Gira e rigira la birra tra le mani, mentre ricorda quella lunga giornata che non dimenticherà facilmente. Quel giorno in carcere, colpa della “ganja” trovata in casa e di una legge che non permette la coltivazione delle piantine per prepararsi qualche canna. Ma questa è un’altra storia, sebbene abbia interessato direttamente un alessandrino – che per riservatezza chiameremo Mario – arrestato e detenuto un giorno al Don Soria. Quell’esperienza gli ha aperto gli occhi sul mondo carcerario vissuto in prima persona, conclusosi con un bell’esempio di solidarietà fuori dal comune. 600 grammi di marjiuana sono fi n troppi per una persona sola. Lo dice la legge. I Carabinieri fermano due persone in auto, nelle campagne del Monferrato casalese. L’odore inconfondibile li inguaia: dritti in caserma per accertamenti. “Ho trascorso la notte senza dormire per continui interrogatori. Poi all’alba è scattata la perquisizione domiciliare”, racconta il 38enne il quale aveva già messo in conto che, prima o poi, tutto questo sarebbe capitato. Consegnata spontaneamente la marjiuana, i militari hanno proceduto. “Sei in arresto”. Giusto il tempo di prendere un cambio, salutare gli increduli genitori e, in manette, è stato portato al comando. Foto, impronte e trasferimento al “Don Soria”. “Lì mi hanno fatto spogliare completamente ed inginocchiare su uno specchio per controllare tutto”, racconta Mario, che non aveva ancora chiuso occhio né mangiato dalla sera prima. Nella piccola stanza 3 del braccio B, con lui, erano in sei. Tre letti a castello, angolo con bagno e fornelli. C’era un piccolo televisore e la radio. “Erano tutti italiani, chi da Acqui Terme, chi dal Sud”. Uno di pochissime parole si diceva fosse di un clan mafi oso, gli altri erano ladri e rapinatori. Forse per la sua faccia da bravo ragazzo, Mario riceve subito solidarietà concreta. “Mi hanno dato pantaloni corti per resistere al caldo, sigarette, bibite e mi hanno poi cucinato qualcosa di più sostanzioso della cena a base di riso bianco e un bicchier d’acqua che passava il cacere”. Tutte cose portate dall’esterno. Dentro, gli extra si pagano con una specie di carta di credito. I soldi arrivano dai famigliari. Il tempo trascorre lento; lo si fa passare conversando (“facevano a gara a chi era stato nel carcere peggiore, si parlava di politica e della condizione carceraria in genere”), leggendo (“avevo portato un libro di Slavoj Zizek che poi ho regalato loro a fi ne detenzione”), o disegnando: “un compagno di cella aveva ritratto la fi danzata”. Nell’unica notte Mario è crollato, stremato. Il giorno dopo sveglia alle sette: tutti in cortile per l’ispezione a sorpresa delle celle. Poi il colloquio con il GIP e l’avvocato, e la successiva scarcerazione con obbligo di fi rma per 50 giorni. Il processo, nell’aprile 2011 con rito abbreviato lo vede condannato per 10 mesi con la condizionale. Ma la solidarietà ricevuta tra le quattro mura lo ha colpito nel profondo, così tanto da sentirsi in debito con chi lo ha aiutato, senza giudizi morali. Appena libero ha mandato un vaglia con 70 euro indirizzato ad uno degli amici carcerati, da dividere con i “coinquilini”.
Per aiutare i carcerati ci si può rivolgere al cappellano del carcere San Michele, don Giuseppe Bodrati, nella parrocchia di San Michele Arcangelo, in via Remotti (fraz. San Michele).