Nozze d’argento per il Trieste Film Festival. La venticinquesima edizione di questa illustre manifestazione cinematografica, tradizionalmente legata al cinema dell’Europa centro-orientale, sì è aperta il 17 gennaio con un serata particolare, in cui pareva quasi di respirare un’aria berlinese. Nel senso che tanto il film d’apertura che la successiva proiezione fuori concorso erano già andati incontro, durante l’ultima edizione della Berlinale, a riscontri critici lusinghieri e a una calorosa accoglienza da parte del pubblico. Se di Epizoda u životu berača željeza (An Episode in the Life of an Iron Pickerr), film con cui l’esperto cineasta Danis Tanovic vinse nel 2013 il Gran Premio della Giuria (al quale va aggiunto quello per la miglior interpretazione maschile a Nazif Mujic), si era parlato abbastanza anche da noi, meno attenzione aveva dedicato la stampa nostrana al pur sorprendente In Blooom.
Già vincitore a Berlino di un premio nella sezione Forum, questo coinvolgente lungometraggio diretto dalla georgiana Nana Ekvtimishvili e dal tedesco Simon Groß ha poi raccolto, in giro per il mondo, un numero considerevole di riconoscimenti. E anche il pubblico triestino, adesso, ne avrà intuito il perché. Ambientato in una Tbilisi le cui atmosfere potrebbero ricordare l’Italia del secondo dopoguerra, In Bloom (ovvero Grzeli nateli dgeebi, in georgiano) sa catturare con una freschezza visiva davvero insolita le parabole di vita così accidentate, perennemente a rischio, di due adolescenti del posto. Eka e Natia. Tutto ciò in un periodo particolarmente tormentato per l’intera regione caucasica, essendo ambientato il racconto nel 1992, e cioè durante quella delicata fase di transizione che vide allontanarsi dall’Unione Sovietica anche l’Armenia, l’Azerbaigian e la stessa Georgia, insieme ad altre repubbliche dotate di una diversa collocazione geografica. E quel delicato equilibrio geopolitico in trasformazione si portò dietro un robusto corollario di instabilità, scontri etnici e assetti socio-economici da ritrovare. Come rappresentano piuttosto bene, nel film diretto con nerbo da Nana Ekvtimishvili e Simon Groß, gli echi dell’aspro conflitto combattuto in Abkhazia.
All’interno di un quadro così precario, irrequieto e a tratti aggressivo, i due autori hanno saputo ottimamente collocare le storie delle due ragazze. Storie emblematiche, come quelle delle loro famiglie. Il nucleo famigliare di Eka è quanto di più disastrato si possa immaginare, solo l’amicizia con Natia sembra darle un po’ di sollievo, anche considerato che pure i rapporti col vicinato e con l’ambiente scolastico non sono rose e fiori, tutt’altro. Ma la stessa amica, Natia, in breve tempo vedrà la propria quotidianità in balia di improvvisi e preoccupanti sconvolgimenti. Perché non è facile per lei, giovanissima, vedersi contesa da due ragazzi, uno dei quali sembra aver ereditato il peggio della cultura patriarcale e autoritaria, lì dominante. Perché un matrimonio organizzato in fretta e furia invece di risolvere problemi, ne crea di nuovi. E perché quando cominciano a circolare armi, in un clima di rivalità maschile già esasperato di suo, la tragedia può essere dietro l’angolo.
Ben raccontato e con un cast adeguatissimo, soprattutto per ciò che riguarda gli interpreti più giovani, In Bloom ha nella danza sfrenata di Eka alla festa il suo momento di profonda e trascinante catarsi, un momento indimenticabile, che può persino ricordare il cinema (altrettanto virato al femminile, almeno in certi casi) di Abdellatif Kechiche.
Stefano Coccia