LAEFFE ore 21:05
Il ritratto della moderna società occidentale è impietoso nel primo e unico film di Duncan Tucker. Una società che crolla sotto i suoi stessi ideali perbenisti e fallisce nel tentativo di diffondere un malsano conservatorismo medio borghese che ripudia il diverso solo quando non capito, che è cristiano solo quando conviene esserlo, accogliente solo quando si pensa non metta in pericolo il microcosmo menzognero e ipocrita creatosi attorno. Eppure anche Bree si dimostra intransigente, quanto quelli che la allontanano, quando insiste a voler rifiutare un passato che invece deve accettare per poter accogliere il suo nuovo “io”. Perché può essere diverso nella forma, ma la sua identità non è cambiata, è sempre lui in nuove vesti. Il non sentirsi a proprio agio con se stessi non è solo una questione sessuale, è una questione ben più ampia, e ogni volta il superamento di questo malessere passa prima attraverso un cambiamento interiore, solo dopo (e non necessariamente) dell’aspetto. Cambiare vuol dire ritrovarsi, non perdersi. Di questo prende coscienza la nostra protagonista, quando il passato torna nelle vesti di un figlio nato da un rapporto occasionale (dice lei), un altro reietto, l’ennesimo ai margini di una società malata dalla radice. E più che per la propria sessualità, Bree si ritrova a lottare per una normalità che gli altri (e forse anche se stessa) si ostinano a non concederle. Non importa: l’importante per ognuno di noi è costruirci il proprio rifugio personale di felicità. Misero forse, sincero sicuramente. E noi saremo sempre pronti ad accogliere dentro solo chi è pronto ad arricchirlo.
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