Salvami, Salvatore, dal salvabile. Sempre più si tratta un mind games ottuso e perverso, dove labirinticamente ci si bistratta, dove si gioca a perdere, dove si dice di voler andare fino in fondo e poi ci accorge che, al fondo della bottiglia ben poco trasparente contenente la tua vita, si è già maledettamente arrivati.
Gli ostacoli ce li creiamo noi. E se non ci sono, diciamo no.
Perché siam così, insofferenti alla nostra sufficienza, turbati dalla compiacenza immobilizzante, combattuti tra le cose che vogliamo, quelle che dobbiamo volere, quelle che è necessità che accadano. Siamo le cose che capitano, più sappiamo e meno amiamo.
Se siamo in due su un trampolino in cima al paese non possiamo che lanciarci. Lassù fino alle stelle, saggiando l'elasticità della notte, volando lontano lontano lontano, fino all'unica nuvola in cielo, quella che copre le nostre teste e che toccandola ci regala la sua acqua. Dicendo che è irrimediabilmente un bene provare a dare il peggio di sé, intensamente, appassionatamente. Concedendosi la tentazione diabolica di far l'aeroplano verso la montagna issato a metà d'una coupé.
Poi, facendoci svegliare dallo sferragliar di manopole balilla dietro di noi, ci si accorge che il trampolino era dismesso e abbandonato, che a guardar in cielo c'erano anche le formiche e che la sua pancia aveva perso la quiete, riempendosi repentinamente d'un corpo estraneo. Aveva mangiato tutta intera la nuvola che ci sovrastava.