TRINAKRIA - La Sicilia prima dei Greci. Il Giardino dell'Eden

Creato il 12 maggio 2013 da Antonella Di Pietro @Antonella_Di_Pi

Ci hanno sempre detto che l’antico nome della Sicilia, Trinacria, cioè l’isola dalle tre punte, fosse stato coniato dai Greci ma, la verità è che i greci quando approdarono per la prima volta in Sicilia scoprirono che l’Isola già era stata chiamata Trinacria dai suoi antichi abitatori, i Siculi.
Quando si affacciarono dalla rocca di Scilla provenendo dall’alta valle del Tevere, i Siculi intorno al 1200 a.c., videro aldilà del mare un paradiso, la verde e rigogliosa propagine del Peloro, che culminava a Capo Faro, con colline alberate degradanti verso il mare, ed ai piedi di essa la stretta pianura alluvionale, intramezzata da piccoli stagni, da paludi e canneti, rigogliosa di piante mediterranee. Un grido nacque spontaneo dalle avanguardie della colonna, propagandosi in ondate successive per tutte le tribù:
TRINAKRIA !!!...era il nome che i viaggiatori siculi avevano riportato al ritorno delle loro visite in Sicilia, nome che forse avevano appreso dai loro cugini etnici, abitatori della Sicilia, fin dal XV° secolo a.c. i Sicani. I Siculi certamente, per le poche iscrizioni che ci hanno lasciato, e si pensa anche i Sicani, parlassero una lingua di diretta derivazione dal Sanscrito, così anche gli Etruschi, sebbene i tre popoli fossero approdati in Italia, partendo dalle valli dell’Indo e del Gange, per percorsi diversi, dopo che si erano affacciati al Mediterraneo, trasformandosi da contadini e pastori qual erano prima in pescatori e marinai, e coalizzandosi con i Shardana (I Sardi), ed altri popoli dell’antico quadrante medio orientale, furono i Sik che per due volte assalirono per conquistarlo il mitico regno dell’Egitto rimanendone per tutte le due volte sconfitti e dispersi dall’Anatolia fino alla valle del fiume Sicano nella penisola Iberica, o passando per l’Atlante dove s’imparentano con i Mauritani ed i Berberi e forse diventando i Sicani, che passarano in Sicilia.
Ma ritorniamo alla Trinakria poiché a seguire questi percorsi della protostoria mediterranea ci potremmo perdere per strada, il fatto certo è che in lingua Sanscrita TRINA significa : vegetazione, erba, parco, bosco, giardino; mentre KRIA singnifica: fatta, creata, costituita (corrispondente al latino CREO) o rimasta nel sicilano: CRIA/TURA; "I Siculi quindi, alla vista di tanto splendore - scrive il prof. Alfredo Rizza, nel suo saggio "Origine Orientale del Siciliano" Casa Editrice Marna, 2008 - non trovarono di meglio che identificarla con il Giardino dell’Eden, ed infatti la chiamarono TRINAKRIA cioè GIARDINO". Iniziò così con un amore a prima vista, la storia ancora non scritta della Sicilia, infatti i Siculi cominciarono a scrivere nella loro lingua, con la venuta dei Greci, adottando l’alfabeto greco e non la lingua e ciò lo fecero intorno al V °secolo a.c., per l’esigenza di poter comunicare con i nuovi venuti, trattare affari commerciali, intrattenere rapporti di vicinato. 
In città come Zankle e Siracusa, dove i Siculi venivano chiamati dispregiativamente dai Greci con l’appellativo di Kirelloy (asini) vi era un regime di bilinguismo, il toponimo Zankle o Dankle ( la falce, l’odierna Messina) era un toponimo dato dai Siculi, che i greci non cambiarono per rispetto verso i Siculi stessi, termine che anzi fu incorporato nel glossario greco per indicare la falce. La cultura sicula era una cultura certamente molto primitiva, agro pastorale, per dirla in breve, dove avevano spazio concetti come l’amicizia, i fenomeni della natura, il regno animale, il volgersi delle stagioni, la fertilità della terra, l’acqua ed il sole, la fede alla parola data, il culto dei morti; si sono tramandate notizie su danze rituali, specie in occasione di matrimoni e funerali, cosa che si riscontra ancor oggi in alcuni paesi dei Balcani, come la Bulgaria o l’Albania, in questo paese, la lingua, l’Albanese è molto contaminata dal lessico siculo, infatti i Siculi prima di passare definitivamente in Italia, stazionarono per lungo periodo in quei territori che oggi formano l’Albania.
La penisola Salentina che vide il flusso più intenso degli sbarchi, ed in cui diverse tribù sicule si radicarono, conserva una lingua molto simile al siciliano, tanto che gli studiosi e gli organismi internazionali preposti allo studio delle lingue, la considerano una variante della lingua siciliana, come del resto lo è il calabrese del reggino nella bassa Calabria.
