4 novembre 2013 di Redazione
di Brizio Montinaro
©Gianfranco Budano: Paesaggio Salentino
Il nostro territorio è disseminato di costruzioni che si potrebbero definire “architettura della tradizione” caratterizzate da sistemi costruttivi e materiali tradizionali, spesso realizzate spontaneamente secondo logiche di autocostruzione utilizzando materiali reperiti in loco o a pochissima distanza (concetto molto sostenibile), costruzioni nella maggior parte semplici nelle finiture ma complesse da un punto di vista tecnico-costruttivo (volte a botte, volte leccesi di vario tipo, ecc). I materiali usati erano tufi, pietra leccese, calce, intonaco a base di calce, intonaci a base di terra argillosa e calce, coccio-pesto, graniglie battute, ed i sistemi a complemento abitativo erano pergolati, sistema di raccolta delle acque in cisterne, sistemi di compostaggio dei rifiuti organici, ecc. Tutti i materiale e i dispositivi qui citati frettolosamente hanno pieno titolo ad essere considerati Architettura Bioecologica.
Cos’è successo allora di tanto grave negli ultimi 50 anni?
Sicuramente l’allontanamento da tecniche e materiali del costruire naturale e la “giustapposizione” edilizia con utilizzo di materiali e tecniche non sempre idonee alla congruità del sistema edilizio esistente e dei nuovi insediamenti. Sia ben chiaro nessun ostracismo verso tecniche e tecnologie contemporanee (cemento, acciaio, vetro, legno lamellare, ecc.), semmai un uso appropriato ed in scala con gli interventi.
La “giustapposizione” edilizia è il fenomeno più ricorrente che spesso deturpa sia il contesto urbano che quello rurale; possiamo notare come edilizia “voltata” sia stata “addizionata” a edilizia semplificata con solai latero-cemento, la cui durata massima si può valutare dai 20 ai 60 anni a seconda della capacità costruttiva degli operatori edili. Sarebbe interessante un’indagine statistica di quante costruzioni simili, a causa di cedimento strutturale, siano state già oggetto di intervento di ristrutturazione, spesso abbattimento e ricostruzione del solaio medesimo con tutti gli svantaggi economici ed i disagi derivanti da tali interventi.
Spesso col mero intento di risanare vetusti edifici insalubri (ottima motivazione), si operava danneggiando irrimediabilmente l’organismo edilizio con il risultato “della cura peggiore del male”. Si potrebbe obiettare che le tecniche ed i materiali un tempo non erano idonei, chi può garantire oggi il contrario?
Comunque la riflessione obbliga ad un analisi diacronica del nostro patrimonio edilizio, analisi frutto di studi spazio-temporali sulle addizioni e sottrazioni storiche degli edifici, tradotto in parole molto semplici buona parte del patrimonio architettonico mondiale, risulta ai nostri occhi come “unicum” e spesso quell’unicum è stato oggetto di interventi successivi nel tempo e nello spazio; ebbene per quanto concerne edifici storici tali interventi erano studiati o oggetto di armonizzazioni forzate, sfido molti non specialisti che facciano una passeggiata a Firenze a rendersi effettivamente conto di quanti e quali parti degli edifici sono veramente coevi al Rinascimento; si possono di contro ben notare anche a Firenze stessa il frutto di interventi dignitosi riconoscibili perché appartenenti ad epoche storiche diverse ed altrettanto interessanti.
Voglio quindi sottolineare che tale articolo non è ispirato al peggior isterismo degli anni del “postmodernismo” in architettura (movimento degli anni ’80) che ha prodotto il peggio sotto l’egida della “memoria del passato” (timpani e colonnine in cemento armato, ecc.) in una sorta di ad libidum autoironico, una memoria così accelerata nella rivisitazione che è giunta perfino a rimembrare F.Ll.Wright, no l’architettura non può essere solo autoironia!
…”neppure il paesaggio è statico, il mutamento è la sua caratteristica immutabile“…
(F.Ll.Wright)
Tornando al nostro territorio e girovagando per il Salento quante delle addizioni e sottrazioni nel nostro panorama edilizio ci emozionano per la loro attenta integrazione? Se la risposta è quella che immaginiamo tutti dovremo attivarci perché le trasformazioni future vadano nella direzione più sostenibile da un punta di vista culturale ed attivarci perché implicazioni urbanistiche (vedi indici, calcolo dei volumi e altezze) non condizionino tali trasformazioni fino ad appiattire le volte trasformandole in banali solai per edifici a “wafers”.
