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Tradizioni di famiglia: la salsa fatta in casa

Da Davideciaccia @FailCaffe
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Tradizioni di famiglia: la salsa fatta in casa

Al sud, le notti d’estate sono sempre magiche. Ma ce ne sono alcune davvero indimenticabili. Fare la salsa in casa, a casa mia, è una tradizione che si tramanda da generazioni. Ho deciso di raccontarvi questa esperienza perché non si perda nell’oblio, e perché, a dirla tutta, è veramente una storia straordinaria. 

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È ora!/andiamo!/e sopra/il tavolo, nel mezzo/dell’estate,/il pomodoro,/astro della terra,/stella/ricorrente/e feconda,/ci mostra/le sue circonvoluzioni,/i suoi canali,/l’insigne pienezza/e l’abbondanza/senza ossa,/senza corazza,/senza squame né spine,/ci offre/il dono/del suo colore focoso/e la totalità della sua freschezza.

(Pablo Neruda, Ode al pomodoro)

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Arriva sempre un momento, durante le calde giornate d’estate, in cui le donne della mia famiglia si riuniscono. In genere succede verso la fine di agosto, quando le serate iniziano ad essere un po’ più fresche e la pioggia di settembre è ancora uno spettro lontano. Si riuniscono e la domanda è: “Meh, l’a ma fè la sals cuss ann?” (Dunque, la fine dell’estate giunge, quando pensiamo di fare la salsa quest’anno?”). Seguono varie valutazioni di ordine generale: “E c la va fè?” (Ci saranno abbastanza collaboratori disponibili a dare una mano? Avremo le forze necessarie?). Ma si finisce sempre con la considerazione : “ E com’e jè la ma fè!” (In qualche modo ce la faremo!).

A questo punto si parte con la logistica. Per fare la salsa si riunisce tutta la famiglia (allargata): nonni, zii e cugini. I miei nonni sono i detentori delle conoscenze più ataviche che riguardano punti chiave come la contrattazione sul prezzo per i sei quintali e passa di pomodori, la distribuzione dei compiti tra i vari collaboratori, la collocazione dei bidoni e l’arrangiamento delle bottiglie per la cottura finale e vari altri dettagli che scoprirete più avanti. In questo momento viviamo una fase di transizione, e mia madre inizia a prendere il posto di organizzatrice generale dell’evento. Di conseguenza tutti gli altri aiutanti passano di grado, come in un vero esercito organizzato!

Per fare la salsa servono circa tre giorni.

Il primo giorno si lavano le bottiglie, conservate con cura dall’anno precedente man mano che si sono svuotate le scorte nei ripostigli. Le bottiglie sono di diverso tipo per soddisfare le differenti esigenze di ogni nucleo famigliare: quelle più piccole per i nuclei di due persone, in settimana, quando non ci sono ospiti, le bottiglie più grandi per i grandi pranzi della domenica, e i barattoli per i “pomodori a pezzetti”, specialità che consente l’arrangiamento last-minute di cene nelle fredde sere d’inverno.

Il secondo giorno, in mattinata, arriva il carico di pomodori. I garzoni del fruttivendolo di fiducia scaricano cassette a palate, invadendo ogni spazio utile dell’abitazione, come uno tzunami rosso: parliamo di quantità pressoché industriali. 40 cassette da trasportare nel giardino, una a una, a spalla. Questo compito, tocca ovviamente ai più giovani della famiglia (maschi o femmine non fa differenza) con la scusa che siamo pieni di forze!

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Arrivati in giardino, l’equipe di esperte composta da madre, nonna e zia si occupano di selezionare le materie prime una ad una (manco C.S.I), eliminando i frutti poco convincenti, quelli troppo mollicci, quelli abitati da qualche vermetto e quelli troppo acerbi o troppo maturi. La selezione è davvero accurata: alla fine solo i migliori ce la faranno. Tra gli altri, quelli salvabili, finiranno nel condimento del pranzo che sostenterà i lavoratori stremati. In genere, spaghetti con le cozze! Intanto che l’equipe seleziona, la manodopera procede al lavaggio manuale dei quintali di pomodori. Del lavaggio può occuparsi chiunque, e solitamente si lascia fare proprio ai più piccoli, che non disdegnano di stare con le mani ammollo per quelle due o tre ore che prende l’operazione, anche se bisogna ammettere che, con la scusa di coordinare e sovrintendere al lavaggio, anche la nonna si diverte a farecikeciak nell’acqua tutto il pomeriggio.

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In contemporanea, come in una perfetta catena di montaggio, i primi pomodori lavati, vengono messi a cuocere in grossi calderoni appositamente preservati per questo momento magico. A cottura ultimata, le donne coordinatrici danno il via per “minestrare” i pomodori (ovvero toglierli dall’acqua di cottura e metterli a scolare, senza gettare via l’acqua che verrà utilizzata per il carico successivo). I primi pomodori cotti e scolati vanno alla macchinetta per essere passati.

