Il direttore della fotografia Wally Pfister allora sfrutta il copione scritto da lui stesso insieme agli sceneggiatori Jack Paglen, Jordan Goldberg e Alex Paraskevas per realizzare una pellicola in cui la ricerca scientifica è riuscita a crescere a tal punto da poter uploadare un completo essere umano nella rete informatica, connettendo il suo concentrato mentale ad essa, amplificandolo con le infinite informazioni e condividendolo con i suoi simili ed il mondo. Una specie di ibrido umancomputerizzato, un Dio immortale, privo di anomalie e con l'aspirazione a promuoversi ultimo anello (o anello finale?) della catena evolutiva umana.
Se però l'incipit a primo impatto può sembrare intrigante e innovativo - contando l'estremizzazione di un processo affatto nuovo - la finalizzazione con cui viene perseguito pecca eccessivamente di elaborazione e arroganza, e così "Transcendence" anziché affermarsi come punto di vista folle e deviato di un illusione comune e stimata, va quasi immediatamente in schermata blu, alimentando da parte nostra la volontà allo spegnimento e alla formattazione. In sostanza la pellicola di Pfister manca con clamorosa distrazione l'attitudine a far vorticare gli eventi, non rende la sua teorizzazione fantascientifica cinematograficamente appassionante e coinvolgente, e finisce col perdersi all'interno di scenari semi-deserti e sequenze esteticamente affascinanti, senza trovare però il giusto tiro per raccontare onestamente una storia.
Un esperimento fallito in toto quindi questo "Transcendence", senza neppure potersi aggrappare alla scusa dell'’occasione mancata. Non c'è mai la sensazione nell'opera di Pfister che scegliendo altre strade oppure calcando altri punti il suo lavoro possa cambiare improvvisamente clima e dominare il territorio. Decisamente un'uscita da rivedere, dunque, o perlomeno da dimenticare in fretta e furia.
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