Tris di live report: NECROPHOBIC @Traffic, ZU @Init e KING DUDE @Dalverme

Creato il 15 maggio 2015 da Cicciorusso

Necrophobic/ Mutant Safari/ Voltumna @Traffic, Roma, 2.05.2015

Lo scorso weekend ho ospitato un couchsurfer spagnolo. Si chiamava quasi come me: Francisco Rubio. Voleva stare da qualcuno appassionato di musica che gli facesse da guida nei bassifondi sonori dell’Urbe. Chi meglio di me, dunque. Appassionato di hardcore e post rock, Francisco afferma di non essere mai stato a un concerto death o black in vita sua, quindi lo porto al Traffic a vedere i Necrophobic. Arriviamo in tempo per i Mutant Safari, il secondo gruppo di supporto, che conoscevo solo di nome e mi sono piaciuti abbastanza. Si definiscono deathcore e uno quando sente ‘sto termine pensa sempre alla solita sbobba con i ritornelli puliti e lagnosi. Invece è deathcore in senso letterale e quindi giusto: death/grind cattivissimo con pesanti influenze post-hc. Il cantante ha un look crustone e vomita rabbia su un pubblico purtroppo non delle grandi occasioni a causa del ponte del primo maggio. Mi ricordano una sorta di versione meno tecnica dei Burnt By The Sun. Davvero niente male.

Gli svedesi salgono sul parco con alla voce il redivivo Anders Strokirk, che aveva cantato sul debutto The Nocturnal Silence per poi lasciare il posto a Tobias Sidegard, buttato fuori due anni fa dopo essere finito sotto processo per aver menato la moglie. La scaletta alterna brani della produzione più recente (che ammetto di non conoscere bene) e vecchi classici come Darkside e Revelation 666, che ci smuovono decisamente di più. Non una prestazione memorabile, a esser sinceri: Strokirk non è al massimo della forma e si sente l’assenza di una seconda chitarra, anche perché il basso non è presentissimo. Francisco è colpito dalla relativa quantità di belle figliole presenti e dice che adesso inizierà anche lui ad andare ai concerti death/black. Io mi astengo dallo spiegargli che non è sempre così perché la nostra missione è sempre cercare di portare nuove anime al Demonio.

Zu/ Caterina Palazzi @Init, Roma, 3.05.2015

Il giorno dopo si va all’Init per gli Zu, di cui Francisco è un grande fan. Era incuriosito anche da Caterina Palazzi, contrabbassista romana dalla creatività eclettica e irrequieta che porta sul palco il progetto Sudoku Killer. Il relativo disco mi era pure capitato per le orecchie. Atmosfere tra free jazz e colonne sonore da B-movie. Affascinante anche per chi non è avvezzo al genere. Sarà almeno la terza volta che vedo Caterina Palazzi dal vivo. Qualche anno fa avevo aiutato un mio amico a mettere su un blog sulla scena jazz romana. A livello operativo, intendo, non capisco quasi nulla di jazz. Nondimeno, ciò mi ha portato ad avere una buona cultura sul panorama capitolino (pur non essendo in grado di scrivere due righe sensate su, che so, John Coltrane) che mi tornava spesso utile quando, ancora non accalappiato, mi spacciavo per intellettuale decadente e raffinato con le turiste. Sa Satana quanti concerti di cui non mi fregava un tubo mi sono visto al Charity Café piuttosto che alla Casa del Jazz unicamente a scopo di libidine. Poi le suddette turiste, tornate in Arkansas, mi aggiungevano su facebook e scoprivano che postavo solo video dei Cannibal Corpse e post di Matteo Ferri sul folk/black uzbeko. Ma tutto questo non c’entra nulla con Caterina Palazzi e, a ben vedere, manco con gli Zu, che radono al suolo un Init stracolmo. Non conosco la discografia dei romani in maniera esaustiva (essendo uno sporco metallaro, il mio preferito è Carboniferous) ma mi attrae la loro capacità di mettere gli strumenti espressivi del jazz (un sassofono aggressivo ma non cacofonico nel senso zorniano del termine, le strutture ritmiche escheriane) al servizio di un muro di suono pesantissimo e soffocante. A modo loro, unici.

King Dude @Dalverme, Roma, 6.05.2015

Stasera stanno tutti ai Blind Guardian. All’inizio volevo andare anch’io, che ho smesso di seguire i tedeschi dopo Nightfall In Middle Earth. Sono un gruppo che stimo, capisco benissimo perché tanta gente li adori ma saranno passati anni dall’ultima volta che ho inserito un loro album nel lettore. Ci sono pure i Goat all’Orion ma alla fine vince l’effetto underdog e mi reco solo soletto al Dalverme per sentire King Dude. Scoperto grazie al Roadburn (quante cose belle si scoprono grazie al Roadburn), il cantante neofolk americano è entrato in un microsecondo nel pantheon dei miei idoli minori. Nell’ex cella frigorifera che costituisce il palco del Dalverme (in origine una macelleria) fa un caldo della madonna. Mi piazzo in prima fila perché l’interazione con il pubblico è una grossa parte del gioco e io due o tre testi me li ricordo, quindi mi sento corresponsabile della buona riuscita dello show. Tj Cowgill beve whisky e si spara una sigaretta dietro l’altra. Ci spiega di aver visitato la Cripta dei Cappuccini. Durante la hit Lucifer’s the light of the world io e gli altri due scoppiati che conoscono i dischi riusciamo a coinvolgere anche altri astanti nel coro. Finisce tutto abbastanza presto, con un paio di pezzi eseguiti alla pianola. Un’oretta di show e Tj sale su a farsi un altro drink nel disappunto di chi sperava in qualche canzone in più. Però fuori dal locale si rivela simpatico e disponibilissimo a fare due chiacchiere con tutti. Io gli faccio: “Certo, da una chiesa a una cella frigorifera, stai suonando in un mucchio di posti strani in questo tour”. Lui capisce che l’avevo visto pure al Roadburn e si fomenta e stiamo cinque minuti a parlarci addosso dicendo quanto era fico il Roadburn e che non c’è niente di più bello del Roadburn. Se fossi uno psicologo, aprirei uno studio per la cura della sindrome post-traumatica da Roadburn, secondo me c’è una discreta clientela. (Ciccio Russo).



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