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“Tre figli unici. Come sopravvivere a brufoli, tabelline e svezzamento in un colpo solo” di Rossella Boriosi

Da Vivianap @vpicchiarelli

imagesAll’inizio sono stati gli slip dimenticati tra i capelli. Anzo no, è cominciato tutto mesi prima ed esattamente quando – incinta di otto mesi – mi sono ritrovata a decidere in tutta fretta cosa fosse meglio fare: se concedere all’incolpevole passante di credere che il liquido che mi scendeva tra le gambe fosse dovuto alla rottura delle acque, correndo il rischio che si offrisse di accompagnarmi in ospedale, o ammettere serenamente che sì, mi stavo proprio facendo la pipì addosso…

Così scrive la Boriosi, nella prefazione a questo suo diario/manuale per mamme alle prese con figli di età talmente diverse da poter essere considerati quasi “figli unici”. La Boriosi si presenta così nel blog Style.it, web magazine del gruppo editoriale Condè Nast, che cura da quasi un anno: “Milanese per finta, vivo a Perugia con tre figli e un marito part-time, di fatto residente all’estero. I miei figli hanno età diverse, il che li rende tre figli unici. Le mie giornate ruotano attorno a capricci e tabelline, primi amori e paturnie adolescenziali: scrivere di loro è un espediente per non impazzire (fallito). Dicono di me che sono “giovanile”. Questa cosa mi fa rimanere malissimo. La mia storia, ma anche le vostre, sono raccontate qui www.futuralibri.com/prodotto-143014/TRE-FIGLI-UNICI.aspx”

Il libro, infatti, come l’autrice stessa rivela: “raccoglie due anni di tribboli, lamentazioni, risate e prese e di coscienza – tra le quali la consapevolezza che la forza di gravità è una gran brutta cosa per chi ha compiuto trentotto anni per la nona volta e si ritrova dotata di figlie in (tonica) adolescenza.” Un testo, quindi, che nasce dal suo blog, intitolato: “I miei tre figli sono figli unici”, un blog che in pochissimo tempo ha raccolto oltre centomila visite diventando un pò il punto di riferimento per tutti quei genitori stanchi di una maternità e di una paternità dipinta in maniera affettata o forzatamente ironica.

Un libro, questo, che affronta senza falsi moralismi e senza troppi fronzoli le quotidiane (dis)avventure di genitori e figli imbrigliati in età anagrafiche in cui non si riconoscono e dal cui confronto emerge tutta la difficoltà di comunicare e di saper affrontare i propri ruoli nella maniera più adeguata. Esilaranti sono i confronti che l’autrice delinea tra uno “ieri” ancora troppo nitido e un “oggi” avvolto nella nebbia su temi quali musica, abbigliamento, mestruo, giocattoli (un tuffo nel passato anche per me quando si parla della casa di Barbie di cartone con i mobili disegnati o del Dolce Forno o del Cicciobello nero – che adoravo – passando per la tavoletta di plastica bianca con i buchi per i chiodini…). Frizzanti sono i confronti con le amiche su gioie e dolori del parto. Spassose sono ancora tutte le chiacchiare di queste amiche nel ricordare “i traumi infantili” ai quali hanno dovuto sottostare ai loro tempi: la canotta della salute sotto le mutande, il taglio dei capelli a “caschetto padellare” prima dell’estate, la decolorazione dei baffi malandrini, i maglioni fatti a mano che “pizzicano” sulla pelle, tutte torture impossibili da far “digerire” alla propria prole. Ma l’ironia tagliente dell’autrice si staglia, per fortuna, anche contro le mamme iperprotettive di oggi, tutte tese a evitare che il pargolo sudi e prenda aria per poi spedirlo nel tour de force delle attività extrascolastiche.

Mi è piaciuto, sì, vuoi per lo stile da blogger in cui tanto mi riconosco, vuoi per le tematiche non (ancora) sperimentate sulla mia pelle, ma rispetto alle quali, se non altro, mi sono fatta una cultura di tutto rispetto ridendo in più di un’occasione

:-)


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