Quello che segue è basato sull’esperienza generale, e non confermata, del ragazzo italiano medio, tra i 20 e i 25 anni (spesso anche più grande) che una mattina si sveglia e avverte la mamma di aver deciso di trasferirsi a Londra.
Tra il primo e il terzo mese. Sei appena arrivato a Stansted con un volo Ryanair, una valigia grande come una Fiat Duna per la quale hai dovuto pagare €50 di sovrappeso e dove hai messo dentro anche la macchinetta del caffè. Hai prenotato una stanza da condividere con bagno al piano in un ostello in zona Marble Arch / Bayswater / Paddington. Non hai ancora un lavoro ma sei fiducioso che tempo una settimana e ne avrai uno. Tutto sembra ancora una vacanza, ti fermi a far foto agli autobus a due piani e ti senti fico perché hai una Oyster card tutta tua anche se la logica in basse alla quale i soldi vengono scalati è un mistero. Non hai ancora imparato che fermarsi come un fesso non appena hai superato il tornello all’entrata della metropolitana equivale all’inchiodare sulla corsia di sorpasso del Grande Raccordo Annulare di Roma. Continui a farlo tutte le volte. Hai il tuo National Security Number ma ancora non hai capito che in realtà non lo userai come usi il codice fiscale, ma anche questo ti fa sentire fico. Fai foto ad ogni scoiattolo che vedi a Hyde Park e (di nascosto) ad ogni ragazza senza maniche e con minigonna inguinale nelle fredde serate di gennaio a Soho.
Tra il terzo e il quinto mese. Hai trovato lavoro e una camera in condivisione con altre tre persone, di cui sicuramente uno italiano e uno spagnolo. Ti muovi con i mezzi pubblici tutti giorni ma ancora la zona 3 suona come l’estrema periferia di Beirut e ti ostini a chiamare la Piccadilly e la District line la linea blu e verde. Continui ad avere conati di vomito per ogni espresso preso da Caffe Nero o da Starbucks, pretendi di sapere se pioverà semplicemente dando un’occhiata al cielo la mattina prima di uscire e non riesci ancora a capacitarti di come gli inglesi possano vivere in totale armonia senza un bidet e con la moquette che tappezza tutta casa, questa zozza sconosciuta. Hai il tuo conto in banca nonostante per avere un conto in banca avevi bisogno di una bolletta come prova dell’indirizzo ma per avere una bolletta dovevi prima chiudere un contratto con un fornitore di servizi quali acqua, luce o telefono che chiedeva un conto in banca come prerequisito. Il quinto mese è probabilmente quando impari il significato dell’espressione inglese “Catch 22” (in italiano, un gatto che si morde la coda). La tua pagina Facebook strasborda foto di te a Camden Town o a Portobello Road e il semplice fatto di avere una tessera punti di Tesco ti fa sentire ormai parte attiva della società inglese. Hai imparato sulla tua pelle le prime regole della sopravvivenza a Londra: dopo le 11 di sera non si vende più alcol nei supermercati.
Tra il quinto e il settimo mese. Gli autobus di Londra cominciano a non avere più misteri per te. Hai imparato che il fatidico messaggio “This bus is on diversion, please listen for further announcements” capita molto più spesso di quanto £80 sterline mensili di abbonamento potrebbero far pensare. La Piccadilly, la District e la Central line vengono ora chiamate con il nome che meritano ma la Hammersmith & City e la Bakerloo sono ancora terreni inesplorati che preferisci identificare con il colore e che ancora ti stupisci di vedere sulla tua Tube Map (esiste davvero una linea Rosa a Londra?) che tieni tutta spiegazzata, reduce di già 500 piogge. Non sei ancora sicuro di cosa sia l’Overground e se puoi usare la tua Oyster per viaggiarci ma sei cosciente del fatto che il mondo non finisca a Vauxhall o a Earl’s Court: semplicemente la tua vita da londinese ancora non ti offre molti motivi per avventurarti troppo oltre il confine di zona 2. Le tariffe della Oyster ora sono chiare ma ciò non significa che abbiano un senso e continui a ricordare i tempi perduti in cui pagavi €30 per un abbonamento mensile su tutta la linea urbana di Roma. Hai smesso di fermarti non appena oltrepassato il tornello all’entrata della metropolitana ma ancora ti capita di stare fermo sul lato sinistro della scala mobile. Hai anche smesso di stupirti per come la gente si (s)veste e neanche ti volti più a guardarla. Per gli scoiattoli non c’è ancora nulla che puoi fare, vanno fotografati.
