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Trasporto pubblico locale: un biglietto di sola andata e senza ritorno?

Creato il 07 agosto 2012 da Ciro_pastore

TRASPORTO PUBBLICO LOCALE: UN BIGLIETTO DI SOLA ANDATA E SENZA RITORNO?

TRASPORTO PUBBLICO LOCALE: UN BIGLIETTO DI SOLA ANDATA E SENZA RITORNO?

La reintroduzione del biglietto aziendale “a corsa unica” non basta per difendersi dai tagli nazionali e regionali

In questi giorni, impazza sui media locali l’ultima fantasiosa trovata politico - manageriale che tenta di dare soluzione ai problemi del TPL in Campania. A partire da gennaio 2013, infatti, le singole aziende potranno emettere nuovamente biglietti validi soltanto sulla propria rete ed incassarne tutti i proventi. Proverò, e spero di riuscirci, a dimostrarvi come si tratti di una falsa soluzione ad un problema complesso che merita ben altri interventi.

  Innanzitutto, si dimentica che la situazione economico-finanziaria del trasporto pubblico locale italiano va verso un rapido collasso, visto che i recenti provvedimenti inclusi nel Decreto sulla Speding Review tagliano ulteriormente i fondi. Inoltre, a peggiorare il quadro complessivo, c’è l'incertezza del sistema normativo, con le continue oscillazioni tra orientamenti normativi pro-liberalizzazione e comportamenti pratici degli enti locali tendenti a sostenere i monopoli pubblici esistenti. La recente sentenza della Corte Costituzionale, poi, fa nascere la necessità di un profondo riassetto del comparto, che preveda politiche di accompagnamento all'apertura del mercato alla concorrenza, consentendo la ristrutturazione e riorganizzazione delle aziende. In Campania, invece, il timido ed incerto percorso con cui è proceduta finora la riorganizzazione industriale, non ha condotto, ad un sostanziale miglioramento della produttività da parte delle aziende erogatrici del servizio. Di conseguenza, non abbiamo assistito ad alcun tipo di riorganizzazione dell’offerta finalizzato ad eliminare le consistenti duplicazioni, ancora esistenti. Nessuna razionalizzazione dell’offerta ha visto la luce ed i bacini di traffico sono ancora disegnati sulle vecchie e costose logiche territoriali basate su vetusti monte-chilometri, unico reale parametro organizzativo delle aziende. Contemporaneamente, stiamo assistendo ad una brusca frenata degli investimenti per l’ammodernamento delle flotte; anzi, queste sono sempre più obsolete e senescenti a causa della carenza di liquidità da destinare alle manutenzioni. Diventa a questo punto impellente mettere in campo un riassetto profondo del comparto, per evitare l’implosione delle aziende, la drastica riduzione dell’offerta di servizi per i cittadini e l’inevitabile conseguenza di drastici ridimensionamenti occupazionali/retributivi.
A livello politico, l’Assessore Vetrella si muove in maniera schizofrenica. Egli passa da un iperattivismo decisionista, intervenendo fin troppo nella stretta operatività delle singole aziende; parallelamente, mostra una incerta volontà di programmazione di lungo periodo che, nel suo disegno, dovrebbe condurre ad una consistente privatizzazione del TPL. Riguardo a questo obiettivo, il pendolo normativo oscilla ampiamente, fin dalla riforma Burlando del 1997, con tentativi - sempre abortiti - di liberalizzazione del settore. A quindici anni di distanza dall’avvio del processo, però, l’obiettivo non è stato sinora conseguito. A mio modesto parere, le liberalizzazioni sono possibili (ed utili per la collettività), soltanto nel caso in cui si apra alla concorrenza un settore nel quale l’attuale monopolista genera già profitti, da distribuire tra i cittadini (che risparmiano) e le imprese nuove entranti (che otterrebbero subito utili). Come tutti sanno, invece, il TPL è un settore in cui si registrano perdite economiche strutturali, visto che i corrispettivi pubblici (derivanti dai contratti di servizio) e gli introiti da traffico non bastano a compensare gli sprechi e le diseconomie determinate dal sistema formato dall’inestricabile intreccio composto da mondo sindacale, rete dei fornitori e tessuto politico locale. Sistema che, nel suo complesso, resta ancora interessato a perpetuare un controllo politico (e non manageriale) sulle aziende.
