Trent’anni per cambiare

Creato il 14 marzo 2014 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

UN PO’ DI STORIA

Correva l’anno 1953 quando Alfred Bester vinse il primo Hugo Award della storia con L’uomo disintegrato.

In quel periodo la fantascienza era all’apice, anche se quella che oggi chiamiamo età dell’oro era agli sgoccioli, praticamente ogni scrittore dell’epoca ha dato un grande contributo allo sviluppo del genere come lo conosciamo adesso. Non si trattava però della prima generazione di scrittori: già nel passato Astounding Stories aveva lanciato molti autori, tra i quali il menestrello cita ovviamente E. E. “Doc” Smith e soprattutto Clifford Simak. A più di sessant’anni di distanza il premio Hugo è forse l’indice più prestigioso di romanzi del genere e difficilmente è possibile trovare un cattivo libro tra vincitori e finalisti. Il menestrello non vuole però parlare di un riconoscimento tanto importante, basta scorrere i nomi dei vincitori per capire che arrivare a tale traguardo significa entrare nell’olimpo di chi scrive fantascienza.

Piuttosto, il menestrello vorrebbe portare all’attenzione i cambiamenti del genere dall’ormai lontano ’53 a oggi.

L’EVOLUZIONE…

Facendo un saltino in avanti di pochissimi anni (il ’60), Fanteria dello Spazio (Starship Troopers) di Robert Heinlein vince l’Hugo come miglior romanzo e segna l’inizio di quella che sarà la vera e propria seconda generazione della fantascienza. Riesumando la space opera e dandole un’impronta decisamente militare che ne fa il manifesto delle proprie idee riguardo la guerra e il patriottismo.

Fanteria dello Spazio è stato scritto in un periodo in cui l’uomo ancora non era arrivato sulla Luna, in cui era vicina l’ultima guerra mondiale e dove si delineava nel modo più caotico l’assetto politico che vediamo oggi. Heinlein era già di per sé un fervente patriota e seppur internazionali, i fanti del suo romanzo rispecchiano molto lo stile americano dell’epoca. La fanteria dunque è il fulcro di tutto e le imprese sono il punto più importante dell’opera.
Anche se Heinlein descrive una società ben strutturata e contestualizza le scelte del suo protagonista, la crescita del personaggio e della sua stessa percezione vanno di pari passo con il proseguo delle operazioni militari, oltre che delle trovate fantascientifiche.

Il sense of wonder di Fanteria dello Spazio si trova quindi nella grandiosità delle astronavi e delle tute dei fanti, c’è spazio per una società meritocratica diversa dalla nostra, dove le lezioni di storia e filosofia vogliono insegnare al lettore che occorre darsi da fare, ma rispetto al resto risulta ben poco apprezzabile.

Trent’anni più tardi, mentre la fantascienza fa i conti con un declino sempre più marcato, con la morte dei suoi mostri sacri e l’avvento di una filmografia sempre più spettacolare e deleteria per il genere (il film ispirato proprio al romanzo di Heinlein ne è la prova), Lois McMaster Bujold tira fuori dal cilindro un piccolo capolavoro: il ciclo dei Vor.

Proprio ne Il gioco dei Vor (The Vor game, premio Hugo del ’91) vediamo come l’autrice interpreta la space opera della quarta generazione, senza preconcetti nazionalistici e priva degli orpelli futuristici delle generazioni passate, tornando a un tipo di fantascienza quasi del tutto estinta.

La ricetta de Il gioco dei Vor risulta ironica in molti punti e rimarca il modo di presentare i personaggi di Heinlein, ma al posto di Juan Rico (protagonista indiscusso di Fanteria dello spazio) troviamo uno striminzito Miles Vorkosigan, pieno di sfaccettature che il soldato spaziale non poteva permettersi.

Il gioco dei Vor è per molti versi una space opera più vicina all’età d’oro di quanto lo fosse il lavoro di Heinlein, ma la società presentata viene messa da parte in favore di un intreccio che si svolge attraverso tutto lo spazio conosciuto, su astronavi da guerra e con intrighi politici che coinvolgono il modo di vedere le cose dei protagonisti. Del resto anche la tecnologia cede il passo, restando qualcosa di presente, ma allo stesso tempo intangibile: si viaggia attraverso le stelle, ci sono armi futuristiche, ma a differenza dei fanti spaziali non è importante saperne il funzionamento. Il gioco dei Vor fa da solo il proprio contrappunto, mostrando come la nobiltà Vor sia piena dei difetti di una società militaristica, rende il protagonista tanto forte da farne l’avatar perfetto in cui immedesimarsi, benché non privo di difetti. Dunque sono i dialoghi tra i personaggi la parte fondamentale della nuova space opera, le situazioni non più irraggiungibili, ma sempre spettacolari e soprattutto un’azione dinamica e dalle conseguenze su scala galattica.

Tra i due romanzi si nota il passaggio del tempo, indubbiamente le favolose tute della fanteria Heinleniana, insieme alle astronavi da guerra e alle battaglie campali hanno ampia visibilità ancora oggi, ma è l’intrigo politico-militare su scala galattica della Bujold ad attirare nuovo pubblico e lo fa senza spiegare come viaggiano le astronavi, ne come funzionano le armi, perché la space opera militare esiste ancora, ma senza il fardello del dover stupire il lettore con trovate e innovazioni futuristiche. Ciò che invece non cambia è la funzione del sottogenere: il contenitore fantascientifico si presta alle più diverse interpretazioni, come un trampolino di lancio per le idee dell’autore.

