La sera c’era Planet Rock e poi, al suo posto, Suoni e Ultrasuoni. Ecco, nel 96 direi ancora Planet Rock, ma posso anche ricordare male.
Comunque quella volta mandarano Govinda e grazie a quel tripudio di tamboura e tablas tutto sembrò improvvisamente meraviglioso.
I Kula Shaker arrivarono e con K, l’album d’esordio, spazzarono via tutti. Gli Oasis – che erano ancora gli Oasis – sembrarono vecchi, superati, travolti dall’esuberanza di Crispian Mills e soci.
Govinda era un pezzo con un testo interamente in sanscrito e finì in top 10: inutile dire che non c’erano precedenti. Persino i Beatles – che grazie a George Harrison quel territorio lo bazzicarono con una trentina d’anni d’anticipo – certe cose, e anche più coraggiose musicalmente, le cantarono in inglese.
K è molto probabilmente uno dei dieci album più belli di un decennio, i Novanta, in cui davvero è uscita tanta roba di qualità. Talmente bello, K, da risultare irraggiungibile e irripetibile per gli stessi Kula Shaker, ché quando si arriva subito così in alto tremano i polsi e, a voler stare lassù, il rischio è di cadere e farsi male. Ora infatti vivono e suonano nell’ombra, i Kula Shaker, ma quindici anni fa, per un po’, sono rimasti lassù, praticamente da soli.