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Tra le righe del cinema italiano, intervista a Pippo Mezzapesa

Creato il 10 aprile 2014 da Ilovegreen @ilovegreen_blog

Pippo Mezzapesa

A chi critica i social network perché alienano gli individui, rispondo che spesso, al contrario, li avvicinano, offrendo nuove e interessanti possibilità di condivisione e confronto. Una premessa per dirvi che io Pippo Mezzapesa l’ho conosciuto così, ho visto il suo (bellissimo) film Il Paese delle Spose Infelici, gli ho scritto su Facebook per dirgli quello che pensavo, mi ha risposto, abbiamo chiacchierato un po’ e come accade tutte le volte che incontro una bella persona, penso che dare ad altri la possibilità di conoscerla meglio sia un po’ un dovere.

Per sintetizzare. Di lui Wikipedia dice: Regista, sceneggiatore e produttore (Fanfara Film) ha conseguito la maturità classica e si è laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bari. Nel 2011 firma la sceneggiatura e la regia del suo primo lungometraggio di finzione Il paese delle spose infelici tratto dall’omonimo romanzo di Mario Desiati. Storia di formazione, all’ombra dei fumi dell’ILVA di Taranto. Il film prodotto da Fandango e Rai Cinema è selezionato nel concorso ufficiale del Festival Internazionale del Film di Roma. Nel 2012 produce, scrive e cura la regia del film documentario Pinuccio Lovero – Yes I can, sulla candidatura alle elezioni comunali del becchino Pinuccio Lovero con un programma tutto cimiteriale. Il film è selezionato in concorso nella sezione Prospettiva Italia del Festival Internazionale del Film di Roma. Sempre nel 2012 realizza il documentario breve settanTA, ritratto di una giornata particolare all’ombra delle ciminiere dell’Ilva, nel quartiere Tamburi di Taranto. Il cortometraggio ottiene la candidatura ai David di Donatello e vince il Nastro d’Argento.

E ora lascio parlare un po’ lui…

Quando hai iniziato a fare cinema cosa avevi urgenza di raccontare?
Ho iniziato come molti con un cortometraggio. Si intitolava Lido Azzurro. Avevo voglia di dare vita alle storie e ai personaggi che creavo nella cantina della mia casa, luogo in cui scrivevo continuamente. Si trattava di storie per lo più ispirate alla realtà, ma non sapevo come riuscire a farle venir fuori dalla memoria del mio pc. Ero molto attratto da quello che facevano dei miei amici al DAMS di Bologna. Realizzavano cortometraggi indipendenti e giravano per festival, mentre io ero imprigionato in una scelta universitaria sbagliata e poco audace (giurisprudenza). Grazie all’aiuto del mio amico Vito Palmieri (anche lui regista), del mio dop Michele D’Attanasio e all’incoraggiamento di una famiglia che ha sempre assecondato la mia voglia di sperimentare nella vita, con alcune centinaia di migliaia di lire ho girato il mio primo corto, minuscolo, Lido Azzurro appunto. Ha vinto ovunque, il primo a premiarlo è stato un Sorrentino agli inizi, al festival di Bra. Questo mi ha fatto comprendere che forse era il caso di continuare a ricercare storie da raccontare.

