Si parte. I vicini parlano con i vicini, ci si scambiano dei consigli, dei trucchi, si impara un kit di sopravvivenza linguistica last minute: “How much”, “Mind the gap”, “Keep on the right” e “Way out”. E poi ognuno per conto suo. La signora davanti guarda estasiata dal suo finestrino, la persona con cui conversavi poco prima è sprofondata nel sonno, il vecchietto del primo posto sta russando. Si spengono voci, accenti, inflessioni e dialetti. Fuori le nuvole rassicuranti, dentro le hostess che chiedono “Any rubbish?”
A poco a poco il risveglio. “What time is it?, “keep your belt fasten”, “Ladies and gentlemen…” I bambini improvvisamente si chiamano John, jack, Jane o Mary. Le parole non hanno più la musica e il ritmo di prima. Ma come? Dov’è finita la ricetta del pesto alla genovese? Dov’è finito Totti? Parlatemi ancora di Berlusconi e del ponte di Messina. Voglio sentire la mia lingua…
Col cavolo che la sento! La delegazione o gli invasori di prima sono ora dei perfetti londinesi. Chi è dello Strand, chi del Chelsea, chi del Kensington. In ansia per quanto ti sta per accadere, recuperi i bagagli, ripassi la dogana e ti ritrovi solo che non capisci una cippa. Ad un tratto la salvezza: vedi uno che ha viaggiato con te. E’ della tua città. Ti sbrighi per raggiugerlo ma è già stato inghiottito dalla folla.
Lino Soddu
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