E’ giunto il momento di sollecitare il cambiamento di tali norme a livello regionale, solo pochi comuni con nuovi strumenti urbanistici (P.R.G., anche se ora ne sono cambiate le denominazioni) hanno introdotto pallide norme a salvaguardia del diritto-dovere della tutela di una tipologia edilizia voltata, norme che non penalizzano nelle potenzialità degli indici di fabbricabilità concedibili.
Le leggi urbanistiche ed edilizie si dovrebbero porre l’obiettivo di regolamentare il carico urbanistico, ab/mq, che tradotto è il rapporto di abitanti sulla sommatoria dei metri quadri del territorio preso in considerazione e di salvaguardare principi igienico-sanitari relazionati alle altezze, volumetrie e rapporti aero-illuminanti; da tutto ciò scaturisce il costo degli oneri di urbanizzazione (ex legge Bucalossi). Possiamo riflettere su che danno reca una volumetria voltata? Nessuno, in quanto il carico urbanistico (ab/mq) e gli oneri urbanistici sarebbero uguali, mentre si avvantaggerebbe il rapporto aero illuminante, con vantaggi per gli aspetti igienico-sanitari.
In verità qualcosa si muove nella nostra regione, infatti esiste già la Legge Regionale n. 23 del 13-08-1998
“Nuove modalità di calcolo delle volumetrie edilizie, dei rapporti di copertura, delle altezze e delle distanze limitatamente ai casi di aumento degli spessori dei tamponamenti perimetrali ed orizzontali, per il perseguimento di maggiori livelli di coibentazione termo- acustica o di inerzia termica”
Perché limitarla solo a questo?
In sintesi perché l’edilizia bioecologica si possa attuare in maniera sistemica presuppone un approccio di formazione pedagogica nei confronti delle nuove generazioni per una formazione delle coscienze; richiede approfondimenti sulla cultura del costruire per mezzo di insegnamenti, ricerca ed applicazioni e non può prescindere da una politica edilizia che genera una nuova pianificazione territoriale già in atto in molte regioni.
Nel dettaglio:
- richiede approfondimenti sul “clima abitativo” legato alle problematiche dell’umidità e temperatura degli ambienti in relazione ai materiali edili;
- affronta il problema tecnologico dei materiali bio-eco-edili (coibenza, igroscopia, ventilazione, agenti tossici e proprietà biologiche, acustiche ed elettriche);
- interviene sulla parte impiantistica (bioecologica) idrosanitaria, termica ed elettrica;
- impianti di smaltimento di bio-fitodepurazione e impianti di accumulo;
- apporto energetico fotovoltaico;
- inquinamento in-door ed allergie;
- costi-benefici.
Problematiche complementari sono:
- arredamento e mobili;
- acustica e rumore;
- luce naturale;
- illuminazione artificiale;
- colore;
Argomenti più opinabili ma non da sottovalutare sono:
- spazio, forma e misure;
- fisiologia dell’abitare;
- psicologia dell’abitare.
Il diritto e le normative di riferimento sono frutto di percorsi attivati da nazioni e regioni particolarmente sensibili alla cultura della edilizia bioecologica è interessante di come anche il panorama nazionale si vada uniformando a tale trend. Svolgono un ruolo importantissimo le associazioni ed istituti che contribuiscono a diffondere, formare, informare codificando tecniche costruttive e capitolati bio-edili. Sarebbe auspicabile che le amministrazioni pubbliche contribuissero a supportare il cittadino ed il professionista del progetto nella informazione finalizzata a finanziamenti, provinciali, regionali, nazionali e comunitari, indirizzati ad incentivare l’edilizia bioecologica e le soluzioni ecocompatibili verso la logica dell’ecosviluppo(*).
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Ecosviluppo
“uno sviluppo endogeno e basato sulle proprie forze (self-reliant); sottomesso alla logica dei bisogni dell’intera popolazione e non della produzione elevata a fine in sé, e finalmente cosciente della propria dimensione ecologica e alla ricerca di un’armonia tra uomo e natura” (Assemblea Generale delle Nazioni Unite 1975).
Brizio Montinaro architetto
Tricase, 21 ottobre 2002