Ti sei cimentato con documentari, cortometraggi e lungometraggi, quale tra questi senti più affine alla tua idea di cinema e perché?
Io credo che ogni storia abbia un suo linguaggio, un suo modo di essere raccontata e anche una sua durata ideale. Oltre al fatto che ogni racconto nasce da circostanze e da esigenze diverse. Pensiamo a Pinuccio Lovero – Sogno di una morte di mezza estate il mio film sul becchino di un paese in cui non muore mai nessuno. Quando ho saputo che Pinuccio era stato assunto in un cimitero (coronando il suo sogno d’infanzia) ma non riusciva a togliersi la soddisfazione di seppellire alcun morto, avevo due strade. La prima consisteva nel creare una storia per un film di finzione, con sceneggiatura e dialoghi scritti e il personaggio di Pinuccio interpretato da un vero attore. Questa strada per un attimo l’ho anche considerata: sognavo John Turturro nei panni di Pinuccio… Poi mi sono reso conto che quella che avevo per le mani era materia viva, il personaggio di Pinuccio difficilmente replicabile e la vicenda si stava svolgendo proprio in quei giorni. Mi è venuta l’ansia di catturare il momento, ho riunito i miei collaboratori e ci siamo chiusi per un’estate nel cimitero di Mariotto, aspettando il primo defunto…che non è mai arrivato. Questo film dunque poteva essere girato in due modi assai differenti eppure comunque validi. Ho deciso di farlo attraverso il documentario, con incursioni nel cinema di finzione, un ibrido. In altri casi mi sono affidato al cinema del reale nudo e crudo o alla finzione più spinta, ma è sempre stata una scelta dettata da storia e personaggi da raccontare. Una scelta obbligata.

Sei reduce da una bell’avventura ai Nastri D’Argento, con una meritata vittoria per SettanTA, un premio aiuta a farsi strada nelle troppo strette vie del cinema italiano?
Non del tutto. Io ho vinto il David di Donatello e il Nastro d’Argento, oltre ad aver partecipato a festival importanti come Venezia e Roma, ma è difficile che di colpo le vie si allarghino.  Devi sempre farti strada a fatica. Soprattutto per chi come me e come molti altri miei colleghi, vuole a tutti i costi mantenere una propria coerenza narrativa. Poi viviamo in un’epoca in cui per tutti è facile girare dei film, musicisti, scrittori, presentatori televisivi, attori, calciatori, tranne che per chi si è formato come regista. Ma noi aspettiamo fiduciosi che i premi tornino ad avere il loro peso (…e anche i registi).

Essere e mantenersi registi indipendenti che difficoltà comporta?
Ah perché, sono un regista indipendente? Io non so bene cosa significhi regista indipendente, soprattutto in Italia. Dico solo che se significa fare film con pochi soldi, come è successo a volte a me, l’indipendenza non è sinonimo di libertà ma di ristrettezza e rinuncia. Sto ancora lottando per assicurarmi la possibilità di utilizzare una canzone sui titoli di coda di Pinuccio Lovero – Yes I Can (a breve nelle sale) che forse non potrò permettermi. E non si parla di cifre galattiche, ma comunque insostenibili. E’ forse questa l’indipendenza? Non ne sono sicuro, forse sì, chissà.

Sarai presto nelle sale con il tuo nuovo film Pinuccio Lovero. Yes I can. Pinuccio è una vecchia conoscenza, già protagonista di Sogno di una morte di mezza estate,  quale messaggio gli affidi in questa nuova avventura?
Non credo molto nei messaggi, a dire la verità. Di base c’è che Pinuccio Lovero è un personaggio che adoro e con la sua innata leggerezza e genuinità mi conduce in territori minati, senza l’ansia di poter saltare in aria da un momento all’altro. Mi permette di parlare di temi come la morte, la politica, lo stravolgimento dei sogni di un uomo semplice da parte dei media, con una naturalezza e una freschezza uniche. In Pinuccio si mescolano naturalmente ironia e malinconia, in modo struggente, e questa secondo me è una prerogativa della vera commedia (e non la farsa a cui sempre più ci stiamo abituando). In più Pinuccio riesce a farmi osservare il mondo con i suoi occhi e sono convinto che sia in grado di tirar fuori il meglio di me sia come regista che come uomo.

La sala o il web? Come vedi il tuo futuro da regista italiano?
Per me alla base di tutto ci sono le idee, le storie e il modo in cui queste vengono tradotte in immagini. Bisogna cercare di dare forza a queste immagini. Se si riesce a fare questo qualsiasi fruitore potrà emozionarsi dove meglio crede: in una sala o su un tablet.

Tra le righe del cinema italiano, intervista a Pippo Mezzapesa


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