Il crepuscolo era freddo e lacerante e un vento indecifrabile spirava tra le guglie altissime della cattedrale gotica.Le catene ghiacciate che si staccavano dalla navata centrale calavano, come ragnatele, verso i pinnacoli più bassi delle navate laterali e verso i contrafforti in cemento popolati da sculture demoniache, atti in ghigni folli. La sua maglia d’acciaio, era fitta, e intrappolava un globo latteo che faceva da sfondo al pittoresco ambiente dark. Era la luna più bella che Cassandra avesse mai visto da quando era stata esiliata nella cattedrale del Purgatorio.
Come una statua di travertino, la gelida vampira, se ne stava dritta sulla croce di granito che svettava verso i cieli lividi.
La sua pelle marmorea e lucida assaporava i freddi raggi lunari che penetravano attraverso le nubi cariche di tempesta. Le morbide labbra, color ciliegio, erano leggermente dischiuse e cantilenavano una tetra ninna nanna. Una poesia, che sua nonna, le aveva insegnato sin da piccola. Non si muoveva, se ne stava lì con gli occhi chiusi, in meditazione, come se stesse attendendo qualcosa. Forse una chiamata dal livello superiore.
Erano passati vent’anni, da quel fatidico giorno. Quel 31 ottobre del 1973. Quando Patrov, il maledetto ammazza vampiri, le aveva trafitto il cuore con il paletto di frassino.
Involontariamente con le mani si strinse il petto, come se il dolore subito anni fa fosse ancora lì, lì sotto il suo bustino di pelle dove si celava una cicatrice insanabile. Il suo cuore non c’era più, rubato da quell’essere ignobile. Bruciato in quel falò pagano insieme alle streghe blasfeme. Che disonore per una cacciatrice abile come lei, eppure per lei, la signora morte non era ancora giunta. La falce mietitrice non era ancora calata sul suo destino. Salvata per pura fortuna dall’amato Garrell, ora giaceva rinchiusa in quel luogo transitorio, per volere delle stirpi superiori.
Tuttavia, dopo quasi vent’anni di attesa e di espiazioni in quel luogo ottenebrato il suo momento era giunto, la sua rinascita poteva compiersi. Attendeva solamente il consenso, da parte di Garrell, dal mondo umano…
La gente mascherata era in trepidazione. La sfilata allegorica di Halloween doveva ancora iniziare, si attendeva solamente il via da parte dell’organizzazione, eppure la gioia e gli scherni avevano già contagiato i partecipanti in costume. I lavori di allestimento erano stati ultimati nel tardo pomeriggio, per fortuna aveva funzionato tutto secondo il piano lavorativo stilato. Adesso, le vie del centro città erano decorate in modo impeccabile, adornate da luci colorate, dalle tipiche zucche intagliate contenenti piccoli lumi e da fantasmi di ogni genere.
Questa era la singolare festa pagana di Halloween, e veniva celebrata il 31 ottobre, esattamente la vigilia di Ognissanti, la solennità che commemora insieme la gloria e l'onore di tutti iSanti. Una data che avrebbe rinchiuso in se un fatto inspiegabile che certamente nessuno avrebbe dimenticato.
Non si poteva negare che Halloween era la festa più attesa dell’anno, e che avrebbe regalato un sacco di divertimento a molte persone, ma sfortunatamente, non a tutte. Per una volta, da quando era nata, la così amata festa avrebbe indossato un manto funereo, trasformandosi in un giorno nefasto.
Le urla e le corse dei bambini, vestiti con abiti da streghe e maghi, si potevano udire anche a due, tre isolati di distanza. Mentre i più grandi, sfruttando l'occasione, sfoggiavano maschere da film dell'orrore, con teste mozzate, ferite purulente e sangue finto che imbrattava i volti orripilanti.
