treno di notte per lisbona

Creato il 09 maggio 2013 da Albertogallo

NIGHT TRAIN TO LISBON (Svizzera/Portogallo/Germania 2013)

Era da tre settimane che dovevo andare a vedere questo film. Ma, per un motivo o per l’altro, la faccenda era sempre slittata. Una volta io e la mia amica F. siamo persino arrivati davanti alla biglietteria, salvo poi accorgerci che l’orario che avevamo letto su Internet era sbagliato. “Eh ma dovete venire poi”, ci dice la cassiera, “che ne vale la pena. Questo regista è una garanzia”. “Ah sì?”, chiedo, “e chi è?”. “Bille August“, mi risponde tutta impettita. “Boh”, penso io. Una volta arrivato a casa decido di informarmi su questo nome che in effetti mi dice qualcosa. E scopro finalmente la tragica verità.

Ovvero che questo Bille August, danese, è colui che nel 1993 ha diretto la peggior riduzione (è proprio il caso di chiamarla così) cinematografica di un romanzo che la centenaria storia della settima arte ricordi: La casa degli spiriti. Voto al libro (di Isabel Allende): 8. Voto al film (nonostante il cast stellare): 2. Non si può dire che anche Treno di notte per Lisbona non abbia un ottimo cast. E non si può dire nemmeno che pure in questo caso non si tratti di una sonora schifezza. Il fatto è che Treno di notte è la tipica pellicola incapace di allontanarsi in maniera proficua dall’elemento romanzesco, ovvero da tutte quelle coincidenze, quelle improvvise svolte narrative, quel rapido crearsi di legami interpersonali che in un libro possono anche risultare credibili, ma che in un film hanno bisogno di un approccio molto più diluito, lento e riflessivo per non sembrare ridicoli. La storia di questo anziano professore svizzero (Jeremy Irons, povero lui, già anche nella Casa degli spiriti) che conosce una ragazza aspirante suicida, trova nel suo cappotto un libro portoghese e un biglietto per Lisbona e, nel giro di pochi minuti, decide di prendere il treno per recarsi in quella città allo scopo di ritrovare la ragazza e sapere di più sull’autore del libro, ecco, tutto ciò nel film, così com’è narrato, risulta assolutamente improbabile, sciocco, risibile – la classica sequenza di eventi che ti porta a pensare “Seeee, vabbè”. Stesso dicasi per tutto ciò che accade dopo, ovvero, nell’ordine: il professore trova la casa dell’autore del libro e in tre giorni scopre segreti rimasti sepolti per trent’anni (al centro della vicenda c’è una storia politico-amorosa ambientata ai tempi di Salazar); il professore conosce un’oculista che, sempre in tre giorni, si innamora di lui e gli chiede alla fine di rimanere in Portogallo; il professore rivede l’aspirante suicida, cui nel frattempo, ancora in tre giorni, è tornata la voglia di vivere. Capito l’andazzo, no?

Altri difetti del film: un classicismo estetico che non sa di nulla (siamo ai limiti dello sceneggiato televisivo Rai) e un’evidente discrepanza tra il cast “maturo” (Irons, Martina Gedeck, Tom Courtenay, Bruno Ganz, Charlotte Rampling) e quello “giovane” (in cui si salva soltanto la bella Mélanie Laurent, la francesina di Bastardi senza gloria). C’è poi, come spesso purtroppo accade, la questione del doppiaggio, che appiattisce tutte le differenze linguistiche, dipingendo l’Europa come un unico grande paese in cui tutti parlano perfettamente la stessa lingua, laddove invece, in un film così internazionale, i differenti idiomi avrebbero potuto rappresentare un elemento di interesse. Temo però che questa volta non si tratti del solito stravolgimento italiano, bensì di un “peccato originale” del film. Uno dei tanti.

Alberto Gallo



Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :