Dal 1888, data di pubblicazione del romanzo, un’esigenza si è fatta sempre più stringente: quella di non sacrificare la “tradizione” e la letteratura a favore della verosimiglianza e del realismo, senza però accantonare quest’ultimo, al fine di rimanere protetti e avvolti da un ambiente dal sapore sicuramente letterario; il giallo, insomma, ha rappresentato un rischio per le sue innumerevoli firme: oltre alla solita etichetta di “para-letteratura”, ricordiamo quella di “letteratura da tranvai” che Augusto De Angelis, maestro del genere poliziesco, gli attribuì in un suo pezzo di bravura in Giobbe Tuama &Co, incentrato sulla morte dell’astuto venditore Giobbe Tuama e sulle indagini del commissario De Vincenzi.
Il giallista si muove, dunque, tra la sicurezza del codice letterario e il rischio, la novità della verosimiglianza, fra tradizione e mimesi. I linguisti Ugo Vignuzzi e Patrizia Bertini Malgarini affrontano la questione in Perugia in Giallo 2007. Indagini sul poliziesco italiano, sostenendo che il giallo all’italiana ha avuto la sua rivincita con il già citato Camilleri e che solo con lui è riuscito, seppur non del tutto, a convincere la critica:
«[…] Negli anni più vicini a noi […] il giallo all’italiana è senz’altro sotto il segno di Andrea Camilleri, che è stato, almeno per il grande pubblico, colui che lo ha riportato alla ribalta e soprattutto colui che lo ha fatto uscire dai confini di un genere “minore”, riservato a lettori appassionati, ma spesso anche, più o meno apertamente, dispregiati dalla critica mainstream: si aveva a che fare pur sempre con letteratura […] “ferroviaria”».
Il polo “alto” della tradizione vanta illustri esempi; non sono rari, infatti, i casi in cui vengono trascritti interi versi della letteratura italiana: Giorgio Scerbanenco riprende Salvatore Quasimodo, quando in «Lorenza desiderava solo che lui tornasse a fare il medico, lui lo desiderava molto meno. Trafitto da un raggio di sole […] risalì in auto, e dal finestrino fece una carezza sul viso a Lorenza» adatta al genere prosastico “trafitto da un raggio di sole” della celebre Ed è subito sera. In altre circostanze, invece, è proprio lo stile a nutrirsi della retorica: si pensi alle terne che permettono a De Angelis di realizzare un climax ascendente o discendente, a seconda dei casi, come nel già citato pezzo di bravura di Giobbe Tuama & Co; qui l’autore scrive: «Le autorità che debbono inaugurare la Fiera del Libro non sono ancora giunte [si noti l’utilizzo del verbo “giungere” in luogo di “arrivare”, che è senz’altro più marcato diafasicamente verso il basso ndr]», prima del costrutto ternario: «I commessidi libreria, gli impiegatidelle Case Editrici, gli Autoridanno febbrilmente gli ultimi tocchi alle mostre sui banchi». Sono soltanto pochi casi, ma mettono in evidenza che, pur essendo alla ricerca di una lingua verosimile – non di rado incastrata, purtroppo, in un dialetto stereotipato – gli autori del giallo non rinunciano alla tradizione.
«Siamo persuasi – si legge nel capitolo La lingua del giallo all’italiana tra mimesi e tradizione di Perugia in giallo 2007 – che questa letteratura […] costituisca un punto di osservazione privilegiato per la ricostruzione linguistica del secolo appena trascorso e della contemporaneità in atto, nella tensione che essa propone di continuo tra la volontà […] di non rompere con la tradizione e la necessità di una scrittura “popolare”che non si allontani troppo dalla realtà che intende descrivere».
Oltre al dialetto, infatti, è possibile trovare in gran parte di questa produzione – e non solo – elementi di italiano popolare e neostandard che si mescolano all’artificio della tradizione, per un impasto che sa realmente di “tensione” tra due poli. Qui prenderemo in considerazione soltanto il pezzo di bravura che il capostipite del genere giallo, Giorgio Scerbanenco, ha inserito in Venere privata, primo romanzo del ciclo Duca Lamberti: Prologo per una commessa; l’autore ha modo di mettere in evidenza le proprie capacità, in un dialogo in presa diretta tra alcuni giornalisti e un anziano che ha scoperto una donna morta, prima dell’intervento delle forze dell’ordine.
