Il dibattito sui trigger warnings sta assumendo sempre maggior rilevanza negli Stati Uniti e si sta facendo strada anche nelle università anglosassoni. Ma cosa sono, di preciso, i trigger warnings? E cosa implicherebbe un loro uso obbligatorio?
Con trigger warnings ci si riferisce ad avvisi posti all'inizio di uno scritto, un video o un altro tipo di materiale, che avvertono il pubblico della presenza di contenuto che potrebbe scatenare una reazione negativa in soggetti particolarmente sensibili. Nato sulle piattaforme forum online, questo concetto viene ora chiamato a gran voce da una parte dell'opinione pubblica statunitense come essenziale anche in ambito universitario, a segnalare nei programmi dei corsi e all'inizio delle lezioni la presenza di argomenti che potrebbero suscitare sentimenti di ansia e angoscia da parte di studenti che in passato sono stati vittime di violenza, stupro, discriminazioni, o che hanno vissuto in scenari di guerra. Sebbene, come non mancano di fare presente i suoi sostenitori, si tratti solamente di un paio di righe in più all'interno dei programmi dei corsi universitari, il clamore è del tutto giustificato. La questione dei trigger warnings non è riducibile a un'aggiunta formale di poco valore: al contrario, potrebbe avere un peso enorme nell'influenzare il modo in cui il sapere viene trasmesso, insegnato e appreso nel mondo universitario contemporaneo.
Le opinioni a favore dei trigger warnings
La questione ha assunto un peso rilevante in particolare presso l'Università della California, Santa Barbara, dove le associazioni studentesche hanno fatto approvare una risoluzione che consiglia ai professori di utilizzare i trigger warnings nei programmi dei loro corsi. Bailey Loverin, una delle principali sostenitrici di questa mozione, ha dichiarato di aver avuto l'idea dopo un episodio vissuto personalmente. Durante una lezione, un professore ha mostrato in classe un film che conteneva scene piuttosto esplicite di violenza sessuale. Loverin, lei stessa vittima di stupro, pur non sentendosi esageratamente minacciata, ha ritenuto che sarebbe stato corretto, da parte dell'insegnante, avvisare la classe della presenza di materiale potenzialmente pericoloso per tutelare chi ha subito un'esperienza simile in passato. A necessitare dei trigger warnings, secondo i sostenitori della pratica, non sarebbero solo film e materiali che trattano in modo diretto temi quali la violenza sessuale o la discriminazione razziale, ma anche opere letterarie parte del canone occidentale quali Le Metamorfosi di Ovidio o Il Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. In particolare, il caso dell'opera di Ovidio è stato discusso durante un dibattito presso la Columbia University. Una studentessa vittima di stupro ha affermato di essersi sentita minacciata dalle descrizioni esplicite di violenza sessuale presenti ne Le Metamorfosi. Così recita al riguardo un articolo apparso sul Columbia Spectator: "Le Metamorfosi di Ovidio sono un pilastro della letteratura, ma come molti testi del canone occidentale, contengono materiale sensibile e offensivo che marginalizza le identità degli studenti. Questi testi, carichi di narrative di esclusione ed oppressione, possono essere difficili da leggere e da discutere se si è sopravvissuti ad una violenza, se si è una persona di colore, o uno studente proveniente da una famiglia economicamente svantaggiata".