Tra il settimo e il nono mese. Hai rinunciato alle Marlboro Gold e sei passato alle Pall Mall o hai direttamente imparato a rollarle per risparmiare. Ti ritrovi ad andare da Tesco per comprare il latte e i cereali indossando un giubbino con cappuccio tirato su e un paio di shorts in febbraio o in alternativa direttamente i pantaloni del pigiama perché tanto nessuno ti guarda. Hai probabilmente cambiato lavoro almeno una volta da quando sei arrivato. Prendere l’autobus e sedere al piano di sotto ancora equivale ad ordinare un Mojito senza Rum (c’è chi lo fa) e ti fiondi sui posti frontali non appena li vedi liberi. La delusione è grande quando l’autobus ha solo un piano (raro, ma capita. Maledetto 170). Hai il tuo giro di amici, molti italiani espatriati come te e poi per lo più spagnoli e amici dall’est Europa con i quali frequenti i tuoi locali preferiti (ora hai una lista di locali preferiti). A volte nelle tarde nottate del fine settimana, mentre alle 3.30 siedi su un notturno cercando di tenere gli occhi aperti per non perdere la fermata e il tuo amico Jose seduto di fianco ancora ha il coraggio di bere da una lattina di Foster, guardi fuori dal finestrino: il London Eye è illuminato sull’altra sponda del fiume, South Bank è ancora un pullulare di gente e le luci dei ponti si riflettono sul Tamigi. Sorridi, cerchi di fare una foto con il tuo telefono che non renderà mai giustizia a quello che vedi e provi e ancora non ti sembra vero che sei lì.
Tra il nono e l’undicesimo mese. Hai probabilmente trovato un alloggio migliore da non dover condividere con più di due persone. Hai capito che Londra è molto più grande di quello che pensavi e che si vive bene anche a sud del fiume. Hai decisamente smesso di fare il turista (tranne per gli scoiattoli). Ti senti in diritto di poter smadonnare contro quegli italiani scemi che stanno in
Io, Natalia e il Big Ben
piedi sul lato sbagliato della scala mobile o si fermano subito dopo i tornelli e alzi gli occhi al cielo ogni volta che ne vedi un paio intenti a farsi una foto cercando di far entrare il Big Ben sullo sfondo in tutta la sua interezza. Probabilmente hai anche già scoperto che Big Ben non è il nome della torre ma il nome della campana. Prendi la metropolitana, hai su la tua musica nelle orecchie, leggi il tuo libro in inglese, ai piedi indossi un paio di Converse colorate mentre stai andando a Camden Town per fare veramente shoppiong e non perchè così suggerisce la guida Lonely Planet. Te ne freghi anche dell’individuo più strambo che ti passa davanti per strada perché tanto all’angolo successivo ce ne sarà un altro, ma cammini spedito per i vicoli di Londra, mantenendo la corsia giusta sul marciapiede e saluti l’autista ogni volta che sali su un autobus. Se la linea Internet non funziona chiami il servizio clienti e ora sei tu che guidi la conversazione, a volte riuscendo anche ad uscirne con una promozione. Parli con i tuoi amici e nomini questo o quell’altro posto della città che si trova su questa o quell’altra via allo stesso modo come hai sempre fatto parlando della città dove sei nato. Hai smesso di lamentarti per ogni caffè che ti viene servito e, con tutta probabilità, hai smesso direttamente di ordinare espresso. Hai capito che le nuvole esistono e ci hai quasi fatto l’abitudine ma ciò non vuol dire che hai smesso di lamentarti e di ricordare a tutti, ad ogni occasione, che in Italia ci sono giornate di 25 gradi anche a Marzo. La lingua italiana ha cominciato ad occupare i lobi sbagliati del tuo cervello e anziché fermarti per pensare a come si dice quella parola, preferisci utilizzare direttamente il corrispettivo inglese, anche se sei intento in una conversazione in vernacolo con un tuo concittadino. Capita, raramente, di coniare italianizzazioni improbabili di termini inglesi di cui tu stesso poi ti vergogni. Funziona così: il processo per cui una lingua si disimpara è esattamente lo stesso per cui la si impara.
Dodicesimo mese: Complimenti, è un anno che sei a Londra! Forse ora vivi addirittura in zona 3 e annoveri uno o dui amici inglesi DOC nella tua compagnia. Negli ultimi dodici mesi hai maledetto questa città molto più di quanto tu abbia mai fatto con il tuo Paese d’origine. Ti sei sentito frustrato, usato e soprattutto non capito e almeno un paio di volte ti sei chiesto seriamente “Ma cosa ci sto a fare qui?” Abituati, capiterà ancora e ancora. La risposta arriva tutte le volte che ti perdi dentro Soho e speri che i turisti non vengano mai a sapere che c’è tanto da scoprire oltre Piccadilly Circus. O tutte le volte che trovi un pub che non avevi mai visto prima in una vietta secondaria di Clapham, con poca gente dentro e quella canzone che sembra essere stata scritta proprio per quel momento. Tutte le volte che il cielo è blu oltre le nuvole mentre stai attraversando Battersea Bridge per andare a lavorare e in lontananza lo Shard si staglia all’orizzonte e la Union Jack garrisce al vento sul parlamento. Continuerai a lamentarti per la pioggia, per i 15 gradi ad agosto e per le usanze strambe degli inglesi. Eppure non c’è nulla da fare, questa città ci rende tutti un po’ masochisti: più ci tratta male e più la amiamo.
Anche dopo 5 anni di Londra, però, continuerai ad affermare con estrema certezza che l’algoritmo in funzione del quale le Oyster card di tutta la città vanno avanti ha qualcosa di sbagliato.