Secondo i seguaci di Pitagora, che erano insieme filosofi e matematici, i moti circolari degli astri, analogamente alle vibrazioni delle corde di uno strumento musicale, producono suoni; i periodi e le velocità dei moti e le distanze fra i corpi celesti essendo regolati da quegli stessi rapporti matematici che definiscono gli accordi musicali armonici, generano suoni ‘consonanti’ (σύμφωνοι, sỳmphōnoi), in una parola: musica. Noi non siamo in grado di percepire questa melodia cosmica perché ad essa siamo assuefatti fin dalla nascita.
L’empirista Aristotele respinse questa teoria. Nessuna musica è originata dagli astri proprio perché noi non la udiamo: bisogna abbandonare queste mere speculazioni matematiche, smentite dalla concreta testimonianza dei sensi.
Ma la teoria sopravvisse dentro le varie forme assunte dal pitagorismo, che ha percorso una lunga fase della storia del pensiero come un fiume sotterraneo. Questo riemerge prepotente quando l’aristotelismo, la tradizione che fino ad allora aveva prevalso, entra in crisi e si avverte l’esigenza di una ‘rinascita’ del pensiero: a tale scopo antiche idee vengono riprese e riformulate.
Johannes Kepler (1571-1630), uno dei padri fondatori della ‘nuova scienza’, è fra i più convinti sostenitori della necessità di riprendere e rinnovare la tradizione dei pitagorici. Come per questi antichi filosofi, anche a giudizio di Kepler la matematica è la chiave d’accesso ai segreti dell’Universo, la cui struttura non è costituita, a suo avviso, dalla gerarchia delle ‘forme’ aristoteliche, ma dai rapporti matematici fra gli oggetti: la conformazione geometrica dello spazio, le relazioni funzionali espresse in equazioni, i nessi calcolabili di causa ed effetto, realizzano l’oggettività del mondo, non le ‘sostanze’ di Aristotele.
E, come i pitagorici, anche Kepler vede nelle consonanze musicali un paradigma della struttura del cosmo e considera il godimento estetico che si prova nell’ascolto una conseguenza della bellezza intrinseca dei rapporti numerici che le determinano: armonia musicale e bellezza matematica sono la stessa cosa. Per Kepler, allora, decifrare l’ordine dell’Universo è come leggere uno spartito musicale: i caratteri della lingua nella quale il ‘gran libro della Natura’ è stato scritto, non sono solo le figure della geometria ma anche i rapporti matematici sottesi alle armonie e consonanze sonore. La teoria musicale funge dunque da guida nella scoperta dell’assetto del mondo.
Con i suoi movimenti regolati da semplici ed eleganti relazioni matematiche è come se l’Universo eseguisse un magnifico concerto, composto da un Artefice, che è sommo geometra, matematico e musicista. Ma questo concerto non può essere udito dall’orecchio, non, come per gli ingenui pitagorici, perché esso è assuefatto, ma perché l’’Armonia’ che lo compone è ‘sentita’ dall’Anima e udibile solo da Essa.
L’‘Armonia’ dell’Universo non è un oggetto dell’esperienza esterna, ma è, platonicamente, innata nell’Anima.
Come può l’orecchio sensibile giudicare fra sequenze di suoni che alcuni di essi sono accordi armonici, consonanze? Lo può fare solo perché questi sono già presenti in forma pura, come rapporti matematici, nell’anima, che dunque può ‘riconoscerli’ fra gli altri, mediante il processo della ‘reminiscenza’, quando li esperisce mediante il senso. L’armonia sensibile, che è ‘immagine’, esecuzione difettosa dell’’Armonia’ ideale, perché sconta l’imperfezione inerente alla materialità dello strumento, non è l’effetto solo di una percezione passiva del senso, non è prodotta dalla mera sequenza dei suoni, che in realtà costituiscono soltanto la sua ‘materia’, ma reca in sé il contributo dell’attività ‘formante’ dell’anima: questa è in fondo la sua vera origine, perché l’anima la trae da stessa, in conformità alle relazioni matematiche pure che le sono innate, quando è stimolata dal senso. Il piacere provato ascoltando la musica, che deriva da questa attività spontanea dell’anima, dalla sua ‘eccitazione’ per il ‘bello’ che le si ridesta dentro, è dunque al tempo stesso un godimento sensibile e intellettuale.
Trovare, anzi ‘ritrovare’, nell’Universo i rapporti matematici che lo regolano e costituiscono è come fare ’riascoltare’ alla propria anima, che sola può sentirlo, il sublime concerto ‘silente’ composto dall’Assoluto, il massimo fra i musicisti: il piacere e la gioia intellettuale intensi che si ricavano da questa ‘riscoperta’, sono gli alimenti più consoni allo spirito umano.
Kepler dedicò la vita alla ricerca delle relazioni costitutive dell’’Armonia’ dell’Universo e il suo impegno fu coronato dal successo scientifico. Egli, infatti, accolse pienamente l’istanza empirista di Aristotele, sottoponendo le proprie speculazioni matematiche, alcune in verità fantasiose, ad una rigorosa verifica mediante l’esperienza. Ciò gli permise, mediante un uso proficuo dei suoi principi euristici , di conseguire quei risultati, le sue famose tre leggi, che fornirono le basi per la teoria di Newton e che ancora oggi stanno a fondamento dell’astronomia.
La sinergia tra congetture matematiche e verifica empirica è una delle caratteristiche della scienza moderna, nata nel diciassettesimo secolo. E se la ‘matematizzazione della natura’, ossia la scoperta dei rapporti funzionali fra i fenomeni del mondo, è il suo risultato più notevole, non c’è dubbio che un contributo ad esso fu dato anche dalla passione per la musica di uno scienziato geniale.
Featured image, Giovanni Keplero nel 1610.
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