In questo quadro così disastrato e complicato, in Campania, aziende e politica si inventano la soluzione furbesca di reintrodurre il biglietto a corsa unica, emesso dalle singole aziende e da queste incassato integralmente. Si tratta di un provvedimento che economicamente non ha la forza per invertire la rotta. I tagli realizzati, sommati a quelli previsti, sono di entità tale che gli eventuali introiti aggiuntivi derivanti dalla vendita dei nuovi ticket, potranno integrarli solo parzialmente. Era meglio, forse, pensare a ridiscutere la clearing (ripartizione fra le aziende degli incassi) in vigore, da sempre contestata soprattutto dalle aziende ferroviarie che, giustamente, lamentano come la genesi storico-politica del Consorzio UNICOCAMPANIA sia stata fortemente influenzata dal predominio napoletanocentrico, dettato dal dominus Bassolino e dalla ViceRegina Sannino. Redistribuire le percentuali di attribuzione sarebbe stato possibile, a meno che dietro questa manovra non ci sia un altro obiettivo: chiudere definitivamente l’esperienza del Consorzio. Si badi bene, non eliminare la tariffa unica, ma distruggere la struttura, dal cui vertice il centrodestra non è riuscita a scalzare l’attuale, e sempre più ingombrante, padrona. Ben più utile, peraltro, sarebbe stato intervenire sui costi del Consorzio derivanti, soprattutto, da stampa e distribuzione dei ticket e dalle percentuali destinate ai rivenditori. Sostanzialmente non riducibili i costi per la stampa (almeno fino alla definitiva introduzione di tecnologie elettroniche), per la distribuzione si potrebbe giungere ad un abbattimento totale dei costi semplicemente imponendo ai rivenditori di recarsi periodicamente presso vari punti vendita “all’ingrosso” (da creare presso le singole aziende sul territorio), magari a fronte di un piccolo incremento incentivante delle loro percentuali sulla rivendita. Se, poi, l’obiettivo della reintroduzione è incrementare l’interesse da parte delle singole aziende per la controlleria, mi pare che si persegua un obiettivo velleitario, in quanto il problema di come e quanto combattere l’evasione (e l’elusione) è di tipo concettuale più che motivazionale. Finora, infatti, le singole aziende hanno dedicato all’attività di controlleria scarse (e poco incentivate) risorse umane, organizzate con criteri assimilabili alla semplice copertura dei turni. In sostanza, la controlleria è stata vista come una sorta di “cimitero degli elefanti”, in cui lasciar “morire” personale demotivato o demansionato. Invece, essa deve essere vista come un’attività centrale di tutta l’organizzazione aziendale, al pari della condotta macchina. In una nuova ottica organizzativa, infatti, macchinisti e personale addetto alla controlleria sono le uniche funzioni ineliminabili e, anzi, da rendere sempre più decisive. Una moderna controlleria deve essere basate su tecniche sofisticate di intelligence e data mining. Non può essere usata la forza bruta basata sulla quantità degli addetti: sarebbe come sparare a poche mosche utilizzando un bazooka . Occorre, invece, saper costruire un sistema articolato in cui modalità e tempi di effettuazione siano determinati da studi accurati sui flussi dei viaggiatori, a cui applicare sofisticate metodologie derivate dagli studi sulla psicologia delle masse. Inoltre, è necessario pensare ad un sistema di forti incentivi economici di tipo incrementale. Infatti, se inizialmente i premi saranno ingenti a causa della grande evasione/elusione attuale, un lavoro ben fatto determinerà una contrazione del fenomeno che dovrà essere ricompensata con un incremento delle percentuali di esazione da destinare al controllore; a cui far seguire, parallelamente, una riduzione numerica degli addetti alla controlleria, in quanto sempre meno necessari. L’attività di controlleria, infatti, è paragonabile a quella dei forestali, la cui presenza è richiesta dagli incendi, ma se gli incendi cessano, essi stessi saranno inutili con la conseguenza che la diminuzione potrebbe provocare una risposta difensiva da parte dei forestali che, temendo la propria inutilità, potrebbero paradossalmente “operarsi” per una benefica (per loro) persistenza degli incendi. Insomma, alla controlleria dovrebbero essere assegnate risorse altamente formate e motivate ma non in maniera definitiva (per evitare il perverso effetto forestali). Soprattutto, il fenomeno va combattuto seguendo due strategie cumulativamente. Da una parte deve perseguirsi l’intento pedagogico per dare forza al senso civico, oggi evanescente, attraverso un’educazione alla sana cultura del pagamento dei servizi pubblici. Dall’altra, deve essere meglio perseguito l’obiettivo repressivo nei confronti dei viaggiotori allergici da ogni forma educativa, con cui essere inflessibili e severi.
 
Per concludere, vorrei fare una riflessione sulla dichiarazione dell’Assessore ai Trasporti che ritiene impossibile aumentare le tariffe, stante il forte degrado dei mezzi e la scadente qualità del servizio. Sembrerebbe una dichiarazione improntata al buon senso comune, eppure l’Assessore sa bene che in clima di tagli nazionali e regionali, un ribaltamento di questa situazione deficitaria del TPL deve passare necessariamente anche attraverso un sostanzioso ritocco tariffario, senza del quale si può solo accelerare il degrado operativo delle aziende ed il peggioramento della qualità del servizio per i clienti I clienti, in fondo, non sanno che farsene di un servizio di trasporto molto a buon mercato quando questo, però, è insufficiente in termini quantitativi e pessimo qualitativamente.

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