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Trenta sedie per non sedersi, il design con la cultura dentro

Creato il 29 aprile 2015 da Alessandrapepe @AlessandraPepe

Dopo essermi ripreso dalle fatiche del Fuorisalone, rieccomi in versione classica. Le novità e le scoperte delle scorse settimane attendono di essere approfondite ma per ripartire oggi vi racconto di un progetto tanto unico quanto sorprendente. Nel corso della design week ho assistito ad un’intervista di Natuzzi al Tg che lanciava a gran voce la parola d’ordine per le prossime tendenze dell’abitare: Relax! E diciamo che qualche settimana prima me ne ero accorto anche io, considerata la quantità di sedute viste in anteprima: poltrone, chaise longue, pouf, sgabelli e sedie…sedie, sedie, sedie e ancora sedie! Tra non molto capirete la mia scelta di oggi. Durante la giornata dedicata al distretto Ventura Lambrate mi precipito alla volta di Din design in, l’evento dedicato all’autoproduzione di qualità. dove so che troverò, come ogni anno delle novità interessanti. Girando per gli stand, tra pallet e bancali, mi cade l’occhio su un qualcosa che non riesco a definire ma che stimola davvero la mia curiosità. Lo guardo, lo riguardo, mi guardo in giro perché ho bisogno di parlare con chi l’ha pensato.

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Trovo loro Federica Guareschi e Mario Ghiretti e inizia la narrazione. Tutto nasce grazie alla longeva amicizia dei due; lei architetto vocata all’arte e alla progettualità, lui sceneggiatore che passa un giorno dallo studio per proporre un’idea che definire visionaria è dir poco. Veniamo al dunque: prendiamo il reale e mescoliamolo con il fantastico, poi prendiamo concretezze e facciamo la stessa cosa mischiandole con ipotesi. Da qui inizia un racconto che si dipana attraverso un percorso progettuale a base di architettura, ingegneria e fantasia legate tra loro da un filo letterario che unisce verbi a schienali, aggettivi a sedute e pronomi a sostegni. Ok è fatta Federica è convinta, il progetto inizia a prendere forma, almeno sulla carta.

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Da li a breve trenta sedie vengono alla luce; Trenta sedie per non sedersi a quanto pare e io, non posso lasciarmi scappare una simile occasione! Divertimento e provocazione fuoriescono incontenibili da questa collezione di sedute, una ribellione che non vuole vincoli di mercato, manierismi e concetti rigidi e che, per farsi notare, valorizza oggetti e forme che appartengono ad altre epoche. Osservo attentamente tutti i pezzi esposti e mi rendo conto della profondità del messaggio e del lavoro di ricerca e recupero. Federica continua nel racconto e mi spiega che spesso, insieme a Mario, bazzica i magazzini di quelle piccole imprese che sgomberano solai e cantine, per trovare oggetti di recupero e parti di mobili dismessi che giacciono accatastati e che nessuno mai oggi vorrebbe nel salotto di casa. Riconoscibili linee e forme che per anni hanno abitato nei tinelli di nonne e zie e che oggi diventano iconiche nell’immaginario collettivo. Sarà per questo che a materiali tipici della produzione industriale degli anni del boom, può capitare di vedere abbinati schienali di vecchie sedie Thonet, come dire…niente di meno!

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Ci troviamo di fronte ad una vera e propria progettazione del ribaltamento. Design e antidesign, recupero, ecoarchitettura, riciclo e produzioni democratiche; pensieri semplici e al contempo complessi con il forte desiderio di sperimentazione, generati dalla forma e dalla funzionalità di un oggetto di uso quotidiano. Legno, ferro e inserti di materiali plastici armonizzati del colore. Ragione e logica devono sempre primeggiare nel nostro pensiero? A quanto pare può non essere così e allora via con la rivoluzione che parte dalla sedia e che rivendica per lei, nuove dimensioni.

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Io, fortemente attratto da tutto ciò non rinuncio a provare. Mi cade l’occhio su una delle tante sedie esposte che, oltre alle quattro gambe in metallo, presenta una grossa molla d’acciaio colorata a sorreggere la seduta; avete presente quelle dei cavallini a dondolo che si trovano nelle aree gioco dei parchi cittadini? La forma è tipica di quelle in formica e metallo che negli anni ’60 circondavano i tavoli di gran parte delle cucine degli italiani. Bellissima la sensazione, ciondolo da destra a sinistra, avanti e indietro sicuro di non cadere mai.

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Questa produzione tra fiaba e anarchia, include anche piani d’appoggio, tavolini e porta oggetti realizzati sempre secondo i paradigmi del progetto, a confermare che non necessariamente l’estetica ha l’obbligo di conformarsi al gusto e ai dettami di culture dominanti, anche se ha dell’improbabile non è detto che sia impossibile.

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Funk Design ricomincia da qui, ci vediamo la prossima settimana e se volete qui di seguito il video realizzato per il progetto, stay tuned!

 


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