Tra orrore e crociate.

Da Suddegenere

L’Italia non accetta tradizioni che violano i diritti delle donne…” dice la Carfagna. Quindi possiamo parlare anche di quelle cattoliche, oppure vale solo per le altre?Vogliamo parlare del ruolo della donna visto dalla Santa Sede, di come la Chiesa interpreta il  diritto delle donne ad autodeterminarsi e ad essere cittadine, il  diritto a scegliere tempi e modi e ad esistere?

Ricevo in posta:

“L’8 marzo di quest’anno  le donne di Novi, tra cui alcune dell’UDI,  sono andate ad invitare le famiglie di stranieri residenti nel loro paese ad  un pranzo multiculturale, organizzato dal Comune, pranzo preparato da  una  pakistana, una  cinese, una  marocchina e  un’italiana.

Quando hanno bussato alla casa di Begm Shnez per invitare tutti, anche gli uomini, il marito avrebbe  detto: “signora non si avvicini mai più alla mia casa perché noi le ragazze e le donne le teniamo in casa. “

Segregare le donne in casa, tenerle chiuse e sotto controllo è una tendenza comune al patriarcato in tutte le latitudini e  le donne devono faticare molto, spesso pagare con la vita un NO per sé e per le proprie figlie. A noi donne italiane basta guardarci indietro, appena alle spalle, per sapere quanta strada abbiamo fatto, ma anche quanta rimane da fare se la prima causa di morte rimane per tutte il FEMMINICIDIO.

Per questo saremo in tante alla fiaccolata a Novi Sabato 9 ottobre, come in tante siamo state venerdì scorso alla fiaccolata di Portici per Teresa. Un ‘altra donna, un’altra madre che ha pagato con la vita l’aver denunciato il violentatore della figlia.

Per info: Odette De Caroli – UDI Carpi

Il comunicato di Udi Modena, lo trovate qui

Da una nota di Monica Lanfranco invece:

“Siamo di nuove di fronte alla morte di una donna, e al grave ferimento di un’altra per mano di un familiare.

Siamo di nuovo di fronte al femminicidio e alla violenza in nome e per conto del senso di possesso maschile delle vite femminili.

Siamo di nuovo di fronte al criminale intreccio tra ossequio della tradizione patriarcale e negazione dei diritti inalienabili della persona: come nel terribile caso di Hina Salem e di Sanaa Dafani  anche qui la parte maschile di una famiglia di migranti pakistani ha cercato di mettere a tacere la ribellione di una giovane contro una visione fondamentalista della religione e della tradizione, che vuole ogni donna destinata a vivere senza poter decidere di sé e della sua libertà.

Vicino a Modena un migrante pakistano, di fronte all’ennesimo rifiuto della figlia destinata ad un matrimonio combinato si è accanito, uccidendola, prima sulla moglie, che con coraggio appoggiava la figlia ventenne, e poi con l’aiuto del figlio ha cercato di sopprimere la ragazza, che per fortuna, pur gravemente ferita, non è morta sotto le percosse.

Ancora una volta la disobbedienza alle leggi maschili è stata pagata con il sangue e con la vita.In questa vicenda però c’è un fatto importante:  una madre ha cercato di sostenere le ragioni di libertà di sua figlia, ed è da questo che pensiamo sia importante trarre un grande segnale.

Moltissime donne migranti guardano alle libertà femminili conquistate con lotte durissime in occidente (ma non solo) con speranza e come ad una grande opportunità: le giovani, ma non solo, sperano e sognano di poter studiare, lavorare, non sottostare alle violente simbologie patriarcali e religiose, di scegliere liberamente se e quando diventare mogli e madri.

Per molte di loro tornare in Italia sotto una pesante tradizione significa perdere quei diritti che in alcuni dei loro Paesi di origine sono ormai legge.Se l’Italia è davvero un Paese libero (almeno in parte) deve dare opportunità soprattutto a queste speranze, che sono quelle delle nuove e future cittadine italiane.

A chi oggi prenderà spunto da questo  drammatico episodio per rilanciare la crociata contro la migrazione, colpendo indiscriminatamente tutta la comunità migrante, diciamo che questa non è la strada giusta, che è razzismo. Vogliamo vivere in un Paese accogliente, capace di aiutare chi è più debole e dove la cittadinanza sia un diritto per chiunque, a prescindere dalla provenienza geografica.

A chi invocherà la doppia morale sostenendo che la tradizione va sempre  rispettata, che le culture diverse vanno tutte seguite senza alcuna critica (e che per questo non è legittimo intervenire in faccende ‘private’ quando ci sono conflitti che riguardano le scelte delle donne nelle famiglie) diciamo che né la tradizione né la religione possono diventare un’arma mortale contro chicchessia.

I diritti delle donne non sono ancora considerati diritti umani in molti Paesi del mondo. Troppo spesso, quando si tratta di diritti delle donne, e in particolare di corpo, di sessualità, di relazioni tra donne e uomini la difesa dei diritti cede il passo ai moltissime ‘se’ e agli infiniti ‘ma’ del relativismo culturale, persino nel nome della democrazia e della tolleranza.Accogliere, incoraggiare, difendere il rifiuto da parte delle donne migranti dell’oppressione (della quale sono vittime nel nome della tradizione e della religione) non solo le aiuterà a trovare la loro libertà, ma offre a noi italiane, che abbiamo costruito o avuto in eredità i preziosi diritti di autodeterminazione, la possibilità di riaffermarli ed estenderli come gesto politico di responsabilità e di civiltà.  La violenza contro le donne è barbarie. La libertà delle donne è civiltà.

Prime adesioniTiziana Dal Pra, Associazione Trama di Terre (Imola), Monica Lanfranco, Rivista Marea, Dounia Ettaib, Associazione DarisPer aderire mandare mail a monica.lanfranco@gmail.com”"

Per ogni femminicidio dovremmo costituirci tutte parte civile, e certo sarebbe un bel segnale se lo facessero le istituzioni (penso a sindaci, comuni, province, regioni) per fare in modo che il riconoscimento della violenza di genere e la sua lotta non siano un fatto puramente formale e di immagine.