…O LA METAMORFOSI?

Qualche anno dopo rispetto all’opera di Heinlein (nel ’73) Neanche gli dei (The Gods Themselfs) di Asimov si aggiudica il premio Hugo con una storia incentrata sulla fantascienza più classica presentando (nello stile tipico dell’autore) teorie fisiche interessanti, ma che al suo interno nasconde uno spaccato della società aliena, dando uno smacco a chi diceva che tale sottogenere fosse ormai soppiantato dalla più letta fantascienza soft.

Quando si parla di Neanche gli dei, viene in mente il lavoro dell’autore come professore universitario e saggista, ma se si guarda bene l’opera si nota fin da subito che Asimov in questo ha voluto dare un indizio ancora maggiore al lettore, portando l’attenzione a qualcosa di differente rispetto al nucleo scientifico del libro. Se infatti si parla sempre di fisica delle particelle (in particolare di interazione forte e debole), c’è un intero terzo del romanzo in cui viene mostrata la società degli alieni, le loro usanze e meccanismi sociali, tali che il lettore può godersi tutta la parte centrale del libro, senza il bisogno di alcuna conoscenza scientifica.

Benché la prima parte sia la più tecnica, il modo di scrivere di Asimov garantisce al lettore una visione di cosa stia succedendo al di sopra della conoscenza e delle teorie fisiche alla base dell’intreccio. Come l’autore spiegherà in seguito, il libro è nato per spiegare un universo dove l’isotopo di Plutonio 186 potesse esistere. Dunque Neanche gli dei piega la sua stessa esistenza al bisogno di contestualizzare una teoria e tutti i protagonisti si muovono in tale direzione, dando al lettore continui stimoli scientifici.

Proprio tale bisogno di contestualizzare porta però Asimov alla creazione di un vero e proprio universo parallelo, dove persino le leggi della fisica sono diverse. A farla da padrone per buona parte del romanzo è appunto la società del para-universo; la struttura societaria e gli elementi della triade presentata descrivono un tipo di fantascienza diverso, più simile a titoli che avranno il loro spazio negli anni successivi.

Sempre trent’anni più tardi, gli universi paralleli tornano per fare da sfondo a La genesi della specie (Hominids) di Robert Sawyer (Hugo del 2003), dove paradossalmente è la teoria degli universi paralleli a fare da corollario allo spaccato di una società di un universo dove l’Homo Sapiens si è estinto e i Neanderthal hanno costruito una società tecnologica.

La genesi della specie lascia il genere scritto dalla prima generazione di scrittori, per lanciarsi immediatamente verso il quesito del “cosa succederebbe se”. La lettura dunque non è piena di riferimenti alle teorie fisiche che muovono la ragione del romanzo, ma più verso le interazioni dei personaggi, senza la necessità di fornire una vera e propria spiegazione scientifica al lettore. Largo spazio quindi alla reciproca comprensione delle due società, ai confronti che irrimediabilmente ne derivano e soprattutto alle interazioni dei personaggi, che fanno da reale motore di una trama che a differenza del libro di Asimov risulta secondaria.

Sawyer dunque non riprende il passato, anzi lo ignora e prosegue su una strada diversa, mutando semmai il genere a proprio piacimento, aggiungendo elementi completamente estranei alla fantascienza. Il risultato non è un libro che parla di universi paralleli, ma di persone e di una società (quella dei Neanderthal), che seppure sembra simile alla nostra nella realtà è diversa e piena di sfaccettature che l’autore fa scoprire solo nello svolgimento di un intreccio tutto sommato piuttosto semplice. 

IL RASOIO DI OCCAM

Delle variazioni così simili e allo stesso tempo tanto diverse non sono una mera coincidenza; se da una parte la fantascienza della prima generazione aveva come scopo di sorprendere e meravigliare, oggi tale funzione viene egregiamente svolta dagli effetti speciali di qualsiasi pellicola cinematografica di discreta fattura, viaggiare con la mente può essere più appagante, ma l’imponenza della USS Enterprise proposta nei recenti remake di Star Trek vincerà sempre, a meno che la space opera non riesca ad adattarsi sfruttando altri temi.

Discorso diverso per la fantascienza rigorosa: se agli albori del genere la grande maggioranza dei romanzi vertevano su teorie pseudoscientifiche e personaggi scarni, nel tempo la metamorfosi della fantascienza ha capovolto completamente tale equilibrio, dando al lettore sempre più utopie e sempre meno scoperte scientifiche. Il risultato è una mescolanza di generi che spazia su tutto lo spettro, mettendo in secondo piano eventuali teorie o nozioni, in favore dell’interazione tra persone e società.

La soluzione più ovvia sarebbe di mescolare tutti gli elementi dei vari generi e adattarsi ancora di più alle richieste del mercato, ma farlo rischia di cancellare in parte la natura di un genere longevo e finora decisamente in buona salute.

Lerigo Onofrio Ligure



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