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Tre esempi di realismo italiano del Novecento: Cassola, Pasolini e Calvino

Creato il 11 maggio 2014 da Candia Piedigrossi @Papers_CandiaP
"Realismi"Cos'è il realismo? Il tentativo di rappresentare la realtà così com'è, potrebbero rispondere in molti. E a questa risposta, seguirebbe un nuovo quesito: e com'è questa realtà? L'eredità culturale che ci scorre nelle vene dalla nascita ci permette di comprendere l'inesistenza di un'unica realtà e l'impossibilità di poterla dunque rappresentare in modo univoco. Esempio letterario per eccellenza è Pirandello con le sue riflessioni sul relativismo e la sua concezione di identità plurima simboleggiata dall'immagine della "maschera". Come è possibile, allora, perseguire il vero?   Nella puntata di "Parole di carta" (in onda su Agorà televisione tutti i mercoledì), ho voluto mostrare tre diversi esempi di realismo, tutti riferiti ad uno stesso periodo storico. I romanzi che ho scelto sono: "Ragazzi di vita" di Pierpaolo Pasolini, "Il sentiero dei nidi di ragno" di Italo Calvino e "La ragazza di Bube" di Carlo Cassola, ambientati tutti nell'Italia del secondo dopoguerra.    Punto di raccordo dei tre è una data: il 1960, anno in cui "La ragazza di Bube" vince il Premio Strega. In questa occasione, Pasolini pronuncia un discorso, conosciuto poi con il titolo di "In morte del realismo", in cui denuncia il letterario cambio di rotta di alcuni scrittori italiani, primo tra tutti lo stesso Cassola, i quali si distaccano dal Neorealismo. Il 1960 segna, dunque, il declino di un movimento artistico (letterario ma anche cinematografico) che si era diffuso in tutta Italia nei due decenni precedenti e che aveva portato alla luce la realtà della condizione italiana, fatta di sofferenze, difficoltà e miseria.
Il realismo in Ragazzi di vita
Tre esempi di realismo italiano del Novecento: Cassola, Pasolini e Calvino
"Ragazzi di vita" è il romanzo di Pierpaolo Pasolini pubblicato nel 1955, ambientato nelle borgate romane del secondo dopoguerra. Protagonisti degli spaccati di vita quotidiana, tra loro connessi, sono proprio coloro che danno il titolo all'opera: "i ragazzi di vita", adolescenti abbandonati a loro stessi, che commettono atti di delinquenza pur di sopravvivere.    Pasolini dipinge oggettivamente gli spezzoni narrativi, divisi in otto capitoli ognuno dei quali identificato da un preciso titolo, utilizzando la lingua di questi ragazzi, ovvero il dialetto romanesco. L'autore, che aveva scoperto il valore del dialetto sin dai suoi soggiorni a Casarza della Delizia, nel Friuli (dove fondò una vera e propria Accademia della lingua friulana), aveva appreso anche il dialetto romanesco dopo essersi spostato a Roma. Grazie all'utilizzo del dialogo e del dialetto, Pasolini riesce a cogliere sfumature del reale che non avrebbero avuto la stessa sincerità se fossero state trascritte in italiano. Quando il romanzo verrà processato per "oscenità" (accusa da cui uscirà con l'assoluzione piena), sarà Carlo Bo a difendere il valore del romanzo e le scelte stilistiche adoperate, con queste parole "i dialoghi sono dialoghi di ragazzi e l'autore ha sentito la necessità di rappresentarli così come in realtà".   Non solo nei dialoghi, ma anche nelle parti narrative sono inseriti termini dialettali, non distaccati graficamente dal resto del testo (con l'utilizzo del corsivo ad esempio) ma con esso integrato, tanto che la sezione finale del libro comprende un glossario per favorirne la comprensione.   "Il popolo è un grande selvaggio nel seno della società" scrisse Tolstoj: citazione che apre il quarto capitolo, intitolato esattamente "Ragazzi di vita". Costituito da otto capitoli totali, la struttura risulta impeccabile: il primo e l'ultimo sono tra loro connessi nel contenuto; quello centrale, invece, rimanda al titolo. Attraverso il contrasto tra il primo e l'ultimo capitolo, Pasolini sottolinea la trasformazione di uno dei tanti personaggi, il Riccetto, da "ragazzo di vita" a individuo conformato con i canoni borghesi, che egli critica fortemente.   L'attenzione dell'autore, e la sua compassione, si concentra sui "ragazzi di vita", sulle vere vittime delle vicende storiche e sociali: adolescenti che, privi di punti di riferimento, sono anche privi di educazione, ma riescono comunque a provare sentimenti sinceri e puri. Al contrario, i borghesi, nella loro sicurezza economica e nella loro fede nel trittico casa-lavoro-famiglia, sostituiscono la pietà con l'ipocrisia.    Con questo romanzo, Pasolini ha "fotografato" episodi di una realtà locale, riuscendo a creare personaggi del tutto reali, ambientando le vicende in un preciso momento storico e in un determinato luogo, nel quale l'intera Italia dell'epoca poteva rispecchiarsi.