Chi sostiene i trigger warnings ritiene che il loro utilizzo permetta a chi ha subito un trauma e soffre di una sindrome da stress post-traumatico di sapere a cosa va incontro seguendo una determinata lezione o accingendosi ad utilizzare un determinato materiale. "Senza i trigger warnings", spiega Bailey Loverin, "una persona che ha subito un truma potrebbe perdere conoscenza, diventare isterica o sentirsi obbligata a lasciare l'aula. Questo bloccherebbe il suo processo di apprendimento. Al contrario, con l'utilizzo dei trigger warnings l'individuo sarebbe preparato ad avere a che fare con materiale spiacevole e potrebbe contribuire meglio alla discussione o decidere di non parteciparvi". I trigger warnings sarebbero, nella pratica, una semplice aggiunta al programma del corso e un avviso alla classe da parte del professore che ci si accinge a trattare materiale delicato. Un segno di rispetto e di comprensione che, ritengono i suoi sostenitori, al momento manca a molti professori universitari, non abituati a tenere conto delle esperienze di vita che i loro studenti possono aver avuto al di fuori della classe. "Ho l'obbligo nei confronti dei miei studenti di trattare argomenti delicati, ma ho anche l'obbligo di trattarli in un modo che provochi un incontro produttivo con il materiale. E questo incontro produttivo può avvenire solo se i miei studenti sanno che io capisco che questo materiale non è solamente accademico, e che loro lo stanno affrontando come individui con una vasta gamma di esperienze, e che il viaggio in cui ci stiamo imbarcando assieme potrebbe a volte essere doloroso", spiega al riguardo Angus Johnston, professore di storia presso l'Hostos Community College e sostenitore della pratica dei trigger warnings.
Le opinioni contrarie ai trigger warnings
Le posizioni contrarie ai trigger warnings citano molti argomenti a proprio favore. Il primo, e più tecnico, fa presente come il concetto dei trigger warnings sia decisamente poco chiaro, oltre a spaziare verso campi che vanno ben oltre la violenza, toccando questioni culturali e identitarie difficili da definire in modo netto. Un trauma, inoltre, è soggettivo e così è la reazione ad esso. Potenzialmente, qualsiasi immagine, parola o oggetto potrebbe causare una reazione negativa a chi è vittima di una sindrome di stress post-traumatico, e persone vittime dello stesso crimine potrebbero reagire in modo diverso allo stesso stimolo. Si tratta di una questione profondamente intima e difficile da prevedere, che renderebbe l'insegnamento un vero e proprio campo minato per i professori, che si troverebbero a dover portare avanti una lezione cercando di evitare una gamma di stimoli non chiara e non definita, dal momento che paradossamente tutto può essere percepito come un'offesa o una violenza psicologica. Torna alla mente la vicenda di Coleman Silk, protagonista di The Human Stain di Philip Roth, e la sua vita rovinata da un'accusa di razzismo basata sul nulla. Vicende simili fanno già parte delle cronache statunitensi.
In un articolo pubblicato sotto pseudonimo su Vox, un professore esprime un'ulteriore preoccupazione: questa nuova ipersensibilità, della quale i trigger warnings sono un esempio, tenta di bloccare le discussioni scomode, invece di incoraggiare gli studenti a prendervi parte in modo attivo. Ad essere citate sono le vicende dell'università inglese di Oxford, dove un dibattito sull'aborto è stato cancellato a causa delle proteste di un gruppo di studenti, e quelle dell'Hampshire College, dove un concerto della band afrobeat Shokazoba è stato annullato poichè, secondo alcuni studenti, il gruppo conterebbe troppi musicisti bianchi tra le proprie file e di conseguenza si tratterebbe di un esempio di appropriazione culturale. "Ci sarebbe dovuto essere un dibattito. Idealmente, gli studenti pro-aborto dovrebbero essere abbastanza sicuri delle proprie idee da poterle sostenere in una discussione, e una conversazione sulla presunta appropriazione culturale della band avrebbe potuto aver luogo assieme alla performance", spiega il professore. "Ma queste cancellazioni e questi annullamenti sono basati sui sentimenti e non sui fatti. Il dibattito sull'aborto è stato cancellato perchè avrebbe potuto mettere a rischio "il benessere e la sicurezza degli studenti". La presenza della band afrofunk non sarebbe stata "sicura e sana". Nessuno può obiettare sulle emozioni, e quindi l'unica cosa da fare è cancellare le cose che causano ansia - nessun dibattito, nessuna discussione, si preme il silenziatore e si finge che eliminare il disagio sia la stessa cosa di un cambiamento effettivo". Si sarebbe di fronte, insomma, ad un tentativo di