Tre giorni, due viaggiatori, una macchina, la Tunisia

Creato il 26 maggio 2014 da Nonsoloturisti @viaggiatori

Dobbiamo ancora partire e siamo già in ritardo. L’agenzia presso cui abbiamo prenotato l’auto ci aspettava per le tre. Sono quasi le quattro e siamo ancora per strada. D’altra parte non c’è da meravigliarsi, visto come è cominciata la giornata: sveglia alle sette, distacco dal letto stile Matrix alle nove e mezza, le bottiglie di vino portate la sera prima da Vadim ancora sul tavolo. Le bottiglie, non il vino.

Partiamo, non partiamo? Non partiamo. Invece partiamo. Una piccola avventura su strada prima di lasciare la Tunisia. Una macchina, un compagno di viaggio, qualche destinazione in mente, nessun piano prestabilito. Sì, sì… partiamo.

Venerdì – In fuga dalla città

Il primo turno alla guida è mio. Il traffico di Tunisi è frenetico e convulso, non ha pietà per alcun semaforo, pedone, senso di marcia o precedenza. Schivo le macchine che mi assaltano su entrambi i lati come Luke Skywalker in fuga dall’esercito dei cloni. Dopo aver attentato alla vita di mezza dozzina di passanti, guadagno finalmente l’autostrada e mi rilasso.

Dopo un paio d’ore di guida spensierata arriviamo a Sousse, gradevole cittadina sulla costa molto frequentata dai turisti. L’ingresso in una nuova città mi rimette sull’attenti, ma qui l’aria di mare agisce come un balsamo anche sui nervi degli automobilisti che sono soliti segnare con delle tacche sul cruscotto le loro vittime.

Lasciamo la macchina sul lungomare e ci dirigiamo verso il Residence Jeunesse, che nonostante non si capisca se sia un albergo o un ostello offre sistemazioni confortevoli a buon prezzo. Per la questione cena siamo meno brillanti, la fame attanaglia lo stomaco e rende capricciosi, ma dopo qualche tentativo fallito ci sediamo ai tavoli del ristorante Le Bonheur e ci facciamo portare un paio di tonnellate di cous cous da annaffiare con cascate di birra, neanche fossimo arrivati da Tunisi a piedi.

Sabato – Verso il deserto

Ci svegliamo di buon’ora: alle dieci. Ci tuffiamo quasi istantaneamente nelle meravigliose acque cristalline di Sousse, facciamo le foto di rito e lasciamo che due turiste russe strapazzino il nostro orgoglio ignorando freddamente gli approcci di Vadim. A me importa poco, ma il mio amico marsigliese è qui da due mesi e sebbene la Tunisia sia un Paese relativamente moderno e liberale si tratta pur sempre del mondo arabo, e insomma… beh, lasciamo perdere.

Dopo una colazione frugale Vadim si piazza al volante pronto a scaricare le sue frustrazioni sulla strada. In meno di un’ora – nonostante la partenza nella direzione sbagliata – arriviamo a Kairouan. Appena sbarcati troviamo subito il simpatico Jakub che si offre di accompagnarci alla Grande Moschea di Uqba, in cambio vuole solo che gli mandiamo una cartolina dall’Europa con la neve. Come no. Ma Vadim sembra felice di avere una guida e lo segue con entusiasmo nonostante gli abbiano affibbiato quel ridicolo jeeleba perché si è presentato con i pantaloncini corti all’ingresso. Quando però Jakub ci porta in un negozio di tappeti artigianali io mi dileguo con l’agilità di una pantera. Vadim mi seguirà poco dopo con in mano un tappeto costata più o meno quanto tutto il nostro viaggio di tre giorni.

Carico con nuove frustrazioni da sfogare, il mio compagno divora oltre duecento chilometri di strada in due ore. Nel nostro immaginario Gabes doveva essere un’altra ridente località sul mare, ma dopo averci messo le ruote e aver inveito contro tutte le divinità del pantheon marsigliese, Vadim mi porta rapidamente fuori dalla città, verso Matmata e il deserto. Visto come se l’era cavata con il tappeto, temevo finissimo in un’altra trappola per turisti, invece il mio amico rivela un grande intuito e finiamo con il pernottare in una straordinaria costruzione troglodita scavata nella roccia, il Marhala Touring Club Hotel, attorniati da un’atmosfera suggestiva e in compagnia di viaggiatori provenienti da ogni angolo del mondo arabo.

Domenica – Estasi alla guida

Al nostro risveglio nella troglo-casa facciamo appena in tempo ad accusarci a vicenda per non aver svegliato l’altro – siamo ancora una volta in clamoroso ritardo – per poi catapultarci verso il deserto. Tocca a me guidare ed è un sogno che si avvera: non siamo certo tra le dune, ma da queste parti il mio istruttore di guida Luke Skywalker ha combattuto l’Impero sotto la regia di George Lucas e lanciarsi come missili nel nulla, circondati da sabbia e sassi, con i cammelli in lontananza e il serbatoio pieno – uno dei nostri rari momenti di lucidità – è un’estasi che qualunque automobilista dovrebbe provare almeno una volta nella vita.

Siamo diretti verso le regioni occidentali, lontani dal mare e dai tentacoli del turismo di massa. Il vento copre il silenzio, accompagnato solo da Radio Maria che se solo capissi come fanno ad arrivare ovunque… Ci fermiamo a Douz nonostante sia stato dichiarato lo stato d’emergenza pochi giorni prima. Alcuni scontri tra facinorosi, ci dicono, nulla di cui preoccuparsi. Io compro mezzo chilo di datteri che verranno fagocitati in pochi minuti e Vadim prende il numero di telefono della ragazza che ce li ha venduti.

Siamo tutti e due molto soddisfatti quando arriviamo finalmente a Tozeur, pittoresca capitale del governatorato omonimo. Non trovando neanche un ristorante aperto ci infiliamo in gola due panini senza quasi masticarli. Appena arriviamo alla medina veniamo agganciati da un’altra guida, questa volta il presidente del comitato vattelapesca per la promozione della medina di Tozeur. Vabbé, ormai conosciamo la prassi: ci lasciamo istruire – con notevole perizia, devo ammettere – sull’uso di decorare le porte con simboli religiosi e personali, lasciamo qualche moneta “per la famiglia” e ripartiamo.

Passiamo rapidamente attraverso Kasserine, che non fa davvero nulla per trattenerci, e arriviamo a Sbeitla, dove c’è un sito archeologico che noi non vedremo e poco altro. Però troviamo un’accoglienza di prim’ordine nell’umile ma decoroso ostello della gioventù, mangiamo ottimi panini in un fast food locale in compagnia di ragazzi del posto cordiali e socevoli, fumiamo un sciscia alla mela – c’era anche alla fragola, ma dividerlo con Vadim andava oltre il mio flebile limite del ridicolo – e dormiamo soddisfatti nonostante si sia saltata la lezione di storia.

Lunedì – Ritorno alla realtà

Non credo si possa più parlare di ritardo se si ripete con sistematicità ogni volta. Ad ogni modo decidiamo di infischiarcene e facciamo tappa a Le Kef nonostante ci aspettino alle quattro per restituire la macchina. L’idea è di Vadim, i cui occhi si illuminano ogni volta che ne parla neanche fosse un ragazzino pronto a fare il suo trionfale ingresso a Disneyland.

Mentre avanziamo il paesaggio intorno a noi si trasforma, la terra torna ad essere fertile mentre penetriamo nelle regioni agricole dell’ovest della Tunisia, scarsamente toccate dal progresso imposto alle zone costiere da Ben Alì. Le Kef ci saluta con una vecchia conoscenza di cui avevamo quasi perso memoria nel deserto: il traffico tunisino. Arriviamo alle mura medievali da cui in effetti si gode di una vista suggestiva, ma non posso fare a meno di notare che anche qui ogni angolo diviene automaticamente discarica a cielo aperto e l’indifferenza dei tunisini verso il loro patrimonio storico – alimentata da ragioni sociali di indubbio peso – questa volta mi urta davvero. In barba alle nostre velleità culturali, anche oggi l’apice della giornata è raggiunto a tavola davanti al cous cous.

I 150 chilometri che ci separano da Tunisi sono affrontati da Vadim con serena determinazione. Siamo in ritardo di quasi un’ora per riconsegnare la macchina, ma da queste parti il senso della puntualità è un concetto piuttosto labile. L’ultimo brivido ce lo offre un casello autostradale, quando scopriamo di aver perso il biglietto ricevuto alla stazione precedente. Dopo dieci minuti di frenetiche e convulse ricerche, accompagnate dal blaterare incomprensibile del casellante secondo cui continuare a ripetere la stessa cosa ci avrebbe magicamente concesso di comprendere l’arabo tunisino, ci dichiariamo sconfitti e attendiamo la sentenza: un dinaro e cinquecento millesimi, circa settanta centesimi di euro.

Miracolosamente ritroviamo la nostra agenzia al primo colpo nell’impietoso traffico cittadino. Nonostante abbiamo riportato sulla carrozzeria metà Sahara, la graziosa impiegata ci accoglie sorridente. Scambiamo qualche battuta sulla carta di credito offerta da Vadim a garanzia del nostro ritorno e ci rimettiamo in spalle i nostri zaini. È stata una bella gita. Non abbiamo certo visto le località più suggestive della Tunisia né le più popolari, ma la strada ci ha sollazzato per tre giorni interi, abbiamo apprezzato l’ospitalità dei tunisini e la nostra sete di avventura ha guadagnato qualche settimana di autonomia.

Informazioni utili

Per guidare in Tunisia è sufficiente la patente italiana.

Per la nostra gita abbiamo noleggiato una confortevole berlina al costo di 200 dinari (circa 100 euro) per tre giorni. In città è un buon prezzo, ma fuori Tunisi non è difficile trovare offerte più vantaggiose.

I limiti di velocità in Tunisia sono tre: 50 chilometri orari nei centri abitati, 90 sulle strade extraurbane e 110 in autostrada.

Lungo la sola autostrada della Tunisia si incontrano dei caselli dove occorre pagare un piccolo pedaggio, solitamente compreso tra 500 millesimi e due dinari (circa un euro).

L’autostrada tunisina è in buone condizioni, mentre quella delle strade extraurbane varia ampiamente a seconda della regione. Nell’area sud-occidentale occorre fare attenzione a buche e tratti sterrati. Attenzione anche ai dossi in paese, alcuni dei quali si presentano senza preavviso né indicazioni cromatiche.

In macchina vige l’obbligo – per lo più ignorato – delle cinture di sicurezza. La tolleranza per il tasso alcolemico è zero. Sui tratti extraurbani e in entrata e uscita dai centri abitati è facile trovare dei controlli della polizia, ma solitamente i visitatori occidentali vengono fatti passare senza neanche mostrare i documenti.

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Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo. Barcelona – A Town Haunted by Gaudì: http://t.co/tS4AvcvFO8 via @jetpack – 2 giorni ago Follow @falagia

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