Tra la folla mascherata, c’era anche lei, Alexandra, una ragazza diciassettenne che spensierata, si stava divertendo con le sue amiche e compagne di scuola, inconscia di quello che la notte le avrebbe riservato. Indossava il tipico abito da strega. Lungo mantello corvino, abito viola che le scendeva dalle spalle fino ai piedi, scopa di saggina e cappello rigorosamente a punta, con tesa larga e circolare. “Sarà una festa strepitosa! Ancora migliore di quella dell’anno scorso!” gridò euforica Alexandra, sfoggiando un sorriso bellissimo. Proprio in quell’istante la musica rock- metal si diffuse dalle casse sonore poste sul carro di testa della sfilata, dando così il via ai festeggiamenti. Un boato di esaltazione assecondò con piacere quel segnale d’iniziazione, invitando la fiumana di gente ad accodarsi dietro al carro. Le ragazze non persero tempo, si catapultarono proprio dinanzi, nelle prime file, dove lo svago impazzava. Volevano che la musica gli entrasse nelle vene, donargli quella carica giusta per potersi divertire al massimo, dato che il Metal era il loro genere musicale preferito. Volevano, per una sera, dimenticare tutto e farsi trasportare dal divertimento. Poi, la canzone che stavano ascoltando la conoscevano benissimo, quindi non ebbero nessuna difficoltà a rompere gli indugi.
“Ma questa è Halloween, la canzone degli Helloween, quella che dura più di 13 minuti!” fece notare Jessy, l’amica migliore di Alexandra, sollevando il pugno borchiato verso il cielo notturno.
“Hai ragione, è proprio lei! Allora…saranno tredici minuti di pura follia” risposero in coro le amiche, scatenandosi in un pogo esagerato.
La serata si preannunciava fresca, ma alle ragazze non interessava, in questi momenti nulla era più importante se non la felicità. Nel frattempo la sfilata si era messa in moto, percorrendo le vie prestabilite dal comune. Tutto era bellissimo, adornato a regola d'arte. Enormi scheletri, rivestiti con tuniche lacere, erano appesi a corde tirate tra un tetto e l’altro delle case. Fieno e zucche di ogni grandezza stazionavano ammassate alla base di grandi pioppi, abbelliti da ghirlande coloratissime. Mentre sui ripiani delle finestre di ogni casa, un Jack-ò-Lantern, con il suo ghigno sadico, osservava la sfilata passare.
La confusione era totale e con tutte quelle maschere non si capiva nulla, distinguere la realtà dalla finzione era quasi impossibile. Per cui, quale migliore occasione, per un vampiro bramoso di vendetta, se non questa per attuare un rituale paranormale? Per estirpare dal petto di una ragazza illibata, un cuore nuovo che potesse ridonare la vita alla sua amata, riportandola nel mondo umano?
Attendeva immobile, accovacciato sul minareto della rocca medioevale, esattamente dall’altro lato della strada, di fronte all’acquedotto della città. Il suo corpo era un’ombra invisibile nell’oscurità della notte, mentre il suo sguardo perforava il buio con due occhi scarlatti, sfregiati da schegge nere, che ardevano di un fuoco infernale. Inchiodati in una sola direzione, osservavano affascinati il gruppo di ragazze che ballava dietro al carro. Notando meglio, si poteva capire che la sua attrazione viscerale era solamente per una persona. Per Alexandra. Come ipnotizzato, rimase parecchio tempo a scrutare la ragazza, permettendosi di sognare il futuro.
Poi contro ogni aspettativa, la figura enigmatica inghiottita dall’oscurità, si mosse leggermente in avanti, quel tanto che bastò ad illuminare il suo volto. Non era di questo mondo, eppure le sue fattezze erano umane. I lineamenti scolpiti, evidenziavano un volto latteo, che ricordava il biancore della neve. Dai margini della bocca carnosa, si notavano due canini aguzzi, le cui misure erano di gran lunga superiori allo standard umano. Piccoli rivoli di sangue colavano dalle loro punte fino al collo, inzuppando la maglietta gialla dei Lakers. Poteva vincere il concorso di migliore maschera horror della sfilata, peccato che la sua non era una maschera, ma bensì il suo volto naturale.
Lui era Garrell, l’amato di Cassandra.
La creatura immortale indirizzò un freddo ghigno alla giovane mortale, si passò le mani sottili tra i lunghi capelli bianchi, come se si stesse agghindando per un’uscita serale, e poi parlò.