istituzionalizzare la soggettività, come spiegato da un lungo articolo apparso sul The Atlantic, che paragona i trigger warnings al concetto di emotional reasoning, una distorsione cognitiva che consiste nel ritenere che la realtà corrisponda sempre al modo soggettivo in cui la si percepisce. Il fatto che uno studente si sia sentito toccato da un determinato contenuto, colpevolizza automaticamente il professore, un processo che se istituzionalizzato potrebbe portare a serie complicazioni per quanto riguarda la libertà di insegnamento. C'è poi, ultimo ma fondamentale, un argomento che fa capo alla natura stessa dell'educazione. Un insegnante dovrebbe essere in grado di spingere i propri studenti verso territori pericolosi, al di fuori della loro comfort zone. Questo implica il doversi scontrare non solo con idee differenti, ma anche con idee che potrebbero essere percepite come offensive e addirittura dolorose. L'educazione e la conoscenza devono essere scomode, devono innescare dubbio, rabbia, anche dolore. Se è certamente necessario tenere conto che per alcuni queste sensazioni potrebbero essere più violente e più faticose da accettare, dall'altro permettere loro di non esporsi ad esse vanificherebbe il motivo stesso per il quale ci si trova in un'aula universitaria. Un corso incentrato sulla letteratura coloniale e post-coloniale, ad esempio, potrebbe essere difficile da affrontare per una persona di colore che si ritrova a vivere ancora oggi le conseguenze di tali vicende; eliminare il disagio alla radice cercando di non trattare temi pericolosi, però, annacquerebbe il senso stesso del corso, che per definizione tratta questioni delicate. Si pone in un'ottica simile l'articolo di Jeannie Suk, insegnante di legge ad Harvard, pubblicato sul New Yorker. Suk si concentra sulle difficoltà incontrate negli ultimi anni da lei e dai suoi colleghi nell'approcciare l'argomento della rape law. "Gli studenti sembrano più ansiosi riguardo alla discussione in classe, e in particolare riguardo all'approcciare la legge sulla violenza sessuale, di quanto siano mai stati nei miei otto anni da insegnante di legge. Le organizzazioni studentesche che rappresentano gli interessi delle donne ora dicono agli studenti che non si dovrebbero sentire forzati a partecipare a lezioni che si focalizzzano sulla legge riguardante la violenza sessuale, e che potrebbero di conseguenza essere traumatiche. Queste organizzazioni chiedono anche agli insegnanti di avvertire la propria classe che l'unità sulla rape law potrebbe scatenare memorie traumatiche. Gli studenti chiedono spesso agli insegnanti di non includere la rape law negli esami per paura che quel materiale possa portarli non dare il massimo. Ad un insegnante che conosco è stato recentemente chiesto da uno studente di non usare la parola "violare" in classe - come in "Questo viola la legge?" - perchè quella parola scatenava una reazione negativa. Alcuni studenti hanno addirittura suggerito che la rape law non dovrebbe essere insegnata perchè potrebbe potenzialmente causare ansia".
Il parere degli psicologi
Nemmeno il campo della psicologia è del tutto compatto sull'argomento, ma in linea di massima la maggior parte degli psicologi è ferma sulla posizione che vede i trigger warnings come dannosi, a lungo termine, per chi ha subito un trauma violento o è stato vittima di discriminazione. In un'intervista fornita al Telegraph, lo psicologo Metin Basoglu ha spiegato come sia molto comune, per chi è sopravvissuto ad episodi traumatici, incorrere in elementi che portano a rivivere il trauma in modo violento e doloroso. Ha aggiunto, però, come un numero infinito di cose possano provocare tale situazione, e come per questo sia del tutto impossibile evitare situazioni scatenanti nella vita di tutti i giorni. Alla domanda se ritenga utile e consigliabile applicare i trigger warnings in ambito universitario, Basoglu ritiene che al contrario si dovrebbe incoraggiare l'esposizione. "La maggior parte dei sopravvissuti ad un trauma cerca di evitare le situazioni che ricordano l'esperienza. Questa fuga equivale all'impotenza, e l'impotenza equivale alla depressione. Non va bene. L'esposizione ad eventi che ricordano il trauma fornisce una possibilità di controllarli. Questa è l'essenza del trattamento che si usa per aiutare i sopravvissuti ad un evento traumatico. Si tratta di incoraggiare il paziente a non evitare ciò che gli ricorda il trauma, ma al contrario esporsi a queste situazioni in modo da sviluppare una tolleranza. Lo paragono ad una vaccinazione. Si riceve una piccola dose del virus in modo che il corpo possa sviluppare un'immunità ad esso. Psicologicamente è lo stesso fenomeno".
