Traccia madreperlacea

Creato il 04 novembre 2014 da Povna @povna

Quando, oramai quasi quattro anni fa, la ‘povna chiese, e ottenne, di prendersi sulle spalle i Merry Men e di portarseli al triennio, era consapevole che l’esperimento sarebbe stato difficile (lo è stato), tosto (lo è stato), entusiasmante (lo è stato), ma sapeva, soprattutto, che stava imbastendo una scommessa su un modo di fare didattica in continuità (si dice “verticale”, con un tecnicismo) dalle potenzialità straordinarie. Perché poter immaginare la propria programmazione non su uno solo, ma più anni, in materie come Italiano, Storia, Educazione Civica, significa tessere paziente e progressiva un’epica di classe capace da un lato di poggiare sui piloni solidi di principi irrinunciabili, dall’altro di adattarsi, mutevole e cangiante, ai meccanismi improvvisi della trama. Il che significa, tradotto, che – se da una parte la ‘povna ha preso strade senza uscita, deviazioni, ingorghi, trovandosi a riaggiustare il tiro più e più volte – dall’altra i fili rossi del loro quotidiano in classe sono stati tirati con pazienza, alcune volte lanciando ponti di legami evidenti, nel tempo e nello spazio, altre invece lasciando che qualcosa che si era provato a seminare riposasse, carsico, nel tempo, ad aspettare il giorno di una matura fioritura.
Oggi, durante le due ore che hanno avuto in mezzo al bosco (poiché una serie di eventi inderogabili li hanno cacciati dalla casa sull’albero, costringendoli a tornare nella radura della terza), è stato uno di quei giorni in cui, per ben tre volte, la ‘povna ha sentito spalancarsi, improvvisa, la sensazione di avere ben cucito la loro storia, in questi anni; provando naturale, eppure da lasciare a bocca aperta, la consapevolezza elettrizzante di un intreccio che si tiene.
Succede così che, mentre fanno storia, si devii a parlare della guerra fredda, e da lì all’atomica è un salto: ed è a quel punto che Stuffy – mentre la ‘povna racconta loro di Hiroshima, Nagasaki e di Vonnegut – prorompe in un naturale: “Già, non abbiamo mai davvero parlato, di questo“. E in quel corsivo c’è tutto: la consapevolezza di un percorso di temi civili che li accompagna dall’inizio, il fatto che quei tasselli hanno costruito educazione e fatto senso, e quello, ben più importante, che solo così si costruisce la relazione di cittadinanza, che è pure, a ben guardare (e i Merry Men questo lo sanno) il senso primo e ultimo della parola “scuola”. La ‘povna sorride, il tempo di rispondergli: “Hai ragione, ci costruisco qualcosa, è importante”.
“E poi ci facciamo il tema” – chiusa lui, che pure odia scrivere.
Ma non c’è tempo per sorridere di nuovo, perché oggi è giorno di doni a piene mani. Risuccede a proposito della lettura di testi di Leopardi: “Ne leggiamo così pochi?” – la parola corre di nuovo a Stuffy. E ancora una volta la ‘povna – che pure sa che del poeta han letto bene, e tanto (e dunque non potrà che rispondergli che “purtroppo, no, questa volta si fa basta”) – si delizia di una forma mentis che ha costruito per loro, passo passo – quella per cui “italiano” non sono le sue parole, o i riassuntini banali e storicistici da manuali inutili, ma opere dirette: testi, parole, tanti – perché “fare letteratura” vuol dir quello, e non costruire, per orecchie che poi saranno forzatamente stanche, stucche parodie di inarrivabili Bignami.
Ma è sul finire dell’ora che una giornata già risolta sfiora la compunzione cosmica. Si inizia a parlare di letteratura fantastica. Si tratta di un genere cui la ‘povna si è dedicata, dalla seconda, sotto traccia, già pensando alla quinta, perché sapeva che questo modo letterario, così europeo e ottocentesco (e, va da sé, bistrattato dalla scuola ottusamente passatista), può costruire un’ottima cerniera tra otto e novecento, contribuendo a spiegare, nelle sue facce insieme rigorose e multiformi, il concetto stesso di modernità letteraria.
“Cominciamo oggi a parlare di un genere” – esordisce – “nuovo per l’Italia, ma anche per l’Ottocento. In realtà però, per coloro tra voi che sono con noi fin dall’inizio, non è una novità, realmente, perché alcune delle letture fatte, anno per anno, puntavano ad arrivare proprio qua”.
Ed è in quel momento che arriva, pacata, eppure sicura, la voce educata di Rebecca (colei che detiene il libro degli appunti – la loro assidua, ironica, eccezionale memoria storica di classe):
“Allora è la letteratura fantastica”.
La ‘povna, semplicemente, gode.

Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato
non può fallire nel ritrovarti.
Ognuno riconosce i suoi: l’orgoglio
non era fuga, l’umiltà non era
vile, il tenue bagliore strofinato
laggiù non era quello di un fiammifero.
(E. Montale, Piccolo testamento)


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