Gli strumenti musicali che i Siculi ci hanno tramandato sono il flauto di canna, anche nella sua versione multipla che è quella del flauto di Pan, lo scacciapensieri (marranzano) esso fu prima di canna e poi di ferro temperato, il tamburo nelle sue varie forme, la musica accompagnava le danze che erano corroborate quasi sempre da ricche libagioni di vino, non ci sono state tramandate composizioni poetiche o letterarie ma dagli storici greci sappiamo che avevano una alta conoscenza dell’arte della politica che si tradusse in alcuni fatti importanti, come la costituzione della federazione con i Sicani e la fondazione di una capitale unica che per confermare quanto scritto prima, fu chiamata TRINAKRIA. Forse vicino ad Enna, quindi la Città Giardino ove i re si alternavano periodicamente fra l’etnia Sicula e quella Sicana, o anche l’epopea e l’azione politica del grande condottiero siculo Ducezio che nel 453 a.c. iniziò una lunga guerra di liberazione contro i Greci, fondando la lega delle città Sicule e da esse venne proclamato RE, eleggendo Calè Acte (Caronia) come sua ultima capitale, Ducezio sebbene fosse stato sconfitto e dovette andare in esilio a Corinto, rimase nella memoria dei Siculi-Siciliani come il primo RE di Sicilia.
La religione dei Siculi si svolgeva intorno ai fatti ed ai fenomeni della natura, all’alternarsi delle stagioni e quindi le divinità erano Demetra, che personificava la Madre Terra, la feracità della terra, la produzione agricola, essa era di derivazione dal culto ancestrale, storicamente comune a tutte le civiltà primitive fin dal 28.000/25.000 a.c., i Siculi l’associavano al culto di Kore, era presente anche Gaia la dea che emerge dalla natura agricola e ne diviene protettrice. Un culto particolare, autocno e non importatato dall’oscura preistoria mediterranea fu per i Siculi quello di Adranon, rappresentato da un cane che aveva un grande santuario alle falde dell’Etna si dice protetto da mille cani, certamente centinaia di molossi che, addestrati dai sacerdoti del tempio, non aggredivano i pellegrini durante il giorno ma, anzi, familiarizzavano con essi, guidandoli nelle visite. Questo culto veniva associato a quello per la divinità ETNA, individuando nel Vulcano la Madre del territorio siciliano. Ma insieme a quello per Adranon, il culto che assunse una grande valenza nazionale per i Siculi fu quello dei Fratelli Palici, una coppia di gemelli che abitavano le profondità della Sicilia e che avevano sede nei due laghetti di Naftia, alla periferia di Palagonia, ancora esistenti, di questo culto che, come vedremo, conserva una traccia nel linguaggio idiomatico siciliano odierno voglio dilungarmi un poco per concludere questa nota.
I due laghetti di Naftia nelle campagne fra i Comuni di Mineo (Minoa ) e Palagonia (Palikè) fu sede nell'antichità del culto dei fratelli Palici, divinità sotterranee della religione del popolo dei Siculi; oggi il laghetto non è più visibile, in quanto inglobato in uno stabilimento industriale che ne estrae l'anidride carbonica di cui le sue acque ribollenti sono ricche ed erano alla base del culto. Esso nel V secolo a.c., come già prima detto, fu sede del solenne giuramento del Condottiero Siculo Ducezio, fondando nelle vicinanze Palikè (Palagonia) come capitale dello Stato Confederato Siculo. La leggenda, tramandataci da Diodoro Siculo e da altri storici greci e romani, dice che nelle profondità del laghetto, che risiede su due crateri vulcanici, abitavano i due fratelli figli di Giove Etnio e della Ninfa "Talia", ai margini del lago vi era un tempio arcaico, molto suggestivo, con un portico monumentale colonnato, dove si amministrava il culto, esso era sede di una confraternita di religiosi che, ispirati dalle due divinità, discernevano il vero dal falso nei giuramenti, punendo con la perdita della vista ogni spergiuro. Infatti, spesso qualche convenuto veniva visto uscire privo della vista dal tempio poichè, esposto nel pronunciare il giuramento ai vapori e alle esalazioni che uscivano dalle acque del lago, ne era stato leso proprio nella vista... Altrimenti veniva scritto il giuramento su una tavoletta di argilla e se il giuramento o l'impegno era veritiero la tavoletta sarebbe riemersa a galla sospinta dai ribollii delle acque. Fin qui la leggenda dei fratelli Palici su cui non mi dilungo oltre. Infatti, le espressioni siciliane " Orbu i l'occhi avissi addivintari,si non dicu la verità" = "se non dicessi la verità dovrei diventare cieco degli occhi" (o simile) o "la verità veni sempri a galla"... proprio da lì vengono, da quel popolo che visse in Sicilia fin dal 1200 avanti Cristo e che ci ha donato tramandandolo eroicamente, spesso, vocaboli come il verbo TALIARI (guardare)... la Ninfa THALIA... dal Siculo THAL-A' (guardare), modi di dire, come quelli illustrati, e quella innata consuetudine di accompagnare il nostro parlare con una espressiva gestualità,c he ci testimonia che ciò spesso era l'unico modo per comunicare con i forestieri ed i conquistatori (come i Greci o i Fenici o gli stessi Romani) che parlavano lingue molto distanti e sconosciute. 
Antonio Cattino©

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