Trenitalia: storia di un ordinario ritardo

Creato il 10 settembre 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Photo credit: Roberto Taddeo / Foter / CC BY

Domenica pomeriggio, partita (leggere “tratta”) Ventimiglia-Torino, arbitra Trenitalia.
A Savona lo stadio (leggere “treno”) è già pienissimo e i tifosi (leggere “passeggeri”) sono tutt’altro che felici di stare in piedi, sudati del sudore del proprio vicino. Si tifa per l’aria condizionata e per un centimetro di spazio vitale. I cori non sono proprio affettuosi, specie per l’alta dirigenza, accusata di criminalità efferata e di scarsa lungimiranza.
Alcuni ultras sono veramente scatenati: urlano, sbraitano, spintonano, cercano di farsi spazio, promettono vendetta soprattutto per chi aveva il biglietto ma non è riuscito ad entrare. Altri indignados fotografano la situazione da carro bestiame e giurano che manderanno il materiale scottante a giornali e televisioni perché, testuali parole, questo non è servire, ma seviziare, torturare. Lo spettacolo migliore lo offrono alcune famiglie che, comodamente sedute, non hanno perso il buonsenso: si stringono, cedono il loro posto alle persone anziane, aiutano a sistemare i bagagli negli spazi liberi sopra e sotto i sedili. Si sviluppa quella solidarietà che nasce dalla condivisione di situazioni difficili: tutti i settori (leggere “vagoni”) dello stadio si colorano di umanità. Ostiche parole crociate affrontate con chi è in piedi per favorire la distrazione, chiacchierate sulle rispettive disavventure con il parentado, dolcetti quasi sciolti offerti ai bambini insofferenti. Alla fine, nonostante i moltissimi minuti di recupero (leggere “un’ora”) e lo svenimento di qualche tifoso (forse per la felicità di scorgere il traguardo, una doccia fredda e la possibilità di muoversi liberamente), la partita finisce. I tifosi escono dallo stadio, esausti e ancora un po’ arrabbiati. Sicuramente hanno una storia da raccontare a casa.
Una storia che parla di disagi e ritardi, ma anche di umanità e solidarietà.