I reati ipotizzati vanno dalla frode in commercio alla bancarotta fraudolenta, passando per truffa, turbativa d'asta, abuso d'ufficio, peculato, falso e favoreggiamento reale, inseriti in un dossier di 229 pagine consegnato al procuratore della Repubblica di Ragusa Carmelo Petralia.
Gli accertamenti hanno anche permesso l'individuazione di una frode alimentare commessa da tre operatori del settore, che avrebbero messo in commercio nei mercati del Nord Italia circa 27 tonnellate di pomodorini prodotti ufficialmente in Italia ma di provenienza tunisina, attraverso il passaggio tra varie aziende gestite dagli indagati, necessari a rendere più difficili i controlli sulla filiera. Le indagini si sono concentrate in particolare su molti casi di doppia attività dei commissari, che non solo svolgevano il loro compito di intermediazione ma si inserivano nella filiera anche come compratori – direttamente o attraverso società esterne a loro collegate - riuscendo così ad abbassare i prezzi pagati ai produttori. Da accertare, inoltre, il numero di licenze di concessionario ortofrutticolo rilasciate a persone che non ne avrebbero avuto i requisiti previsti dalla legge.
Ancora aperto il filone d'inchiesta volto ad individuare eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata.
«Se le responsabilità saranno accertate» - commentano dalla Coldiretti - «all'inganno nei confronti dei cosumatori italiani che pensavano di acquistare pomodorini siciliani, si aggiunge il danno gravissimo provocato all'economia siciliana e ad uno dei suoi prodotti più tipici». È anche per effetto dei pomodorini tunisini spacciati per italiani, dicono dalla Coldiretti, che la produzione locale è crollata di oltre un terzo dallo scorso anno, costringendo alla chiusura molte aziende.