Ci si guarda intorno ed è True Detective mania.
La serie TV è infatti riuscita in pochissimo tempo -solo 8 episodi- a diventare un cult, mettendo così l'ennesimo fiore all'occhiello della sempre affidabile HBO.
Proprio per questo mi riesce molto difficile parlarne, perchè questo alone di cult, questa addizione, l'ho faticata a sentire.
Chiariamo subito, però, prima che partano gli insulti.
La perfezione si sente in continuazione, ad ogni episodio, ad ogni scena, ad ogni dialogo.
Non solo i personaggi sono costruiti in modo divino, uomini scavati dalla rabbia, dall'ossessione e dalla sofferenza, e sono altrettanto ben interpretati da attori monumentali. Matthew McConaughey dimostra ad ogni membro del TeamDiCaprio di meritarselo eccome quell'Oscar portato a casa con Dallas Buyers Club, mettendo tutto se stesso in Rust, uomo dai mille conflitti ma da una verità da perseguire e prodigare attraverso perle di saggezza filosofica di incredibile profondità. Allo stesso modo Woody Harrelson non molto in spolvero ultimamente (Hunger Games a parte) rinforza la sua carriera attraverso il contraddittorio Hart, padre di famiglia altamente infedele, detective ligio fino a un certo punto, ma dal cuore sotto sotto d'oro.
Non solo, dicevo, perchè anche la regia (affidata in toto a Cary Fukunaga) sa il fatto suo, con una fotografia volta a mostrare i lati oscuri degli uomini e dei paesaggi lacustri e paludosi di un'America dimenticata attraverso movimenti di macchina superbi, tra lunghi piani sequenza suggestivi e ansiogeni al punto giusto.
E non solo soprattutto perchè la parte migliore di questa serie sta tutta nella sua sceneggiatura, che scorre avanti e indietro nel tempo, con un'indagine sull'indagine che solo verso la fine viene abbandonata per arrivare al presente. Nic Pizzolatto sceglie infatti di far raccontare agli stessi detective il caso che ben 17 anni prima li vide coinvolti, dove culto e religione si fondevano a rapimenti e omicidi, in un racconto dove però verità e menzogne si susseguono, e dove la parola fine deve ancora essere pronunciata.
Se il caso viene infatti risolto in poco tempo grazie all'arguzia di Rust, non tutto finisce, e nei successivi 7 anni altri elementi continuano ad emergere fino a fare un altro salto -questa volta di 10 anni- che li porta nel 2012, davanti a una telecamera e alle domande scomode di altri due detective a cercare di arrivare a mettere la parola fine al tutto.
In questa soluzione narrativa vengono poi disseminati dialoghi e monologhi di rara profondità, riguardanti la vita, la morte, la religione, la condizione stessa dell'uomo, snocciolate da un Rust realista e coerente come pochi altri personaggi mai creati.
Cosa manca allora alla serie?
A prima vista, e a detta della maggior parte del popolo via web, assolutamente nulla, anche perchè il finale ha saputo calibrare bene azione, ansia, sentimenti portando a soluzione ogni quesito, e creando già termini cult come Yellow King o Carcosa da ripetere e venerare.
Da un punto di vista strettamente personale, invece, è mancato quello scatto, quell'amore dato da un fascino troppo rude, maschio e granitico che non ha portato all'addicted.
E non incolpo la freddezza della storia e della fotografia, perchè sentimenti ed emozioni come l'orrore, il disgusto (soprattutto nell'ultimo episodio) e il turbamento sono sorti spontanei e a più riprese, né la poca presenza femminile, visto che Michelle Monaghan sa il fatto suo, almeno nella prima parte.
Forse il tutto sta nel momento sbagliato della visione (dopo il davvero addicted Doctor Who), o della settimana... Non me ne vogliate quindi, e non badate troppo alle mie opinioni, perchè ad ogni modo e sotto qualunque punto di vista True Detective vale davvero, e a scanso di equivoci, sono già pronta a concedergli una seconda visione per cambiare idea... sono perdonata?
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