mercoledì 26 dicembre 2012 di Riccardo Ferrante
Abattoir.it vuole rilanciare. Dopo le terribili festività natalizie, il mattatoio vuole farvi un regalo. Non sarà uno sproloquio sul consumismo o sull’inutilità dell’opulenza e della pelliccia di visone. Nessuna “filippica”, niente vene gonfie sul collo e sputacchiate in faccia agli interlocutori. Vogliamo parlare di un incontro e trasferirne digitalmente il dialogo. Ciò contiene in sé ogni invettiva contro il mondo (o almeno quella parte che se lo merita) ma lo fa con il sorriso di un bambino stampato in faccia. E come i bambini sa essere violento e spregiudicato, senza rispetto né timore nei confronti dei più forti.
Abbiamo intervistato Ludovico Caldarera, uomo dalle innumerevoli esperienze nel mondo del teatro. Dal diploma alla scuola Teatès di Michele Perriera, ai tour siciliani con Lapa Teatro e Teatro Vagante, fino ad arrivare alla creazione del Teatrino delle beffe nel 1995 a Palermo. Questa piccola ma incisiva realtà palermitana nasce dal desiderio di Ludovico e compagni di confrontarsi principalmente (e con più piacere) con un pubblico composto da bambini, perché, come sostiene lui stesso: «i bambini non ti prendono per il culo».
Ludovico, il Teatrino delle Beffe è in attività dal 1995 e non ti sei mai prestato a logiche di marketing e di promozione commerciale della tua attività. Il concetto che ci viene subito in mente è quello di “resistenza”. Per chi resisti? E perché sei sempre rimasto in Sicilia, in particolar modo, a Palermo?
Ho sempre lavorato nella massima trasparenza e onestà, abbiamo sempre diviso equamente tutti i guadagni. Potremmo dire che, nel corso degli anni, sono sempre stato una sorta di impiegato comunale, ho sempre pagato i contributi, la SIAE, ecc. A prescindere dalle differenti amministrazioni politiche ho sempre lavorato pur non essendo mai stato raccomandato da nessuno. Un episodio che vi posso raccontare è un dialogo avuto alcuni anni fa con un assessore comunale che mi chiedeva, con fare ammiccante e traffichino, se per caso io avessi qualche santo in paradiso. Io vengo da Bisacquino, dal paese, chi dovevo conoscere? Gli dissi che non avevo santi. Ma, a sua insaputa, l’assessore mi diede uno spunto di riflessione e intitolai la rassegna teatrale seguente: Non abbiamo santi in paradiso!
Non ho mai chiuso l’attività e non me ne sono mai andato dalla Sicilia per vari motivi. Il primo è la famiglia: quando avevo ventinove anni è nato mio figlio e non potevo lasciare tutto. Il secondo motivo è che sugnu tistuni (“sono testardo”, n.d.a.). Non per chissà quale spirito di appartenenza o patriottismo… semplicemente faccio quello che mi sembra giusto, a modo mio.
Oggi quale potrebbe essere il modo giusto?
Io penso che il modo migliore sia essere onesti prima di tutto con se stessi e con gli altri. È una lotta, una lotta che conduco a modo mio. Le mie battaglie le faccio sul palco, ma non ho nessun messaggio. Io voglio solo raccontare una storia, come faceva mio nonno quando mi cuntava u cuntu (“mi raccontava la storia”, n.d.a.), per me era la cosa più bella. I miei genitori erano emigrati in Germania e io ho vissuto lì fino a sei anni, figuratevi che avevo persino una baby-sitter che parlava solo tedesco! A sei anni i miei nonni mi presero con loro in Sicilia, a Bisacquino, e cambiai radicalmente modo di vivere. In paese si è sempre in contatto con la natura, con gli animali e il lavoro dei campi. La cosa che preferivo di più era lavorare il grano guidando il mulo in tondo nella stalla dove venivano pestate le spighe. Spesso, le sere d’estate, io e mio nonno restavamo nella stalla e dormivamo sopra la paglia morbida e lui mi raccontava molte storie. La cosa più bella che mi disse una volta, circondati dalla paglia, guardando il cielo stellato è stata: «Come si fa a non essere felici avendo un cielo di stelle e un muro di paglia?».
Quello che ho vissuto in campagna è stato importantissimo per capire quali sono le cose vere e durature e quali non lo sono. I bambini che vivono in città queste cose non le possono comprendere.
Perché ti sei dedicato completamente al teatro per bambini?
Penso che sia l’esperienza più bella perché c’è un rapporto onesto. I bambini sono onesti e sinceri. Le loro critiche sono quelle che fanno crescere perché dicono sempre la verità. Inoltre, credo che i bambini abbiano bisogno di fare teatro. Le persone hanno la necessità di ascoltare delle storie su cui possono fantasticare e hanno bisogno di qualcuno che insegni loro con coerenza e rispetto. Quando faccio il burbero o l’incazzato con i bambini, durante i corsi di teatro, è perché ne ho motivo, perché evidentemente hanno sbagliato e loro lo sanno e apprezzano anche questi rimproveri, perché io motivo ogni mia azione e loro ne comprendono il senso e mi vogliono bene per questo. Perché la vera battaglia secondo me è essere coerenti con se stessi.
Da dove nasce il tuo amore per le narrazioni e per il teatro?
Da piccolo, nella stalla in cui lavoravamo d’estate io e mio nonno, una sera ci venne a trovare un amico e mise in scena una sorta di spettacolo. In quella atmosfera semplice e allo stesso tempo suggestiva, immersi nella natura e nei racconti, forse posso dire che proprio in quel momento sia nato il mio amore per il teatro. Mi sento molto fortunato ad avere vissuto questa esperienza. Il contatto diretto con la natura e queste esperienze condivise con mio nonno nelle campagne siciliane hanno creato dei ricordi indelebili nella mia mente. Mi fanno stare più sereno. Qualunque cosa fai nella vita sono momenti che poi spariscono. La cosa bella è che il cervello è come una sorta di vecchia macchina fotografica in cui ogni momento viene fotografato. La sera, a letto, quando ricordo il mio passato mi rilasso, ed è come se sfogliassi un album.
- Ringrazio Noemi Venturella. Senza la sua preziosa collaborazione questa intervista non sarebbe mai stata fatta -
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