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La macchinetta è sacra. Solo il nonno può maneggiarla perchè è un oggetto che, la leggenda narra, ha la stessa età del nonno. È lui che si occupa di montarla, agganciarla al tavolo in modo stabile, utilizzarla e sganciarla alla fine. Qualsiasi tocco estraneo potrebbe farla incastrare, bloccare, offendere… e in quel caso… addio! Tutto si bloccherebbe, la terra tremerebbe, le maree si alzerebbero, i cieli cadrebbero, i pomodori si ribellerebbero e tutti moriremmo sotto le urla del nonno incazzato perchè “le macchinette così non si trovano più, quelle di mo’ non valgono niente!” [libera traduzione dei "vaffammoccacchitemmurt"]. I pomodori vanno passati alla giusta temperatura, non troppo caldi e non già raffreddati, e tra una passata e l’altra si devono ripassare le scorze, altrimenti la salsa viene “troppo doppia” e non è buona.
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Quando il primo “iallettone” è pieno di salsa, viene sostituito da uno vuoto, pronto a raccogliere nuova salsa appena passata, mentre il primo viene spostato nell’angolo dell’imbottigliamentoIn questa postazione troviamo la nonna (con qualche vicina di casa sua coetanea che intanto, non trovando occupazione migliore, si è aggregata alla squadra). Solo lei conosce il limite fin dove la bottiglia deve essere riempita, ed è capace di farlo ad occhi chiusi senza perdere una sola goccia del prezioso concentrato. A questo punto la bottiglia piena passa allo zio, addetto alla tappatura manuale o meccanica (dipende dal contenitore). Infine, le bottiglie piene vengono inserite, accuratamente e con un ordine preciso (e segretamente suggerito da qualche congiunzione astrale), in modo che siano incastrate ma senza rompersi, nei grandi bidoni, per essere bolliti. L’addetto specializzato, in questo caso, è mio padre, che da giovane faceva Archimede. Considerando il quantitativo di materia prima, la catena di montaggio prosegue fino a notte inoltrata, per ricominciare spesso alle prime luci del mattino (e fu sera e fu mattina, terzo giorno).

Ho ricordi nitidi della mia infanzia in cui tutte le operazioni si svolgevano di notte, sia per approfittare della frescura che per approfittare dell’acqua corrente, che, giù da me, di tanto in tanto, in estate viene chiusa dal comune in alcune ore del giorno, per combattere la siccità. Oggi questo non è più possibile, con la modernità sono cambiati anche i rapporti di vicinato, e basterebbe molto meno di una macchinetta accesa tutta la notte a passare pomodori, per far arrestare tutta la famiglia, per schiamazzi notturni e disturbo della quiete pubblica!

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Penserete, a questo punto, che finalmente tutto sia finito, e invece no. Qui inizia la parte migliore. Il fuoco sotto le caldaie viene acceso, sempre dal nonno “mest fuech” (che intanto ha già smontato la sacra macchinetta). La regola è che “devono arrivare a bollire, e da lì si calcola un’ora“. Nell’attesa, tutti gli arnesi vengono lavati, i calderoni vengono lavati, i “iallettoni” vengono lavati, e così anche i pezzi della sacra macchinetta, le cassette vuote dei pomodori, gli stracci che fungevano da filtri per scolare i pomodori cotti, i mestoli giganti, e, già che ci siamo anche tutto il giardino e chiunque vi si trovi di passaggio in quel momento.

Ma non bisogna pensare a questo lavoro solo come ad una faticaccia.Diciamo che somiglia più ad una festa. Una festa di famiglia, l’occasione giusta per raccontare per l’ennesima volta la storia di questa o quella parente lontana, di questo o quell’avvenimento remoto, e anche di quella volta che… ti ricordi? A volte parte la musica, altre volte una piccola discussione. Ma tutto il tempo è scandito da pause-cibo che rinvigoriscono il corpo e la mente. E così, solo in queste occasione, ci si ritrova a mangiare un cornetto alle 5 del mattino con tua nonna (manco stessi tornando da una serata in discoteca…), alle 9,30 si fa pausa con focaccia e birra ghiacciata, alle 11:30 parte la bruschetta, e il pomeriggio la granita al limone!

Ovviamente l’attesa bollitura non arriva mai, perchè il fuoco non è abbastanza alto, o finisce la bombola, o c’è troppa umidità o troppo poca. Insomma le cause sono le più disparate. Fatto sta che intanto si è fatta ora di pranzo, e quale miglior modo di festeggiare la fine dei lavori, se non con un bel pranzo di famiglia? Ovviamente il menu prevede pasta e fagiolini, con la salsa nuova e mozzarelle, perchè il tempo per preparare qualcosa di secondo, le nostre super-donne non l’hanno avuto!

La salsa fatta in casa è una tradizione di famiglia, un rito in cui le donne sono protagoniste, in quella vecchia maniera pre-femminismo in cui la loro autorità non è mai messa in discussione, in un modo inspiegabile e straordinario.

Spenti i bidoni e raffreddata l’acqua, si procede all’estrazione delle bottiglie (siamo al quarto giorno, ma questo non è considerato “lavorativo”) e alla distribuzione dei beni. Ma io cerco di starmene alla larga in quel momento, perchè, casomai si dovesse trovare una bottiglia rotta durante la bollitura …tutto si bloccherebbe, la terra tremerebbe, le maree si alzerebbero, i cieli cadrebbero, i pomodori si ribellerebbero e tutti moriremmo sotto le urla del nonno incazzato perchè …”vaffammoccacchitemmurt“!


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