteratura?), e questo potrebbe anche andare (ammesso che si accetti il rifiuto del berlusconismo come presupposto culturale e non alla stregua di una proposta culinaria inadeguata – leggi ‘cavoli a merenda’), ma quello che dà più fastidio è leggere senza riuscire a scrollarsi di dosso la sensazione che i proponenti abbiano voluto strizzare in un corpetto di sette pagine la carne in abbondanza (poi messa, insieme, al fuoco) di tutti i temi in grado di far indignare delle abbondanti fette di popolazione: la considerazione della cultura come «bene comune» alla stregua dell’acqua (in periodo post-mobilitazione referendaria), la bibliodiversità (oggi che di è sensibili alla difference), la lotta al precariato (oggi).
E poi il «sonno della ragione», espressione logora, l’«ecologia culturale», il «merito», la «filiera editoriale» (e basta!). Un guazzabuglio di temi caldi e tiepidi, sentiti e seguiti, e nessun riferimento alle forme della letteratura, ai contenuti. D’accordo, è un movimento culturale e non solo letterario, ma si può pretendere di smuovere qualcosa, qualsiasi cosa, senza dire, in fin dei conti, nulla di originale né di fattibile? Seminari di discussione, lotta al precariato intellettuale, incontri in carcere e CIE (centri di identificazione ed espulsione): come? Quando? Con quali mezzi? In quale modo?
Non ho quarant’anni e nemmeno ancora trenta, ma ho visto propositi migliori e più realizzabili sgonfiarsi prima di andare oltre il primo soffio (di speranza).