Trittico DV8. 2. Enter Achilles

Creato il 02 aprile 2013 da Spaceoddity
DV8 vuol dire trasgredire. Energia al servizio di una sistematica disintegrazione dell'immagine. Perciò viene difficile comunicare l'eleganza e, direi, la delicatezza che impregnano questo turbolento teatro-danza, individuabile attraverso un sonoro, tutto ormonale erotismo. Certo, Enter Achilles (1996) non è Strange Fish, non ne ha i misteriosi brividi ascetici, non è dissanguato come quel capolavoro sul sacrificio e sul desiderio. Al contrario, qui prevale una corporeità (tutta maschile) di disarmante umanità. All'interno di un locale (altrimenti deserto) dei ragazzi si contendono le birre disponibili in una festa giocosa e tutta cameratesca con non rare esplosioni di gioia fisica. Il tono di Enter Achilles è lungi dal toccare le vette tragiche di altri spettacoli, è anzi grottesco, talvolta fumettistico, altrimenti detto camp, ma appunto è tutt'altra cosa.
Contesa postmoderna del proprio piacere che sembra non contemplare le donne, se non una bambola sagomata e sex toys affini, Enter Achilles è spietato e imbarazzante: non per quello che mostra - la cultura suburbana della nostra tv ci ha abituato a ben altro - bensì per quello a cui allude sulla nostra disponibilità a rinunciare all'altro. In una pièce di 45 minuti dove giovani disinibiti ed esuberanti declinano il proprio estro nelle più fantasiose e leggere coreografie, il bisogno affettivo ed effimere, quanto intense, complicità prendono il posto dei rapporti umani. Su questo, i DV8 sono disumani. Sia in carne, sia di pezza, l'altro è un gioco, un compagno di figure splendide e suggestive, un alleato, non un amico (e meraviglioso mi pare a riguardo - come un complotto o un progetto - l'appellativo per il gruppo di dance coalition, non più physical theatre). Enter Achilles è una danza di sguardi cannibali (un po' Fassbinder e un po' Jarman), di corpi che si baloccano e si nutrono di altri corpi.
Come non c'è un'unica linea narrativa, a vantaggio di un sovrapporsi di controscene (l'azione ruota attorno al gruppo e al locale, con generose incursioni in altri luoghi, in bilico tra "interni" ed "esterni"), non c'è una linea sonora unitaria: attraverso un jukebox visto "di profilo" - che più vintage e più queer non si può - singoli danzatori frantumano gli sviluppi possibili. Il campionario di pezzi riporta la danza al clima goliardico e sprezzante di una festa di universitari fuorisede, dove tutto è centrifugo. Enter Achilles - interpretato, non solo danzato da eccellenti artisti - è un acrobatico slalom tra equilibri divergenti e vertiginosi, dove non è il peso dei corpi a dominare, bensì l'angelica ed esplosiva levità di un magnetismo animale fuori di sé.

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