“Cassandra, questa notte potrò nuovamente stringerti tra le mie braccia. Il nostro tempo è giunto, e questo vespro premonitore ricongiungerà le nostre essenze, che fin troppo allungo sono rimaste divise”. Detto questo, corse giù dalle altissime mura con una velocità incomprensibile. Non era un’illusione, correva parallelamente al terreno, combattendo contro la gravità terrestre. Poi, straordinariamente, ad un paio di metri dal suolo la sua innata corsa si arrestò, declinando in un atterraggio morbidissimo sull’erba fresca del prato. Dinanzi a lui, a una quindicina di metri di distanza, si trovava Alexandra, la vittima sacrificale, colei che avrebbe ridato la vita a Cassandra. Per un tempo imprecisato la osservò, confondendosi nella disinteressata folla, senza dare nell’occhio. Alcune persone, inconsapevoli di chi fosse veramente, lo salutarono facendogli anche i complimenti per il realistico trucco. Ma Garrell non contraccambiò i saluti, anzi, li allontanò digrignando i denti come un lupo famelico, mostrando i suoi principali attrezzi del lavoro. Mentre la teneva d’occhio, il debole vento trasportò il profumo di lei fino ai suoi orifizi. Estasiato, aspirò profondamente. La fragranza del sangue puro non si poteva descrivere, possedeva un’essenza particolare, una sublimazione famelica che fece nascere in lui, una frenesia irrequieta, un desiderio travolgente di affondare i canini nella pelle delicata della ragazza. Fu un terremoto di debolezze ma Garrell non si fece sopraffare, l’amore solido verso la sua amata Cassandra superava ogni tentazione carnale. E per allontanare quell’ostacolo rivolse i suoi pensieri al cimitero del paese, alla cripta di famiglia dove avrebbe avuto luogo il sacrificio.
Era quasi mezzanotte e la sua entrata in scena non poteva più essere rimandata. Lentamente si avvicinò al gruppo di ragazze che imperterrite, continuavano a ballare, ora sulle note di “The number of the beast” degli “Iron Maiden”. Il trasporto musicale era forte e Alexandra non si accorse di Garrell, fino a quando non ci andò a sbattere contro, terminando a terra. “Scusami tanto” disse, “Non ti ho visto, ero immersa nel…”, non riuscì a terminare la frase. L’ammaglio della persona che si trovò di fronte, fu indescrivibile. Un’emozione che gli smorzò le parole in gola. Il fascino emanato dal ragazzo non lasciava nessuna via di scampo. E nessuna donna poteva resistere al suo sguardo. Glaciale, magnetico, stregava le menti, attraeva a sé, rendendo le sventurate, prigioniere del suo volere. “Tutto bene, ti sei fatta male, qualche graffio”, si sincerò Garrell, allungandole la mano in un gesto d’aiuto. Alexandra non si capacitò di quella situazione, si sentiva confusa, imbarazzata. Nel gergo adolescenziale, il giovane che aveva davanti era proprio un “Gran Figo” e la metteva a disagio. Ci pensò Jessy a risolvere il tutto, rifilandole un calcione negli stinchi. “Ah! Ma che stai facendo, mi hai fatto male!” la rimproverò Alexandra distogliendo lo sguardo da lui e rivolgendolo all’amica. Jessy non le rispose, le fece solamente un gesto eloquente con gli occhi, facendole notare la mano protesa di lui. Alexandra la osservò per pochi attimi, poi guardò nuovamente lo sconosciuto che le sfoggiava un sorriso seducente ma al tempo stesso pericoloso. Esitò per un modico istante, giusto il tempo di restituire il sorriso.
Emozionata, avvicinò la mano a quella di lui e l’afferrò. Il contatto con la sua pelle le trasmise un brivido che la lasciò senza fiato. Era morbidissima ma al tempo stesso fredda, come quella di un morto, non emanava calore. La sensazione provata gli lasciò un insolito disordine, possedeva una particolare influenza, un arcano segreto. Sollevandola da terra Garrell fu tentato nuovamente dall’irresistibile profumo di lei, ma trattenne le sue voglie. “Vedo che stai bene! Nessun graffio per fortuna”. Disse lui con una punta di sollievo. Alexandra abbassò lo sguardo, era troppo imbarazzata per sostenere quello di Garrell, tutto sommato non è che parlasse molto con i ragazzi. “Si sto bene grazie! Non è stata una caduta così rovinosa”. “Ottimo” Rispose lui senza lasciare la mano di lei. “Comunque io mi chiamo Garrell, piacere di conoscerti” e alzando e abbassando la mano nel classico saluto, Garrell fece la sua entrata nella rimanente vita di lei. Da quel momento, Alexandra non ebbe più occhi se non per lui. Ballarono, saltarono e risero come se si conoscessero da parecchio tempo, come se fossero due fidanzati, tanto che le sue amiche li lasciarono da soli. Il tempo trascorso con lui parve fermarsi e ripartì solamente quando, ad un tratto, senza rendersene conto, Alexandra si ritrovò avvinghiata a lui, travolta in un bacio appassionante. Il suo primo bacio.
