Ideatore: Nic Pizzolato
Attori: Matthew McConaughey, Woody Harrelson, Michelle Monaghan
Paese: USA
Credi di essere abituato a ciò che un'opera audiovisiva può offrirti. Ne hai viste tante, ne hai riconosciuto da tempo la potenza, impari a non meravigliartene ancora. A goderne, ad apprezzarle, ma non a meravigliartene. E poi capita che ti colpiscono dritto sul piede d'appoggio, ti ritrovi sospeso a mezz'aria tra la sorpresa di trovarti in quella posizione e lo scenario nell'immediato futuro di colpire il suolo con tutto il peso del tuo corpo. Fino a che, un attimo prima che accada, ti riprendono, e ti lasciano inerme lì, senza appigli, a godere di tutto ciò che ti offriranno. Ogni tanto provi a razionalizzare, a guardare il tutto in maniera più distaccata. Ad analizzare, a cercare di capire, a freddo, il reale valore artistico di quanto stai guardando, al netto di un forse eccessivo trasporto emotivo. E' che in realtà è una stronzata, lo sai quando stai vedendo un capolavoro, te ne accorgi, sai che verrai preso a schiaffi come un bambino che è atterrato qui dal passato e vede un film per la prima volta.
True Detective è una roba eccessiva. Consolida il podio della HBO, che si impone su tutte le altre emittenti a mani basse. Consolida la superiorità del mezzo televisivo sull'attuale cinema in maniera quasi umiliante. E' la dimostrazione che chi individua ed impara ad utilizzare i codici televisivi può tirare fuori opere davanti a cui l'unica cosa da fare è tacere. Normalmente livelli tali vengono raggiunti da serie che si prendono come minimo 4 anni, nei quali sviscerano storia e personaggi a cui durante tutto quel tempo non puoi non affezionarti, restituendo al termine ritratti che racchiudono piccole epopee. Qui invece siamo andati oltre. Una sola stagione, solo 8 puntate, ma dopo l'ultima sequenza sembra di aver assistito ad una storia enorme. In termini temporali in effetti lo è, racconta quasi vent'anni, con continui salti tra presente e passato. La maestria è lì, poteva facilmente spezzare l'emotività, risultare macchinoso e invece riesce nell'intento di fare l'esatto opposto. Un montaggio fluido come non se ne vedevano da tempo sfuma ogni sequenza da una decade all'altra senza che si avverta alcun sipario chiudersi e riaprirsi; non si ha mai quel fastidioso desiderio che la storia torni subito su un piano temporale piuttosto che sull'altro perché è più interessante il primo del secondo, o viceversa. Tutti i piani sono curati e perfettamente calibrati, sono tutti interessanti allo stesso modo. Sono gestiti così bene che quasi nemmeno si avvertono.
Se anche fosse successo, invero, non se ne sarebbe accorto nessuno perché la dimensione in cui viene immerso il racconto è così magnetica, così distante, così meravigliosamente finta da smorzare ogni criticità. Più che una dimensione sembra liquido amniotico. Capisci a quel punto che avevi valutato male, che non sei sospeso a mezz'aria, sei da qualche altra parte in cui la gravità non è la stessa, in cui la percezione scopre l'elevazione a potenza, in cui il mondo esterno non ha accesso, un posto in cui il tempo sperimenta la relatività. La narrazione è una delle variabili principali dell'equazione amniotica di cui si sta scrivendo. E' lenta, ipnotica, sa perfettamente cosa sta raccontando e sa perfettamente come farlo, ha completo controllo della situazione. La singola puntata sarebbe potuta durare anche 3 ore, sarebbero sembrati i soliti 5 minuti. Dilatati, in realtà, non 5 minuti, ma comunque 5 minuti. Come scrivevo, il tempo sembra funzionare diversamente.
Laddove anche la creazione della dimensione avesse avuto qualche stortura, di nuovo, non se ne sarebbe accorto nessuno, perché a cullare la razionalità con l'emotività ci avrebbero pensato questa volta le musiche, le ambientazioni fuori dal tempo, già di loro distanti dalla civiltà come la conosciamo, fatta di lavori, macchine, rumore, gente, tv, radio; ambientazioni ulteriormente romanzate fino a renderle le uniche isole di quella dimensione fluttuante di cui si scriveva poco sopra. Ad occuparsi di romanzarle sono, è chiaro, fotografia e regia. Superba la prima, superba la seconda. I movimenti di macchina sono il mezzo principale attraverso cui la narrazione prende corpo, ancor più della narrazione stessa affidata ai protagonisti chiamati a raccontare il caso. Diegesi e regia si fondono in codici unici e anche qui la sinergia fra i due mezzi è impeccabile, non una sbavatura, non un'incertezza. Nulla.
Si ipotizzava, come mezzo per intenderci, il caso in cui un aspetto non fosse riuscito come gli altri. Si ipotizzava come gli altri avrebbero sopperito senza problemi. Ora allontaniamoci dall'ipotetico e torniamo alla realtà, e cioè al fatto che nessuna delle colonne portanti dell'opera ha cedimenti di sorta. Nessuno degli aspetti riesce ad essere meno perfetto di altri. Il dialogo fra gli stessi è perfetto anch'esso, sembra che parlino tutti la stessa lingua, e che ognuno le parli tutte. Il risultato è clamoroso. E la cosa quasi ridicola è che si sta parlando in toni così entusiastici senza ancora aver menzionato gli aspetti forse più importanti, ossia sceneggiatura e personaggi. Non scriverò della prima, finirei per raccontarla e sminuirla, bisogna viverla, ma due parole su Marty e Rust vanno spese. Scritti da Dio questi due detective, umani, vivi. L'uno l'opposto dell'altro, il primo è il ritratto della media umana il secondo è il ritratto di un borderline. Entrambi alla deriva, ma in oceani differenti. Uno se ne rende conto solo fino ad un certo punto volgendo spesso lo sguardo altrove, l'altro in quella deriva distruttiva sembra aver trovato la sua dimensione, non preoccupandosi di perdere un pezzo di sé lungo ogni sentiero percorso. E' stupenda la maniera in cui interagiscono, come faticano a trovare un canale di comunicazione da un oceano all'altro, è stupendo come si ritrovino sulla stessa riva alla fine, malconci ma più vivi di prima, dopo essere strisciati via da una storia maleodorante e nichilista ma quanto mai catartica e intrisa di esistenzialismo. Una frase in chiusura strepitosa, biascicata dal solito Rust, liquefa il cuore e pietrifica il resto del corpo:
“If you ask me, the light is winning”.
Woody Harrelson enorme. Matthew McConaughey enorme. Applausi a scena aperta.
Fottuto capolavoro.