Belgio, 1968
12 minuti
Interessante e curioso esordio di Chantal Akerman. Questo primo cortometraggio è un esperimento goliardico, ma dal quale emergono già lo stile e i temi che influenzeranno le successive opere della cineasta belga, specialmente in attinenza a quelle realizzate negli anni Settanta, il suo periodo più sperimentale.
Dodici minuti, ma essenziali per l'integrazione nel succitato percorso formativo, durante i quali una giovanissima Akerman, barricatasi nella cucina del suo appartamento canticchiando, è lei stessa protagonista di una convulsa sequela di azioni che non vengono mai portate a termine (come iniziare a mangiare un piatto di pasta per lasciarlo poi a metà, e iniziare di colpo a scaraventare oggetti a terra, o mettersi a lucidare le scarpe - e non solo quelle), eccetto quella di farsi esplodere, nell'epilogo, adagiata sui fornelli del gas. Un continuo ed incalzante gioco scandito tra l'euforia e la noia; principio dell'azione e demolizione della stessa, tratteggiante fin dal principio una personalità inquieta ed enigmatica (Les Rendez-vous d'Anna, ad esempio). Perchè lo specchio, sul quale la regista si riflette dopo essersi versata della maionese addosso, non può che svelare quel disagio celato in profondità, manifestandosi come l'anticamera ai futuri scompigli interiori che pervaderanno film quali Je tu il elle (1974), dove l'isolamento della protagonista (anche lì la stessa Akerman) e la scansione dello spazio, sono rappresentati ancor più claustrofobicamente, e il capolavoro Jeanne Dielman, 23, quai du commerce, 1080 Bruxelles (1975), dove la soffocante routine quotidiana e l'ossessione maniacale, non possono che condurre a conseguenze estreme.
Bon amusement!