Il gioco è fatto, pensò Garrell mentre baciava la ragazza soggiogandole la mente con le sue capacità psichiche. Adesso era nelle sue mani, a sua completa disposizione. Appagato e soddisfatto del lavoro compiuto, lasciò viaggiare i propri pensieri verso Cassandra. Immaginazioni che aumentarono il suo desiderio di riunione con l’amata. Presa Alexandra sotto braccio, lasciarono la sfilata che procedeva in direzione del centro città. Percorsero di fretta la strada che costeggiava la rocca medioevale e imboccarono una via trasversale che conduceva al cimitero. Mancava poco alla mezzanotte e l’oscurità della notte si era fatta più penetrante. La luna piena incombeva sulle fredde mura della cittadella, come incombeva, il tempo tiranno, sulle spalle di Garrell. Bisognava affrettarsi, non c’era più un momento da perdere, il sacrificio doveva avvenire esattamente, in qual lasso di tempo in cui, la festa di Halloween terminava e iniziava la solennità di Ogni Santi. In quell’istante d’immobilità tra le due celebrazioni. Solamente in questo modo poteva ridare la vita a Cassandra. Un unico tentativo, e non erano concessi errori. Imboccato il vicolo che conduceva al cimitero, Garrell notò che le urla e le risate della festa non esistevano più, sopraffatte dal silenzio. Erano soli, nessuna presenza umana. Senza esitare sollevò di peso Alexandra, e tenendola tra le braccia, si lanciò in una corsa sovrumana che lo condusse, in brevi attimi, dinanzi al cancello del cimitero. Senza che nessuno la toccasse, emanando un sibilo glaciale, la barriera in ferro rugginoso si spalancò, concedendo strada a Garrell. I suoi occhi controllarono, saettando rapidi in ogni direzione, poi con un ulteriore slancio oltrepassò la soglia del riposo eterno, valicando tombe lugubri, statue raffiguranti il figlio di Dio e Angeli della sua schiera. Pochi secondi, e la cripta della sua progenie si materializzò al suo cospetto. Una struttura esagonale, senza tetto, le cui pareti lisce non portavano nessun decoro. L’unico sigillo che identificava la cappella era una V elaborata che riempiva la porta d’entrata. Praticata una breve pausa di venerazione, appoggiò Alexandra a terra e si avvicinò alla soglia. Con un gesto inaspettato accostò il polso del suo braccio sinistro alle labbra, e con decisione affondò i canini nella pelle, lacerando i tessuti. I due piccoli buchi ottenuti iniziarono a stillare gocce di sangue. Senza perdere tempo, dato che le sue ferite si rimarginavano rapidamente, bagnò i contorni del sigillo. Fu rapido, e altrettanto lo fu il sigillo, che come una spugna assorbì il sangue del vampiro. Pochi secondi bastarono, poi prodigiosamente parole di sangue affiorarono lungo la sporgenza del segno. Garrell le lesse fermamente e il sigillo distintivo della sua stirpe si ruppe. Un piccolo tremolio si avvertì provenire dall’interno della struttura, successivamente la sezione di parete rientrò internamente scorrendo di lato. Un respiro tombale e umido proferì dalle sue profondità, investendo in pieno viso il vampiro. Ma Garrell lo ignorò. Sollevata nuovamente la ragazza, che emise un mugugno lamentoso, si scaraventò giù per le scale, giungendo nella sala principale della cripta.
“Finalmente” Esortò con estrema soddisfazione. “Il momento propizio è giunto”. Visivamente eccitato Garrell si avvicinò a una delle sei colonne che sostenevano la volta della stanza. Esausto, si appoggiò al freddo marmo e osservò. Per un lungo momento, l’unico suono fu il crepitare del fuoco.