Un modo diverso di tutelare
Che i trigger warnings originino da una situazione di ipersensibilità caratteristica degli ultimi anni è una certezza, ed è stato ampiamente trattato da molti articoli. Il fatto che questa ipersensibilità, però, debba essere tutelata all'interno dell'aula universitaria al punto da subordinare ad essa l'insegnamento stesso, è decisamente problematico. Bloccare fuori dalla porta idee che potrebbero essere percepite come scomode e difficili da discutere, quali ad esempio questioni legate al razzismo, al contrasto tra culture e alla discriminazione di genere, equivale a voler evitare una parte centrale della crescita di ogni individuo, studente e non: il dibattito. Questo nuovo atteggiamento, che tende a vedere una discussione infuocata come un male e preferisce eliminare gli argomenti che potrebbero portare ad essa, è chiaramente visibile nell'articolo apparso sul Columbia Spectator, che ad un certo punto recita così: "... un'altra studentessa [...] ha raccontato che il suo professore di letteratura ha dato alla classe l'opportunità di scegliere il testo da aggiungere al programma per quell'anno accademico. Quando lei ha proposto che la classe leggesse un'opera di Toni Morrison, un altro studente ha dichiarato che i testi degli autori della Diaspora Africana sono semprpe letti nella maggior parte delle scuole superiori, e di conseguenza non sarebbe stato necessario leggerli di nuovo. Toni Morrison è una scrittrice sia della Diaspora Africana che del canone occidentale, e i suoi romanzi - oltre ad essere tra le opere più emotivamente e intellettualmente convincenti dell'ultimo secolo - dovrebbero essere ritenuti testi fondanti del canone occidentale. L'osservazione dello studente riguardo Toni Morrison non è stata solo insensibile ma ha anche rivelato un divario ideologico più importante. Per il professore, questo sarebbe stato un momento opportuno per intervenire". La studentessa, e chi la sostiene, ritiene che sia il professore a dover intervenire a silenziare un'opinione diversa dalla sua e che per questo motivo lei ha giudicato insensibile e offensiva, invece di decidere semplicemente di ribattere e creare un dibattito che potrebbe essere benefico per il resto della classe. Sembra essere questo l'atteggiamento imperante in alcuni ambienti universitari: Uun trincerarsi dietro la propria emotività, accusando chi sostiene opinioni di aver offeso, ferito, violato, invece di creare una discussione produttiva. Un'università che non tuteli il dibattito non è concepibile. D'altra parte, non è nemmeno concepibile che in una società come quella attuale, dove purtroppo violenze e stupri sono all'ordine del giorno, non si cerchi di tutelare in qualche modo le migliaia di studenti che sono stati vittime di tali episodi e che di conseguenza a causa del trauma faticano ad avere a che fare con la routine quotidiana. La risposta a questo bisogno potrebbe essere un tentativo di implementare il supporto psicologico presente nelle università, creando sportelli che siano davvero disponibili e in grado di aiutare gli studenti in ogni momento, anche, ad esempio, affiancando loro una persona qualificata che li aiuti ad avere a che fare con letture, film e materiali didattici che scatenano ricordi dolorosi. Si tratterebbe di un beneficio su tutta la linea: da un lato le vittime potrebbero essere seguite e aiutate a superare il trauma non fuggendo ma aumentando la propria soglia di tolleranza, dall'altro la qualità didattica non verrebbe intaccata. E soprattutto, si insegnerebbe ad una nuova generazione di futuri adulti che lo scontro ideologico e il dibattito sono componenti essenziali per maturare con una mente aperta e critica.