Già l’inizio – «Come si chiama lei?» «Marangoni Antonio, io sto lì, alla Cascina Luasca, sono più di cinquant'anni che tutte le mattine vado a Rogoredo in bicicletta» – vanta ben due tratti di italiano non propriamente standard, oltre all’utilizzo della deissi in «io sto lì», tipica più del parlato che dello scritto, e comunque vicinissima allo stile teatrale: l’anziano si presenta prima con il cognome e poi con il nome; si tratta di un uso tutto burocratico che contrasta con la norma, perché “Antonio appartiene ai Marangoni” e non viceversa. Per di più, è presente una frase scissa – «sono più di cinquant’anni che tutte le mattine vado a Rogodero» -, propria ancora una volta del parlato e annoverata fra i tratti del nuovo italiano, “neostandard” o “tendenziale” che dir si voglia: l’autore cerca di mettere in evidenza la prima parte della frase a discapito della seconda; avrebbe potuto scrivere “da cinquant’anni vado tutte le mattine a Rogodero”, ma non lo ha fatto: ha scomposto una preposizione in ben due frasi, attraverso “che”, parola “tuttofare” per eccellenza della nostra lingua.
Il dialogo tra i giornalisti, che da una parte vogliono andar via e dall’altra vogliono restare per ascoltare le informazioni del testimone, prosegue così, tra una frase scissa e l’altra, non senza dislocazioni a destra e sinistra, e ripetizioni delle battute; non è rara neanche la messa in evidenza del soggetto: «Non state a perdere tempo con questi vecchi, torniamo al giornale» «È lui che ha scoperto la ragazza, ce la può descrivere, se no dobbiamo passare all'obitorio e siamo in ritardo» «Io l'ho vista quando è arrivata l'ambulanza, era vestita di celeste» «Vestita di celeste. Capelli?» «Scuri, ma non neri» «Scuri, ma non neri» e poi ancora: «Quando sono arrivato io si sentiva odore di sangue» «Dica, dica, signor Marangoni» «Si sentiva odore di sangue». Ledislocazioni sono evidenti –«quando sono arrivato io» pone il soggetto alla fine della frase e non all’inizio, come la struttura naturale dell’ordine delle parole in italiano, e in genere di quasi tutte le lingue del mondo, vorrebbe –; il pronome soggetto messo in risalto, anche. Ciò che preme sottolineare, però, è proprio la ripetizione delle frasi dell’anziano da parte del giornalista, che appunta, ovviamente, ciò che sente: è un botta e risposta velocissimo, non c’è dubbio; non ha nulla dello scritto, eppure Venere Privata è un romanzo.
Tutto confluirà, poi, nelle informazioni che gli agenti raccoglieranno nel verbale, una volta che la scena cambierà i suoi protagonisti:«Alberta Radelli – così esordisce il carabiniere –, ventitré anni, commessa, trovata a Metanopoli, località cascina Luasca, il cadavere è stato scoperto alle cinque e mezzo del mattino dal signor Marangoni Antonio, abito celeste, capelli scuri ma non neri, occhiali rotondi, io comincio a telefonare questo, poi torno a riprenderti» «Allora ho sentito che dentro la scarpa c'era il piede e sono rimasto male, ho scostato tutte quelle erbacce e l'ho vista, si capiva subito che era morta [da notare, tra l’altro, che “ho scostato tutte quelle erbacce” richiama – secondo Vignuzzi e la Bertini Malgarini – la frase “ho trovato tutti quei fiaschi di Vino” di un pezzo di Italo Calvino del 1955 ndr]».
Sospeso fra tradizione e popolo, insomma, il giallo porta con sé le tracce di una lingua che mai si arresta nel suo lento, e talvolta bizzarro, divenire. D’altra parte, qualsiasi testo, se letto senza pregiudizi e con spirito critico, porta senz’altro la sua testimonianza nella storia del cambiamento.
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