Se non fosse stato per la luce di una fiaccola infilata in un anello di metallo appeso al muro, l’intera struttura sepolcrale sarebbe rimasta immersa nelle tenebre. La stanza aveva una forma esagonale, come l’esterno della cripta, mentre le sue pareti spoglie conferivano un senso d’asfissia. Esattamente al centro del pavimento, inciso sul nero lucido delle piastrelle, un pentacolo oscuro attrasse lo sguardo impaziente del vampiro. Posizionato all’interno del pentacolo, proprio nel suo fulcro, si ergeva una struttura rettangolare con delle scanalature profonde che scorrevano fino a terra. Era l’ara del sacrificio. L’altare dove Garrell, avrebbe offerto in dono un cuore nuovo alla sua amata. Lo osservò per pochi attimi, il tempo che una singola goccia di sudore gli rigasse il volto, poi vi adagiò sul suo gelido cemento Alexandra. Le unì le gambe e le avvicinò le braccia al corpo, stringendole con delle cinghie robuste, affinché non si muovesse. La ragazza non presentò nessun tipo di reazione. I tentacoli ipnotici di Garrell intrappolavano la sua mente in un piano velato. Fatto ciò, strisciò con estrema calma la mano sul bordo di cemento dell’altare, fermandosi puntualmente su una protuberanza insolita che sporgeva da esso. Senza esitare la premette. Qualcosa, un meccanismo al suo interno scattò, portando alla luce, di fianco alla testa della ragazza, un pugnale splendette. Ora tutto era pronto. Doveva solo comunicarlo a Cassandra.
La sua mente si espanse, allargando la sua estensione psichica quel tanto, per perforare il sottile foglio comunicativo che lo separava dalla mente dell’amata.
“Cassandra”. Un suono pulsò attraverso l’ignoto.
Lo sguardo della vampira balenò nella tempesta di fulmini che si stava abbattendo sulla cattedrale. Gialli come il sole, con venature nere che ricordavano i solchi delle terre più aride, i suoi occhi impazzirono, volgendosi in ogni direzione, in cerca della voce del suo amato.
“Garrell sei tu?”. Comunico mentalmente al nulla. “Si amore sono io! Ho trovato il cuore!” la informò. Sorrise.“Finalmente, ti sono debitore. Dopo tanto tempo potrò lasciare questo purgatorio e ritornare da te”. “Il tempo dell’esilio è finito Cassandra. Giorni nuovi ci attendono, ma adesso muoviti, preparati, la ragazza che ho trovato è qua, dinanzi a me, pronta per la tua rinascita!”. Cassandra si commosse “Grazie amore!” gli sussurrò mentalmente. Poi come un pipistrello, sotto la pioggia martellante e il vento più furioso che mai, si lanciò dalla croce di granito della cattedrale. Il lungo mantello, teso tra le braccia, la aiutò a scendere sulla terrazza principale della chiesa. L’impatto con il terreno fu devastante. Una profonda fenditura si estese fino al magnifico rosone che adornava la volta decorata, distruggendolo. Le mille schegge di vetro, investite dalla luce lunare, rifulsero come saette nella tetra notte, rischiarando il volto glaciale di Cassandra. Rapida come il vento, si tuffò attraversò il rosone frantumato, atterrando come una bomba tra i banchi in legno, che in un attimo si frantumarono sotto la sua potenza. Si ritrovò in piedi, sul pavimento della navata centrale, tra i resti dei banchi. Però questa volta non era sola. Al suo fianco, un mastodontico lupo si materializzò dal nulla. Era grigio come il fumo e possedeva occhi bianchi come la neve, il suo nome era “Silver”.“Caro compagno il mio tempo è giunto, ora dobbiamo salutarci. Sei stato la mia forza, colui che mi ha sostenuto in questi anni d’esilio, senza di te forse sarei impazzita”. Con la mano accarezzò dolcemente il pelo morbido dell’animale. Il lupo la osservò e poi guaì, come se avesse compreso le parole pronunciate da Cassandra. Insieme percorsero il corridoio centrale che portava all’altare, il luogo sacro per eccellenza, dove si sarebbe compiuto il sacrificio. Salì i tre gradini di marmo grigio e si avvicinò. Prima di dare inizio al rituale, si abbassò e prese tra le mani il muso del grosso lupo. “Addio