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TRINCEE - CONFIDENZE DI UN FANTE di CARLO SALSA

Creato il 15 aprile 2014 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr
TRINCEE  -  CONFIDENZE DI UN FANTE di CARLO SALSA

Il milanese Salsa (1893 - 1962) fu giornalista, sceneggiatore e scrittore. Iniziò l’attività letteraria già prima della sua esperienza di combattente sul Carso durante il primo conflitto mondiale. Nel 1929 è stato tra i fondatori del Premio Viareggio.

Trincee cattura soprattutto per la forza di una scrittura potente, carica di immagini forti, a tratti espressionistica. La violenza della tecnologia militare, generata da armi sempre più distruttive, è ben descritta nel suo impatto sugli uomini e sulla natura; le batterie annullano con i propri lampi la differenza tra notte e giorno, le montagne sono martirizzate dalle artiglierie e costrette a sopportare un’enorme massa di uomini, continuamente alimentata da nuove forze che vanno a riempire i vuoti.

Nel testo si lascia ampio spazio ai dialoghi tra i soldati e ai loro canti per testimoniare gli stati d’animo e gli umori dei fanti. Il tenente Salsa viene gettato nel tritacarne della guerra che non ha nulla di glorioso o epico; già il raggiungimento del reparto, effettuato di notte, avviene all’insegna della confusione, con momenti tragicomici. La trincea è un modesto riparo che protegge poco e costringe gli uomini a una quasi totale immobilità, sempre sotto il tiro dei cecchini, nel fango e nel lezzo dei cadaveri. La contiguità con i morti è inevitabile e peraltro spostare i corpi dei caduti significa esporsi alle fucilate degli Austriaci. Salsa passa da una zona di guerra all’altra (San Michele, Merzli, Hermada e altre) stando quasi sempre in prima linea. In certi punti del fronte il nemico potrebbe anche non sparare, accontentandosi di scaricare grandi massi dall’alto, potendo contare sul vantaggio di posizioni sopraelevate. I combattimenti sono selvaggi, aggravati da ordini irrazionali. L’autore ad esempio commenta così una decisione assurda dei comandanti:

Non si trova un subalterno in tutto il reggimento che comprenda la ragione per cui questa marcia fino a Sagrado, in vista del nemico, venga effettuata in quest’ora, in tutta luce. Ma non si deve indagare; qui bisogna avere fede, come nelle faccende religiose, anche se certi ordini appaiono più impenetrabili del mistero dell’incarnazione”.

Il verbo cadorniano delle spallate contro le linee Austro-Ungariche comporta assalti temerari che si rivelano inutilmente sanguinosi; molti ufficiali superiori sposano pienamente questa linea per non vedere compromessa la propria carriera. Alcuni comandanti, abili nello stare lontano dall’orrore delle trincee, come il capitano A., insistono nel vessare i soldati già prostrati dalle battaglie, gravandoli di inutili lavori e mettendo agli arresti senza adeguate ragioni i subalterni, come capita allo stesso Salsa.

Purtroppo il diario riporta poche date e nella seconda parte diventa, a mio parere, piuttosto disorganico, per quanto la scrittura riesca ancora a essere efficace. Da alcuni elementi si può dedurre che siamo nel 1917 quando l’autore viene fatto prigioniero. Le modalità della cattura sono sintomatiche dello stato d’animo dei fanti. La guerra in due anni è cambiata; le trincee italiane non sono più il passivo bersaglio del nemico e ora le nostre artiglierie sfidano alla pari quelle avversarie. Ma i soldati sono mutati, nota il giovane ufficiale. Piegati nello spirito da inconcepibili sofferenze, non sono più disposti a sacrificarsi come prima, proprio ora che le armi non mancano. Così, durante un assalto ben sorretto dalle batterie e descritto in modo magistrale, il reparto di Salsa resta isolato perché il resto dei soldati di rinforzo non interviene. La cattura è inevitabile e porta a una lunga prigionia nei territori della monarchia danubiana. Qui è la fame a tormentare gli uomini; le descrizioni drammatiche sono attenuate dal resoconto delle varie fughe tentate dai prigionieri, pieni di estro “latino”, coraggiosi e abili nello sfidare e sbeffeggiare il comandante del campo. Mentre si allargano le crepe nel vecchio impero prossimo al collasso, c’è anche spazio per una tormentata storia d’amore tra Salsa e una ragazza del posto.

Poi, finalmente, la guerra finisce. La popolazione del luogo (siamo in Boemia) è solidale e affabile con gli Italiani che si apprestano a rientrare in patria. Si parte in treno verso casa. A Trieste, divenuta da poco italiana, l’accoglienza è dura; gli uomini non ricevono l’assistenza che si aspettavano e alcuni muoiono. Poi si arriva a Padova, con grande trepidazione. Lo scrittore ha passato sedici mesi in Austria e prima oltre un anno al fronte. Anche nella città veneta il comitato di benvenuto è formato da soldati; gli ex prigionieri, bollati come traditori, vengono considerati un problema di ordine pubblico. L’amarezza è grande e fa rivalutare al giovane tenente i carcerieri che dividevano il poco cibo, pane misto a fango, con i prigionieri. L’ultima immagine che il diario ci offre è particolarmente aspra ed è quella delle baionette puntate verso Salsa e i suoi compagni.


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