La sentenza del Tribunale dell’Aquila che ha condannato per omicidio colposo plurimo i membri della Commissione Grandi Rischi è stata, a sua volta, giudicata e condannata prima ancora di essere letta. La stampa internazionale grida allo scandalo, accusando la giurisprudenza italiana di posizioni medievali, e Corrado Clini evoca il precedente di Galileo Galilei. Il ministro dell’ambiente si spinge oltre, ipotizzando i contenuti della pronuncia: «se il motivo è che non hanno fatto una previsione esatta del terremoto, questo è assurdo. Spero che l’appello ribalti tutto».
Clini non ha applicato a se stesso il principio di precauzione, spingendosi in una difesa a oltranza degli imputati senza aver ancora letto l’addebito che è stato loro mosso. Soprattutto, senza avere informazioni complete sulla vicenda oggetto di giudizio. Prontamente bacchettato dal presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Clini è stato subito smentito dalle parole pronunciate da Guido Bertolaso pochi giorni dopo la terribile scossa del 6 aprile 2009, oggi riprese dai principali quotidiani: nel corso di una telefonata intercettata per ben noti motivi correlati, l’ex capo della Protezione civile diceva a Enzo Boschi che la verità sul sisma “non si può dire”. Durante la criptica conversazione, Bertolaso ha invitato Boschi a fare «il comunicato stampa con le solite cose che si possono dire sull’argomento». L’importante, a quanto pare, era non parlare della “vera ragione” della riunione pre-sisma della Commissione Grandi Rischi. Boschi, dal canto suo, ha rassicurato Bertolaso, promettendogli un atteggiamento «estremamente collaborativo».
Impossibile non pensare che proprio tra le pieghe dell’atteggiamento estremamente collaborativo e degli inquietanti contenuti della verità negata si celino le dimensioni esatte delle responsabilità penale della Commissione. Non sapremo mai quale fosse la verità innominabile che non poteva essere resa pubblica: se il rischio di una scossa catastrofica o quello del possibile cedimento della diga di Campotosto, se l’imperdonabile sottovalutazione della vita di centinaia di persone o la decisione, altrettanto colpevole, del silenzio.
Una cosa è certa: tra Galileo e la Commissione Grandi Rischi “estremamente collaborativa” c’è un abisso, non solo perché Galilei fu condannato da una Chiesa cattolica tuttora considerata come un valido interlocutore politico, ma soprattutto perché tra scienza e connivenza c’è una differenza abissale. Gli scienziati della Commissione vicina a Bertolaso sono stati condannati per essere stati colposamente complici di un sistema fondato sull’omissione e sulla speculazione, dove i mancati allerta si sono cumulati a case fragili, tendopoli, new town e imprenditori colti da crisi di riso notturne.
Nessun giudice condannerebbe uno scienziato per non aver previsto l’imprevedibile. Il Tribunale dell’Aquila, aderendo a un indirizzo sempre più seguito, ha condannato per non aver previsto il prevedibile: il rischio concreto, probabile, di seri danni alle persone e alle strutture abitative, legato a uno sciame sismico che si manifestava ininterrotto da più di quattro mesi.
Il principio di precauzione si pone forse tra scienza e oscurantismo, ma nella vicenda dei trecentonove morti dell’Aquila il vero problema è la verità oscurata, tradita, occultata da Bertolaso e dalla sua commissione “estremamente collaborativa” di esperti. I giudici dell’Aquila hanno individuato una nuova specie di regole cautelari, fondate sull’etica della responsabilità. Non conosciamo ancora, beninteso, i termini esatti della colpevolezza degli esperti, ma siamo già in grado di valutare l’irresponsabilità di un rischio consapevolmente minimizzato, la subalternità degli scienziati – che ora rivendicano la libertà del sapere – ai diktat della cricca bertolasica. E ancora una volta il paragone cliniano con Galileo è del tutto fuori luogo: la Commissione Grandi Rischi ha abiurato non la scienza, ma la coscienza.