Silver, sei stato il miglior amico che potessi mai avere. Spero un giorno di rincontrarti”. Detto questo si sdraiò sulla lastra gelida dell’ara osservando il soffitto decorato della navata. Mille pensieri le attraversarono la mente, ma in un attimo si dissolsero nel nulla, tranne uno. Quello che bramava più di tutti. Con delicatezza si slacciò il corpetto in pelle, rivelando la profonda cicatrice tra i due seni. La sfiorò con le dita, ritornando al quel giorno maledetto. “Avrò tempo per la mia vendetta” pensò, e chiudendo gli occhi comunicò con Garrell. “Io sono pronta” le trasmise. Il vampiro fu attraversato da un brivido freddo quando colse quel pensiero. Era arrivato il momento tanto atteso. Le sue mani sudate sopra la testa stringevano il pugnale divino, il cui taglio emanava un bagliore sinistro. La tensione era altissima e il tremolio frenetico delle braccia lo metteva in evidenza. Fu un attimo, la lama sibilò nell’aria e penetrò nel petto candido di Alexandra. La ragazza emise un urlo agghiacciante che si espanse tra le mura della cripta. Tutti i tendini del suo corpo si contrassero, mentre gli occhi le strabuzzarono per pochi secondi dalle orbite, poi la fiamma dell’esistenza ospitata al loro interno si spense. In quell’attimo, nel momento in cui la cripta fu scossa da un tremito prepotente, il pentacolo funesto si illuminò, esplodendo in fasci di luce cremisi che illuminarono tutta la stanza, in fine si spense, come la vita di Alexandra. Durante quel breve lasso di tempo avvenne la trasmigrazione delle due festività e del cuore di Alexandra in quello di Cassandra. Tutto accadde così rapidamente, che nemmeno Garrell si accorse della figura materializzatasi al lato opposto dell’ara. Cassandra era tornata. Si trovava proprio dinanzi a lui, eretta in tutta la sua fermezza. Il suo corpo esalava fumo, come se stesse evaporando tutta l’acqua al suo interno, mentre il suo sguardo era fisso in quello dell’amato. Diffondeva un compiacimento indescrivibile. Si scrutarono senza dire una parola. Quell’attimo non reclamava nessuna spiegazione per comprendere la soddisfazione che avvolgeva i due vampiri. L’unica cosa che Garrell notò, furono le mani di Cassandra strette al petto. Adesso finalmente poteva assaporare il battere regolare di un nuovo cuore. Garrell fece alcuni passi fiancheggiando l’altare, aveva ancora il pugnale stretto nella mano quando raggiunse Cassandra. Ciò che videro i loro occhi, quando si cercarono intimamente, fu inesprimibile. Solo allora, dopo quel bacio così appassionato, Cassandra avvertì una brusca emanazione di vita e si rese conto delle lacrime che rigavano le sue guance. In quel preciso istante aveva capito di essere rinata a nuova vita...
La stanza era silenziosa, l’unico rumore udibile era lo scoppiettare di braci nel camino. La fiammella, che a stento animava le ombre delle mobilie, era davvero debole.Per fortuna che la lampada al neon sulla scrivania era accesa. La sua luce illuminava l’uomo che vi era appoggiato, intento nel correggere i compiti di classe dei suoi alunni. La penna stilografica scorreva veloce sulle pagine, evidenziando con il suo inchiostro, gli errori commessi dai ragazzi. Alzatosi dalla sedia dopo il duro lavoro, si avvicinò al camino. Un sospiro d’insoddisfazione gli uscì dalla bocca. La prova era andata male, troppi errori di noncuranza. I ragazzi avevano letto con poca concentrazione le domande. Ma non fu la concentrazione quella che gli mancò, quando una forza indefinibile gli penetrò la mente, ma bensì le gambe. Si ritrovò in ginocchio, con lo sguardo perso nel vuoto. Quell’impulso lo conosceva benissimo. Rapidamente Patrov, l’ammazza vampiri, si diresse giù, lungo le scale che portavano a una camera sotterranea. Senza indugio digitò il codice segreto, la porta scattò e si aprì. Dinanzi a lui si materializzò una teca criogenica dove un cuore rosso vivo aveva ricominciato a battere. Era quello della vampira, quello di Cassandra.