Come nasce una passione? È qualcosa che ci portiamo dentro dalla nascita o si sviluppa con il tempo, con le esperienze, con la scoperta delle nostre naturali inclinazioni? Non posso dire se esiste una risposta a questa domanda ma posso dire che io mi porto una passione dentro da quando ho ricordi e questa passione si chiama cinema. Fin da quando ho memoria, fin da quando ero bambina, ricordo l’estatico rapimento davanti alla magia del grande schermo, fin dall’infanzia ricordo di aver guardato con meraviglia i film di Fellini, quando ancora non ne capivo il senso ma ne percepivo la grandezza. Il cinema, per come lo intendo io, non è solo film, il cinema è un universo elitario, è un olimpo artistico in cui solo pochi è permesso di fregiarsi del titolo di artisti, perché di arte si tratta. Anzi, si tratta di un vero compendio di arti in cui il fascino della parola, prima scritta e poi recitata, sposa la suggestione della musica, il tutto passando per l’incanto creato da scenografia e fotografia e costumi. Proprio i costumi di scena sono i protagonisti della mostra Trame di Cinema in esposizione fino al 22 giugno a Villa Manin a Passariano, vicino Udine. In particolare i costumi sono i meravigliosi capolavori realizzati da Danilo Donati per alcuni dei nomi più altisonanti del cinema italiano, quando il cinema italiano era il migliore al mondo. Forse non tutti conoscono questo personaggio un po’ schivo e poco attratto dalla mondanità, eppure sicuramente avrete visto le sue straordinarie creazioni in alcune delle pellicole più celebri di Fellini o Pasolini.
Donati nasce nel 1926 a Suzzara, nella bassa mantovana, ma si forma all’Accademia d’Arte di Firenze sotto l’ala del pittore Ottone Rosati. Già nel 1954 inizia a lavorare con Luchino Visconti al Teatro alla Scala per intraprendere la carriera da costumista cinematografico nel 1959 con La grande guerra di Mario Monicelli. Dal 1963 inizia la solida collaborazione con Pier Paolo Pasolini per il quale realizzò gli abiti di scena di numerosissime pellicole, a partire da quelli de La ricotta (1963), vestendo Totò in Uccellacci ed uccellini (1966), passando per Il Vangelo secondo Matteo (1964), per cui si ispirò agli affreschi di Piero Della Francesca; creò i costumi di Porcile (1969), di Edipo Re (1967), della Trilogia della vita (Decameron, 1971, I racconti di Canterbury, 1972, Il fiore delle mille e una notte, 1974) per concludere con Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).
Ma Pasolini non è l’unico celebre regista che scelse Donati per ricreare il suo onirico mondo: anche Federico Fellini lo volle affinché concepisse e creasse i costumi di Fellini-Satyricon (1969) e poi per I clowns (1970), Amarcord (1973), Intervista (1987) e Il Casanova di Federico Fellini (1976) con il quale Donati vinse il suo secondo Oscar per i migliori costumi che seguiva il primo ottenuto nel 1969 con Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli. Sempre per Zeffirelli vestì Elizabeth Taylor e Richard Burton in La bisbetica domata (1967). La mostra ospita anche alcuni costumi di La mandragola (1965) di Alberto Lattuada, Storie Scellerate (1973) di Sergio Citti e Marianna Ucrìa (1997) di Roberto Faenza.
Inutile cercare di raccontare a parole la mia emozione nel poter vedere dal vivo alcuni pezzi che hanno fatto la storia del cinema e che occupano un angolo incantato del mio immaginario, come l’indimenticabile cappotto rosso della Gradisca! Straordinario è anche osservare l’evoluzione artistica di Donati che crea abiti capaci di incarnare alla perfezione l’estro artistico del maestro alla regia così come lo spirito della pellicola in cui vengono adottati, che si tratti della povertà spartana dei dodici apostoli o dello sfarzoso manierismo settecentesco del Casanova, per arrivare fino ad un eclettismo spinto negli abiti dell’Edipo Re in cui materiali e lavorazioni vengono rivistati e rielaborati dapprima concettualmente e poi con abile sperimentalismo.
Accanto agli abiti il percorso espositivo si arricchisce di bozzetti preparatori, sceneggiature originali, sequenze dei film, riprese originali dai set con le voci dei registi che collaborarono con Donati nonché con interessanti spezzoni del lavoro quotidiano dalla Sartoria Farani, fondata negli anni sessanta da Piero Farani, storico amico e collaboratore di Donati, per il quale realizzò materialmente i costumi.
Si tratta sicuramente di una mostra unica nel suo genere, forse un po’ di nicchia, capace tuttavia di emozionare anche chi non si è mai approcciato all’universo cinematografico a cui afferisce, grazie all’immediatezza comunicativa degli oggetti esposti e all’incantevole percorso che si snoda con un preciso e accurato sviluppo concettuale, con un occhio alla bellezza intrinseca degli abiti magistralmente inseriti nel contesto seicentesco della villa friulana. Se avete occasione vi consiglio sentitamente di dedicare qualche ora a questa esposizione, magari approfittando anche degli Eventi Collaterali che prevedono una serie di proiezioni dei grandi capolavori dei maestri del cinema italiano che scelsero Donati per completare le loro opere.
«Il difetto di Donati, ma forse la sua grandezza, è quello di realizzare quasi un film nel film. È accaduto con me, come pure con Fellini… La sua presenza ha un po’ prevaricato la storia.
Marianna Ucrìa è diventato un film lussureggiante dove il Settecento viene reinventato, ridisegnato fino all’estremo.
Noi abbiamo avuto due maestri del film in costume, uno è lo stesso Donati, l’altro Piero Tosi.
Il primo inventa il secondo rielabora»
(Roberto Faenza)