Il realismo in Il Sentiero dei Nidi di ragno


Tre esempi di realismo italiano del Novecento: Cassola, Pasolini e Calvino
Pubblicato nel 1947, "Il sentiero dei nidi di ragno", come la suddetta opera di Pasolini, ha come protagonista un bambino, anche lui conosciuto solo con il suo soprannome: Pin. Le somiglianze che vi sono tra i due romanzi non sono frutto di contaminazione, bensì di un clima artistico e ideologico che aleggiava in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale e che viene definita dallo stesso Calvino come "un fatto fisiologico, esistenziale, collettivo". Nella prefazione all'opera (che vale la pena leggere!) l'autore racconta l'origine del testo come un'esigenza naturale, più forte delle "inflessioni individuali".   Primo romanzo di Italo Calvino, "I sentieri dei nidi di ragno" narra le vicende dell'Italia della Resistenza dal punto di vista di un bambino. Nonostante la descrizione fedele della realtà, derivante dall'esperienza di Calvino come partigiano, e dell'utilizzo di termini dialettali (questa volta non della lingua romanesca ma ligure), già emerge un primo elemento fantastico che andrà poi ad arricchire la produzione letteraria calviniana: il sentiero dove i ragni fanno il nido, luogo dove Pin nasconde una pistola sottratta ad un militare tedesco - simbolo questo di voler seppellire la violenza - e luogo in cui egli si sente protetto, sembra quasi un posto magico ed irreale. 
   L'elemento fantastico, però, è soltanto una lieve sfumatura che, nel corso del tempo e delle sperimentazioni artistiche dell'autore, raggiungerà una posizione sempre più centrale, tanto da diventare chiave di lettura delle opere e da spingerlo, in seguito, all'estrema riflessione sulla natura della stessa scrittura. Le così definite "tre fasi dell'opera calviniana" sono riconducibili dunque ad un unico processo di graduale trasformazione in cui l'attenzione per il reale, sempre viva, si sposta da un oggetto esterno (un episodio storico, la vita quotidiana...) ad uno interno (la narrativa), senza mai venire a mancare.
Un altro modo di interpretare il realismo: Se una notte d'inverno un viaggiatore
   L'evoluzione della poetica calviniana culminerà con la pubblicazione di "Se una notte d'inverno un viaggiatore", nel 1979. L'opera approfondisce la tendenza metanarrativa già emersa in precedenti romanzi: l'attenzione dell'autore si sposta sui meccanismi stessi della scrittura e della costruzione narrativa. Il romanzo, diviso in 12 capitoli di cui due fanno da cornice, è un insieme di dieci diversi inizi di svariati romanzi, letti dal vero protagonista della vicenda: il Lettore   Definito da Calvino stesso "un romanzo sul piacere di leggere", quest'opera postmoderna rappresenta l'estrema ricerca del vero: la realtà mostrata in tutta la sua natura, lontana da ogni finzione. 

Il realismo in La ragazza di Bube


Tre esempi di realismo italiano del Novecento: Cassola, Pasolini e Calvino

1960. Concludiamo con il punto iniziale di queste divagazioni letterarie: Carlo Cassola si aggiudica il Premio Strega con "La ragazza di Bube" (per la recensione clicca qui), suscitando la rassegnazione di Pasolini circa il declino del realismo. Questo romanzo è tratto da una storia vera, quella del partigiano Renato Ciandri e della moglie Nada Giorgi. Abbiamo dunque una nuova prospettiva della Resistenza che si affianca a quella di Calvino, ma, sebbene il contesto storico sia simile, lo stile differisce notevolmente. Cassola non utilizza termini dialettali, né un linguaggio colloquiale, anzi i dialoghi sono privi di qualsiasi connotazione specifica, quasi asciutti. 
   Sebbene il romanzo sia scorrevole, la struttura precisa e lo stile ben curato, il distacco dal Neorealismo è marcato. La storia d'amore dei protagonisti viene inizialmente descritta con un'oggettività e un'assenza di trasporto che rimanda all'intento neorealista di spogliare l'opera di inutili sentimentalismi (tanto la realtà è già cruda di suo, senza metterci dell'altro), come se si trattasse di una testimonianza. Con l'avanzare della lettura, però, anche questo briciolo di narrazione pura si perde nel coinvolgimento del lettore e nella compassione che nasce nei confronti della protagonista.   L'osservazione pasoliniana circa la morte del realismo è testimoniata anche dalla reazione di Nada Giorgi, la donna che ha ispirato il personaggio della ragazza di Bube. Non riconoscendosi affatto nella descrizione di Cassola, anzi considerando lesa la sua immagine da tale rappresentazione, Nada Giorgi denuncia Cassola e contatta un altro scrittore per far riscrivere la sua storia. Dov'è il vero se anche una storia tratta dalla realtà non riesce a rappresentarla così com'è?
   Mentre Pasolini e Calvino hanno rielaborato la loro conoscenza della realtà e la loro esperienza, diretta e indiretta, per creare storie finte e allo stesso tempo sincere, Cassola, pur ispirandosi ad una storia già vera di per sé, ha rappresentato una realtà lirica, priva ormai del dovere storico sentito dagli altri scrittori.

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