A vederle in dvd, nel trittico immesso sul mercato dall'Arthaus, ci si chiede come fossero queste perfomance in teatro: mi viene in mente la formula "cinema-danza", ma non credo che esista o che si possa dire esatta. E non importa. La qualità specifica dei DV8 è visiva - a tratti mi vien da dire caravaggesca, ma dovrei richiamare tutto l'immaginario dell'eredità fiamminga (e a volte quella veneta) della nostra tradizione pittorica, dai rossi - ora cupi ora accesi - a tutto il realismo ombroso e freddo, acquattato lì e pronto a esplodere. È un colpo d'occhio, o un colpo di fulmine vermiglio. Teatro profondamente drammatico, il loro, tragico nell'intimo, dove però si ride anche, dove le parole (quelle eseguite da Nigel Charnock, nell'indimenticabile scena centrale del suo tristissimo party) sono puro suono su cui si danza, perdono valore semantico, hanno il valore di un ronzio che disturba le varie attrazioni provvisorie tra gli astanti.
La solitudine emerge con forza da questo Strange Fish, l'impossibilità di penetrare nell'altro, perfino la vanificazione del gesto erotico, frustrando per di più ogni bisogno affettivo. Il desiderio, soprattutto per il maschio, sembra compromesso (ma non depotenziato) dalla vanità un po' grottesca e vuota dell'uomo stesso, che compete per gioco e non mostra nessuna urgenza per il sesso femminile. Sono piuttosto le donne che si macerano in un odio sperticato, in un sacrificio all'altare delle brame e dell'amore impossibile.
Sotto di loro, sotto la loro pelle direi, brulica un palpito oscuro, che non fa paura e si vuole aiutare a emergere, una forza che s'offre, soffre, soffoca: il sordo tocco del legno, quel rassicurante tonfo su cui danziamo, nasconde un'immensa piscina amniotica nella quale nuota uno strange fish, la materializzazione di un desiderio e insieme la paura della morte. La sua comparsa sembra vanificare tutta la lotta per superare la solitudine e la burlesca emancipazione dei sensi. Ma la lettura di questi corpi in subbuglio, di questi volti indecifrabili e umanissimi dei DV8, non merita una costrizione all'interno di un codice simbolico, sarebbe come sprecarne il talento. Dopo più di vent'anni Strange Fish, fatta la tara di provocazioni comprensibili, ma datate, mantiene intatta la sua ricchezza suggestiva e profonda e una fortissima impronta autoriale.