Tremonti vince, Alfano perde. Torna fra’ Silvio e parla Napolitano. Un delirio!

Creato il 05 maggio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
La notizia, volendo far riposare per un giorno Osama Bin Laden in fondo al mare, è che il Presidente della Repubblica le ha cantate chiare e dure alla sinistra. Il fatto che il cazziatone sia arrivato dal paladino della trasformazione del Pci in un partito socialdemocratico di stampo europeo, la dice lunga sullo “stato delle cose” all’interno dell’opposizione, dove quello che ha le idee più chiare si arrabatta per campare alla giornata senza la minima prospettiva. Sembrano tutti, parliamo ovviamente dei leader o presunti tali, i clochard di Saint-Germain che chiedono cortesemente al passante una sigaretta o un euro per un bicchierino di liquore alla Rhumerie di Jacques Prévert e di Jean-Paul Sartre. Una banda di scombiccherati senza arte né parte (né idee) che vivacchiano in attesa che qualcuno tolga loro una castagna di nome Silvio dal fuoco. Giorgio Napolitano, partecipando a un convegno su Antonio Giolitti (ministro del Bilancio all’epoca del presidentato di Bettino Craxi), ha tratto spunto dagli scritti del padre nobile dei riformatori italiani per dire quello che pensa alla “sua” sinistra, a quella classe dirigente allora giovanissima, ma oggi non più, che ha perso per strada ogni capacità di elaborazione culturale e politica per adeguarsi al nulla berlusconiano. Cercando di batterlo sullo stesso terreno della vacuità, che ne contraddistingue da sempre l’operato, i giovani ex-Pci sono caduti nel trappolone del postideologismo teso da Silvio, con il risultato che si sono snaturati smettendo di essere “credibili, affidabili e praticabili”. Il che comporta, sempre secondo il Napolitano pensiero, che “O la sinistra immagina così l'alternativa oppure resterà all'opposizione”. Insomma, o ridiventa forza di governo riappropriandosi delle tre caratteristiche succitate o sarà destinata a sostare per decenni esattamente lì dov’è: nel boudoir a pettinare le bambole di Ruby. E, mentre gli uomini della sinistra storica, e del mondo liberale illuminato come Eugenio Scalfari, continuano a dissertare sulla valenza culturale della politica per lo Stato e sulla necessità di riappropriarsi del senso di cittadinanza attiva, Silvio prosegue imperterrito a dominare avendo dalla sua il 35 per cento dell’elettorato che si reca alle urne, che non corrisponde propriamente all’intero popolo italiano ma ne rappresenta solo la minima parte. Berlusconi spaccia il “volere popolare” con il gran culo di aver vinto le elezioni per mancanza di avversari (a lui piace vincere facile e questo lo si sa) e, sostenuto dal suo impero mediatico, è riuscito a convincere anche la nostra casalinga di Abbiategrasso di essere l’unico in grado di governare questa nazione. La fregatura è che, preso atto di chi c’è dall’altra parte, non ce la sentiamo di dargli torto fino in fondo. Essendo un bulimico del potere, Silvio non si accontenta di fare quel che cazzo gli pare oggi, ma sta ipotecando anche il futuro prossimo di quegli italiani che, indefessi, hanno ormai affidato alle sue sapienti mani da vecchio pomicione palpatore inveterato il loro misero destino. E lo fa seguendo la vecchia regola democristiana del “bruciare” i candidati a qualsiasi poltrona facendone semplicemente il nome. Accadde ad Aldo Moro, e anche ad Arnaldo Forlani qualche anno fa quando lo nominarono per la presidenza della repubblica, ma quella era tutta un’altra storia. Così, a seconda del vento che spira la mattina, Silvio investe, seguendo la sua logica, esponenti del Pdl al ruolo di “delfino” (pesce palla nel caso di Angiolino Alfano), con il risultato che mai, i prescelti, occuperanno alcunché. Quando un paio di settimane fa investì l’attuale ministro della Giustizia, quello che partecipa alle riunioni dei legali di Berlusconi per vedere come fregare i giudici, nel Pdl iniziarono immediatamente i mal di pancia perché tutti si dissero “E perché non io? Visto che Silvio non capisce una mazza di politica, posso fare il presidente del consiglio senza procurare altri danni, tanto li ha già fatti tutti lui”. Ieri, invece, ha indicato come successore il suo nemico numero uno, Giulio Tremonti, un po’ per continuare a tenere per le palle Umberto Bossi e un po’ per rendere definitivamente inoffensivo il commercialista di Sondrio, sapendo che entrare da Papa in un conclave si è sempre risolto con un uscirne da semplice frate. Tremonti è il perfetto contrario di Berlusconi. Sarà anche vero che di economia capisce poco però, al contrario del suo presidente, non applica allo Stato le teorie dell’economia domestica, insomma non paga gli affitti e le bollette alle concubine accontentandosi di distruggere la cultura, la scuola e la ricerca. Visti i risultati, i vari Cicchitto, Fitto, Galan, Gasparri, La Russa, Letta, Maroni, la stessa Prestigiacomo, sono felici di non essere indicati dal padrone come suoi successori continuando a tenere vive le chance di premierato. Però ignorano, i poverini, che Silvio ha già in mente un nome contro il quale non possono far nulla. Si chiama Marina e fa l’editore. Il cognome mettetecelo voi che a noi viene da ridere.

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