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Transizione energetica: si perdono 5 mln di occupati, ma se ne creano 30

Creato il 25 maggio 2021 da Francesco Sellari @FraSellari

Rapporto Iea: la crescita di rinnovabili ed efficienza porterà a un +0,4% annuo di Pil

Transizione energetica: perdono occupati, creano

Articolo originariamente pubblicato su Huffington Post.

La transizione del settore energetico deve accelerare. Le parole – gli impegni dei governi – devono tradursi in fatti – investimenti. Questa decade, da oggi fino al 2030, ci dirà se l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 sarà alla nostra portata o meno. Un percorso stretto e arduo se si pensa che oggi ancora l’80% dell’energia che consumiamo viene da combustibili fossili. Ma un percorso ancora fattibile. In ballo ci sono 30 milioni di nuovi posti di lavoro e una crescita globale del 4% nel decennio. Sono questi i numeri più incisivi che emergono dal Net Zero by 2050, il rapporto dell’International Energy Agency (Iea) che indica la roadmap per un settore energetico a emissioni zero entro la metà del secolo.

Un settore cruciale. Da lì, infatti, arrivano il 90% delle emissioni globali di anidride carbonica e i tre quarti delle emissioni totali di gas climalteranti. Decarbonizzare il modo in cui produciamo e consumiamo energia significa, di fatto, avere un sistema economico compatibile con la necessità di contenere l’aumento delle temperature al livello massimo di 1,5 gradi rispetto all’epoca preindustriale. Bene. Ma come fare? Riassumendo, gli strumenti chiave saranno tre: investimenti, innovazione, cooperazione internazionale. Partiamo dai soldi. Secondo l’Iea, di qui al 2030 gli investimenti nell’energia pulita devono triplicare. Bisogna passare dal poco meno di un trilione (mille miliardi) e mezzo raggiunto nel 2019 a un livello di quasi 5 trilioni nel 2030. Investimenti che stimoleranno una crescita addizionale del Pil dello 0,4% all’anno. In totale, un +4% nel 2030 rispetto agli attuali trend di investimento.

“Non si tratta solo di investimenti in termini di acquisto di nuove auto elettriche o per installare impianti solari”, ha specificato Laura Cozzi, tra gli autori del rapporto. “Dobbiamo anche investire nelle infrastrutture critiche che permetteranno a questa riduzione delle emissioni di materializzarsi. Di cosa stiamo parlando? Dobbiamo espandere significativamente le reti elettriche per sfruttare pienamente l’aumento della produzione da eolico e solare”.

Considerevole sarà l’impatto sul fronte occupazionale. Oggi il settore dell’energia pulita occupa circa 40 milioni di lavoratori. Se il trend dovesse seguire il percorso indicato dall’Agenzia, nel 2030 dovrebbero aggiungersi altri 30 milioni di nuovi posti di lavoro. Così suddivisi: 14 milioni nel settore di produzione e fornitura; 16 milioni nel settore degli usi finali. In questo bilancio andranno però considerati i posti di lavoro che, inevitabilmente, andranno persi. Circa 5 milioni, in prevalenza nel settore dei fossili. Sarà cruciale quindi investire nella formazione e nel ricollocamento di queste maestranze. Un esempio? Ove possibile, riconvertire questi lavoratori verso il settore dell’estrazione e della lavorazione dei minerali critici (dal litio alle terre rare) la cui domanda tenderà a schizzare in linea con l’aumento della domanda di batterie per auto elettriche e la produzione da rinnovabili.

In questa tabella di marcia non c’è più posto per petrolio, gas e carbone. Per l’Iea, infatti, bisogna azzerare gli investimenti in nuove esplorazioni per i combustibili fossili. La domanda di petrolio dovrebbe aver già raggiunto il suo picco nel 2019 con 90 milioni di barili al giorno che dovranno calare a 24 nel 2050. Le forniture di gas dovranno più che dimezzare: da 3.900 miliardi di metri cubi nel 2020 a 1.750 nel 2050. Un calo del 3% all’anno. Ancora più drastica la discesa del carbone, -7% annuo, con l’obiettivo di arrivare a 600 Mtce (milioni di tonnellate di carbone equivalente) dai 5.250 nel 2020. Complessivamente le fonti fossili passeranno dall’80 al 20% delle forniture energetiche. Relegate in quei settori in cui la completa decarbonizzazione è molto ardua (ad esempio l’aviazione). Saranno emissioni da compensare con cattura e sequestro di CO2.

C’è poi il capitolo dell’innovazione tecnologica. Il quadro non è sconfortante perché gran parte delle tecnologie necessarie sono già commercializzate. “Dall’efficienza, alle rinnovabili fino alle automobili elettriche: abbiamo gli strumenti per tagliare le emissioni. Ma quel che vogliamo sottolineare nel nostro report è che la completa transizione nel 2050 richiederà ancora più sforzi sul versante tecnologico”, ha specificato l’altro autore del report, Timur Gül. “Dobbiamo fare di più anche in altri ambiti strategici: i trasporti su lunga distanza (aerei, navi, trasporto pesante); l’industria pesante (cemento, acciaio, chimica). Settori in cui l’innovazione delle tecnologie pulite è ancora a uno stadio prototipale”.

Nel 2050, il 46% della riduzione delle emissioni dovrà arrivare da tecnologie che oggi sono ancora ad un livello iniziale di sviluppo. Pensiamo, ad esempio, alla produzione di acciaio con l’uso di idrogeno verde. Bisogna portarle il prima possibile sul mercato. Per lanciare la nuova generazione di tecnologie essenziali alla decarbonizzazione serve aumentare lo sforzo in ricerca e sviluppo. Almeno 90 miliardi di dollari nel 2030 a fronte dei 25 messi attualmente a budget.

“Lavoriamo con quasi tutti i governi e seguiamo le loro policies”, ha detto il direttore esecutivo Iea, Fatih Birol. “Molti governi hanno preso l’impegno a ridurre a zero le emissioni entro il 2050. È un’ottima notizia. Ma noi crediamo nei numeri. E i numeri ci dicono che quest’anno le emissioni registreranno il secondo maggior incremento della storia. C’è una distanza crescente tra la retorica e quel che succede nella realtà”.

Essenziale sarà la volontà reale dei governi di tradurre in azioni “audaci e immediate” le scelte di policy, così come la collaborazione tra Stati. Ancora Birol: “In questa race to zero (corsa alle emissioni zero), Paesi differenti cominciano da differenti punti di partenza. C’è una differenza tra le economie sviluppate e le economie emergenti. La corsa però non è una sfida tra Paesi ma una corsa contro il tempo. E fino a quando tutti i governi non avranno ultimato il percorso nessuno potrà essere il vincitore. È per questo che uno degli elementi chiave del nostro studio è l’importanza cruciale della cooperazione internazionale contro il cambiamento climatico”.


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