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Tra la via Emilia e il Clan, Anno giudiziario: rischi di colonizzazione della mafia in Emilia-Romagna

Creato il 26 gennaio 2013 da Bernardrieux @pierrebarilli1
Tra la via Emilia e il Clan, Anno giudiziario: rischi di colonizzazione della mafia in Emilia-Romagna «L'incidenza della crisi economica ha interessato anche settori imprenditoriali costituiti da una fitta rete di imprese medio-piccole, che adesso sono in grande difficoltà per le restrizioni creditizie, e che potrebbero essere acquisite dalle organizzazioni mafiose che certamente non hanno problemi di liquidità». Il pg di Bologna Emilio Ledonne, in occasione dell'inaugurazione dell'Anno giudiziario, riporta l'Ansa, ha rinnovato anche quest’anno l’allarme sui rischi di infiltrazione mafiosa in Emilia-Romagna. «Se l’operazione – ha aggiunto – dovesse andare a buon fine, assisteremmo ad una vera e propria opera di colonizzazione di importanti strutture imprenditoriali che cambierebbero proprietà per diventare, nella migliore delle ipotesi, imprese a partecipazione mafiosa». Ledonne ha ricordato in questo senso l’inchiesta della Dda bolognese sulla 'Ndrangheta conclusa pochi giorni fa con 29 ordinanze di custodia a carico anche di persone che, con le loro minacce, portarono anche a mettere sotto tutela il giornalista della Gazzetta di Modena Giovanni Tizian.
Tra la via Emilia e il Clan, Anno giudiziario: rischi di colonizzazione della mafia in Emilia-Romagna Fin qui la notizia dell'Ansa, in realtà la questione merita un approfondimento a partire dall'ultimo -anno 2012- Rapporto sulla mafia Emilia Romagna (per il testo integrale clicca qui) e un lavoro di gruppo sulle "Le mafie in movimento" (per il testo integrale clicca qui)
Tra la via Emilia e il Clan, Anno giudiziario: rischi di colonizzazione della mafia in Emilia-Romagna Ad integrazione, ripubblichiamo - qui sotto a seguire - un nostro post sull'iniziativa contro la mafia in Emilia Romagna, organizzata dalla sezione locale di Rifondazione Comunista  al Ridotto del Magnani il 5 novembre 2010.
L'Emilia Romagna è terra di mafia. Lo è da decenni. Non è una realtà dove le mafie hanno un controllo "militare" del territorio, bensì dove le mafie fanno i loro affari, quelli illeciti e quelli nell'ambito della cosiddetta 'economia legale'. Parte della classe politica e imprenditoriale, centrata per lungo tempo su un monopolio impenetrabile e spregiudicato, ha garantito quel terreno fertile per permettere alle cosche di trovare uno spazio sicuro per i propri affari. "E' importante non dimenticare che criminalità organizzata non è solo violenza, estorsioni, omicidi, ma è sopratutto nelle realtà come la nostra, penetrazione nella economia legale e nel mercato attraverso il riciclaggio del denaro". Esistono molti modi di affrontare il problema dell'infiltrazione della criminalità organizzata a casa nostra, qui,  nell'addormentata bassa padana.  Il modo scelto da Cristian Abbondanza e Enrico D'Agostino è quello di   mai cadere nella retorica ma raccontare fatti, nomi, circostanze, collegamenti della criminalità organizzata     partendo dalla premessa iniziale.   Ieri sera al Ridotto del Magnani, all'incontro organizzato da Rifondazione Comunista dal titolo "TRA LA VIA EMILA E IL CLAN", non erano in tanti ad ascoltare una verità da troppi taciuta: "è attraverso lo strumento dell'appalto e sopratutto del subappalto che l'economia legale viene pesantemente infiltrata e condizionata da quella illegale". Una brutta storia. Dai dati della Procura Nazionale Antimafia, raccontano i due relatori,  in Emilia-Romagna,  a partire dagli anni ottanta, hanno messo radici potenti organizzazioni criminali.  Riassumendo il tanto che è stato detto, diciamo che se oggi 'Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra, Sacra Corona Unita fanno strutturalmente parte dell'economia dell'intero territorio regionale, non è un caso. Questo è potuto accadere perché quando vi è un monopolio nella gestione del potere politico ed economico come quello che abbiamo conosciuto nella "rossa" Emilia-Romagna,  il sistema si incancrenisce. Se poi osserviamo quello che è successo nelle cooperative edilizie emiliano-romagnole, dove il potere politico era strettamente collegato, o addirittura un tutt'uno, con il potere economico, il corto circuito è devastante. Non è finita. Quando amministratori pubblici, funzionari comunali, progettisti, costruttori, gestori delle principali imprese di servizi e di attività commerciali, sono espressione del medesimo "gruppo", la commistione di interessi si fa sistema e piega, senza alcuna resistenza, l'interesse pubblico a quello del "gruppo". Drammaticamente, se vuoi fare impresa o semplicemente lavorare, o sei dentro questo sistema ed esisti o sei fuori e non esisti. Per entrarvi o restarvi occorre stringere un patto di accettazione del ricatto. Quello emiliano è un modello basato sulla cooperazione e la cooptazione. Al centro della vita sociale stanno le relazioni e l'appartenenza ai  gruppi di pressione. Ciò avviene perché si è accettato che venisse. Stringere patti con le mafie, attraverso uomini-cerniera, ed accettare che i loro capitali  attivando una commistione di interessi significa anche il venir meno della trasparenza e la correttezza della pubblica amministrazione da un lato, e dall'altro il mercato è bloccato, chiuso. In questo contesto, succede, è successo, che le mafie si fanno direttamente parte del sistema politico ed economico. Il "sistema" emiliano è proprio questo, i due relatori hanno cercato di spiegare, attraverso nomi e fatti, questa realtà.  Noi, un poco preoccupati, abbiamo solo tentato di raccontarvi un venerdì sera non qualunque.  Meno male che Rifondazione c'è. http://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane

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