Trent’anni fa: il massacro a Sabra & Chatila

Creato il 15 settembre 2012 da Maria Carla Canta @mcc43_

Beirut e la sua lussuosa cosmopolita Downtown,  Beirut e i  quartieri ovest degli espatriati da ogni parte del mondo arabo. Due di questi quartieri periferici sono entrati nella storia perché teatro di un episodio di guerra, un episodio con disonore: il massacro dei profughi Palestinesi a  Sabra e Chatila. 

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Era agosto, 1982:  Usa, Francia, Italia e Israele  firmavano l’istituzione di una “Forza Multinazionale di interposizione” che avrebbe dovuto garantire  l’evacuazione ordinata delle forze dell’OLP. 

Quella che Israele sarcasticamente aveva etichettato come operazione  Pace in Galilea, e che per tutti è la Seconda guerra del Libano iniziata nel mese di giugno, si chiudeva con la cacciata dell’Olp da Beirut.

Il presidente  libanese neo eletto, Beshir Gemayel , figlio del fondatore del partito nazionalista di estrema destra Falangi Libanesi, non ebbe tempo di insediarsi, vittima – il 14 settembre – di un attentato di marca palestinese. La sua morte fu l’innesco di un’esplosione vendicativa.
Ogni uomo, donna, vecchio o bambino, politicizzato o indifferente, combattente o meno, perchè profugo e palestinese divenne bersaglio di un odio di lunga data.

Dal pomeriggio del 16 settembre, con l’entrata nei campi delle milizie cristiano-falangiste di Elie Hobeika alleate di Israele, i Palestinesi dei quartieri contigui di Sabra e di Chatila vengono giustiziati nel modo più selvaggio in una due giorni di furia bestiale che induce a torturare, impalare, smembrare, stuprare e saccheggiare. E rubare. Rubare a chi già è stato scacciato dalla sua casa in Palestina e lì vive precariamente, strappare dal corpo ancora caldo della vittima del proprio odio una catenina o un anello. Infamie di cui è capace l’essere umano quando maneggia un’arma di fronte a un inerme.
I bulldozer spianano case e spostano masse di cadaveri, l’ospedale viene assalito,  i medici stranieri cacciati, quelli  palestinesi uccisi insieme ai feriti che là si erano rifugiati.
Al calar della notte non c’è sosta: i razzi sparati dalle truppe di occupazione di Israele illuminano la carneficina, i furti, il sadismo sui vivi e sui morti.

Il bilancio certo delle vittime non si potrà fare. I resoconti di guerra sono, come ovvio,  inaffidabili. Molti sono scomparsi nel nulla. Non tutti i cadaveri si sono potuti ricomporre per dar loro un nome, molti sono stati sotterrati in fosse comuni nelle stesse ore in cui avveniva il massacro. Certamente non sono nell’ordine delle centinaia, ma delle migliaia.

Se per la storia i numeri contano, per la memoria collettiva conta l’orrore, lo spavento, il lutto di chi da quell’orgia di violenza è riuscito a scampare.


"Camminavo per le strade di Chatila a fianco di una sopravvissuta. Ogni suo passo un ricordo: qui c’era una casa, qui c’era una piazza, qui hanno sterminato un’intera famiglia, qui ho visto con i miei occhi, qui mi hanno ordinato
Oggi Sabra e Chatila sono di nuovo densamente popolate, le case crescono in altezza nello stretto spazio concesso al campo e dai vicoli scompare la luce del sole. La vita è difficile, ma in questi campi profughi ho percepito una volontà di vivere che non ho trovato  altrove  e una certezza che, Insh’allah, si realizzerà il Diritto al Ritorno".

Comandante militare delle truppe israeliane era Ariel Sharon.  Dopo una lunga e potente carriera politica, nell’aprile del 2006, colpito da ictus è entrato in coma e da allora vive in stato vegetativo. Poiché infiniti sono i misteri della mente, non è possibile escludere completamente che, nonostante la lesione cerebrale, su uno schermo misterioso stiano scorrendo le scene di quelle notti illuminate dai suoi razzi mentre gli alleati gli trucidavano  il “nemico”, e quali sentimenti le accompagnano.

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Da sempre contigui i due quartieri, ora sono indistinguibili. Resta come confine simbolico uno stretto corridoio, largo quanto il corpo di un uomo robusto, fra due grandi caseggiati. Di qui Sabra, di là Shatila, come si vede nel brevissimo clip:

Nel  video sottostante c’è la testimonianza diretta di due donne sopravvissute al massacro.
Raccontano l’orrore del sangue, il fetore dei cadaveri, la voragine piena di  corpi nei sacchi di plastica e la terra che scendeva a ricoprirli, l’incredulità  di ciò che i propri occhi constatavano,  le urla e le voci che gridavano ordini, oppure menzogne per favore il lavoro dei carnefici. E c’erano, sì c’erano,  anche  soldati israeliani.
Ci trovavamo nel sito che conserva la memoria dell’evento e c’era il desiderio camminare leggeri, di sfiorare appena il suolo  perché sotto, a pochi metri, c’erano loro: le vittime, per le quali il termine “martiri”  è più appropriato. 
Dei ragazzini giocavano al pallone, del resto quel lembo di  prato  è l’unico spazio abbastanza esteso nella congestionata  Sabra-Chatila dove un bambino questo lo può fare.

 

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Chatila oggi …..

vedere: “Un massacro dimenticato” articolo dell’Independent.


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