TREMONTI “BUGIE E VERITA “ di G. Duchini

Creato il 29 aprile 2014 da Conflittiestrategie

Dalla lettura del libro (“Bugie e Verità” ed.Mondadori, 2014) una prima cosa appare lapalissiana: non c’è una citazione, ma dico nemmeno uno striminzito sia pure larvato riferimento alle cause originarie e storiche di quello che gli Usa hanno prodotto  nella vecchia Europa. Il libro, sia pure interessante tra tutti quelli scritti nella sterminata pubblicistica degli ultimi anni,  si è dipanato su un arco di tempo ( venti anni ) da quando il centro destra ha mosso con Berlusconi i suoi primi passi.

E sulla falsariga di quel intreccio e/o commistione si sono descritte tutte le aspettative miracolistiche di quell’incontro che segnò, per un breve tratto,  una parte di storia italiana.

E tutto questo fino al novembre 2011, anno di spartiacque tra il governo Monti e Berlusconi. Anno in cui non rischiava di crollare soltanto l’Italia, perché le crisi cumulative in Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna trascinavano rovinosamente l’intero euro, e disastrosamente anche le banche tedesche e francesi con riflessi devastanti sulle loro economie. Con un’idea concomitante di una socializzazione delle perdite, vale a dire che si doveva far pagare il conto all’Italia.

Sulla base dei dati del Centro Studi della Confindustria (2010)  la quota di esposizione delle banche tedesche e francesi era rispettivamente del 42% e del 32% pari a varie centinaia di miliardi; l’Italia era esposta appena del 5%. Fu così che prese piede il primo fondo europeo (Efsm) nel corso del 2011 (con il governo Monti) per un importo complessivo per l’Italia pari al 18% (sul Pil nazionale).

Messa a regime tale percentuale l’ Italia super indebitata ha assunto un maggiore debito pari a 50 miliardi per far pagare ad essa un conto che è di altri. E non fu comunque sufficiente far versare all’Italia il “non dovuto” tanto che la Banca Centrale Europea  fu costretta a dare l’avvio ad una politica di maggiore liquidità. Un processo di tipo nuovo messo in atto prima dalla Banca Centrale Americana poi, per emulazione, dalla Banca Centrale Europea con una evidente differenza: la nuova cartamoneta messa in circolazione va soprattutto alle banche e alla “finanza ombra” come denaro facile (easy money) che si acquisisce in forma quasi gratuita e senza alcun vincolo di regole.

E si arriva alla pagina più oscura: l’ingresso dell’Italia nell’euro. Con l’obbiettivo nel 1998 di riportare il deficit entro il 3%, si varò il piano di sostituione delle entrate fiscali ordinarie e straordinarie  con quelle extrafiscali addizionali; in questo modo entrarono in campo i “derivati per l’Europa”. Per tale difetto d’origine, oltre alla debolezza dei governi succedutesi, l’Italia subì un cambio molto penalizzante lira/euro; oltre ad un altro errore fondamentale, quello di aver sottoposto in modo incondizionato la nostra Costituzione con l’art.117 a diktat euroburocratici (titolo V che così dispone:”La podestà legislativa è esercitata dallo Stato…nel rispetto dei vincoli della Costituzione…nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.”)

Una prima devastante riforma politica fu realizzata dai governi Prodi (dal 1997 al 1999) con cui si voleva “liberare lo Stato dai vecchi modelli della pubblica funzione; lo si doveva slegare dalle vecchie procedure, dai vecchi ordinamenti gerarchici, dai vecchi criteri di azione, soprattutto dai vecchi sistemi di controllo, sostituiti dal mercato. Per farlo bastava sovrapporre al dritto pubblico il diritto privato, confonderli e ibridarli;” e così  che ai vecchi uffici burocratici sono stati aggiunti dalle agenzie e/o Autority di osservanza europea e poi la moltiplicazione vertiginosa dei “Commissari”.

Il vecchio impianto dello Stato italiano “è stato decostruito e destrutturato con la moltiplicazione e la sovrapposizione….di centri di potere rispondenti a logiche privatistiche, alias a logiche partitiche.” Oggi si possono contare circa 35 autorità o agenzie, con una galassia parallela di circa 7700 società e di circa 300.000 addetti.

Sul totale mondiale della popolazione l’Europa conta il 5% anche se ha il 25% della produzione e il 50% della spesa sociale (Welfare); sono dati che riflettono le antiche rendite coloniali. Per decenni abbiamo piazzato i nostri prodotti industriali e finanziari nonostante la fine delle nostre colonie, ma ora non è più così; ed è assai poco probabile che possano comprare i titoli del debito pubblico per pagare il 50% del nostro benessere sociale.

Per non parlare del G7  (Usa,Giappone,Regno Unito,Germania,Francia,

Italia, Canada) che per più di tre decenni ha rappresentato un corpo politico di 600 milioni di abitanti su una popolazione mondiale di 4 miliardi e mezzo, poi sostituito dal G20, un corpo politicamente del tutto diverso, rappresentato da una popolazione quasi eguale a quella mondiale e con un prodotto interno lordo pari all’80%.

La cosiddetta  “cultura della stabilità”  si è costituita in Germania, causa dell’iperinflazione tedesca all’epoca di Weimar. Alla base di questa cultura c’è la consapevolezza della conclusione di un’epoca coloniale in Europa e con essa la fine del “deficit spending” con cui è stata costruita gran parte della politica sociale.

Esiste una cifra chiave in grado di spiegare il dominio attuale della Germania; tra il 1999 ed il 2012 il surplus bilaterale commerciale tedesco con i principali Paesi dell’Europa meridionale ammonta a circa 840 milioni di euro; e grazie a questo incremento la posizione estera della Germania è diventata pari al 41,5% del pil.

Con il governo Monti  troviamo il Fiscal Compact, vale a dire a partire dal 2015 , siamo obbligati per vent’anni a tagli di spesa pubblica più o meno di circa 50 miliardi di euro ogni anno. Ma la ciliegina sulla torta è il principio del Bail-In: il fondamento dell’unione bancaria europea. Con esso l’Europa ha deciso che in futuro le perdite dei default bancari saranno sopportati dai finanziatori (depositanti) privati e non dalle casse pubbliche. Le conseguenze più rilevanti sono che con tale principio si colpiscono gli obbligazionisti ed i depositanti, vale a dire che il costo del fallimento di un istituto di credito fa capo a soggetti privati che nella fattispecie sono rappresentati da coloro che effettuano depositi bancari: un utilizzo improprio di capitali privati per far fronte alle perdite derivanti dal fallimento delle banche in crisi.

Il cambio dell’euro non lo ha fatto l’Europa, ma è stato affidato al “dio mercato” che è il mercato delle valute  dominato dal dollaro il quale ha a sua volta ha interesse a tenere basso il dollaro e alto l’euro per esportare a minor costo onde garantire il mercato dei propri prodotti industriali.

Mutatis mutandis anche la Germania ha le stesse caratteristiche: a monte fa importazioni con moneta forte; a valle esporta prodotti che incorporano tecnologia e qualità da essere comunque richiesti indipendentemente dal cambio forte dell’euro.

E infine, l’euro non è un’espressione di un unione statale nazionale o federale. E perciò chiedere che la Bce faccia con l’euro come fa la Fed con il dollaro è chiedere l’ impossibile.

GIANNI DUCHINI, aprile 2014


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