La trama (con parole mie): nell'immaginaria contea californiana sorta attorno alla città di Vinci, l'omicidio di un politico locale sconvolge le vite di tre funzionari di polizia già per conto loro profondamente segnati e tendenti al "lato oscuro". Ani Bezzerides, dura e tagliente, dal complesso rapporto con padre e sorella ed un trauma mai dimenticato sepolto nel passato, Paul Woodrugh, agente della stradale, reduce di guerra che tenta con l'aura da maledetto tutto d'un pezzo di nascondere la sua omosessualità, e Ray Velcoro, padre e marito fallito che ha tentato per tutta la vita di mettere insieme i cocci ed inevitabilmente è finito per sprofondare sempre più, legato a doppio filo al criminale con velleità di pensionamento dell'attività Frank Semyon, che con la compagna Jordan sta cercando di uscire dal giro nel modo più pulito e sicuro possibile.La catena di eventi innescata da quella singola morte condurrà i protagonisti su una strada senza ritorno, fatta di oscurità, sangue, sogni infranti e, chissà, forse anche una speranza.
Tenere fede alla fama è dura, sempre e comunque.
Quando si è numeri dieci, per sfruttare una metafora calcistica, pubblico, addetti ai lavori, allenatori e compagni si aspetteranno sempre e comunque se non la prestazione, quantomeno il numero che giustifichi la maglia che si indossa, quasi fosse d'obbligo per i suddetti dieci garantire qualcosa di unico, magico, indimenticabile: e da un certo punto di vista è anche vero, perchè, per citare Will Hunting, ognuno ha il suo ruolo, e così come il gregario garantisce la presenza e la copertura, il protagonista finisce per avere, volente o nolente, il dovere di portare il testimone, fare quel passo oltre che nessun altro farebbe al suo posto.
Per il Cinema e le serie televisive si potrebbe azzardare un paragone simile: dunque True detective, celebratissima lo scorso anno grazie ad una resa di livello altissimo sia in termini tecnici che di sceneggiatura, di atmosfere ed attoriali, con questo duemilaquindici si trovava a dover fare i conti con un'eredità pesante alla quale Nic Pizzolatto, creatore della serie, era chiamato a rendere onore.
Il risultato, secondo me piuttosto prevenuto e tipico del popolo dei rosiconi, è stato una sorta di caccia al paragone ed al difetto avvenuto fin dal primo episodio di questa seconda stagione, che ha portato ad una relativa bocciatura della stessa o, quantomeno, ad un impietoso paragone con la precedente.
Certo, il ritmo degli otto episodi trasmessi in questi ultimi due mesi è stato decisamente meno serrato - almeno all'apparenza, considerata la tensione quasi insostenibile del season finale, del numero due e della sparatoria avvenuta più o meno a metà della programmazione -, il livello medio del cast si è abbassato - sarebbe stato difficile reggere il confronto con la coppia devastante McConaughey/Harrelson, soprattutto con un troppo ingessato Vaughn, una spenta Kelly Reilly, un bello senz'anima come Kitsch ed un Colin Farrell non troppo convincente, finendo per fare affidamento all'unica, strepitosa McAdams, che grazie ad un personaggio indimenticabile finisce per apparire affascinante come mai mi è capitato di vederla sullo schermo -, il colpo di scena che ha chiuso il già citato secondo episodio è stato vigliaccamente ritrattato, e l'epilogo, seppur interessante, ha finito per regalare fin troppa speranza poco prima dei titoli di coda, considerato come erano andate le cose fino a quel momento, che lasciavano presagire una vera e propria oscurità senza ritorno e senza ritegno per la chiusura dell'annata.
Eppure, questo True detective 2 è un prodotto potente, cattivo, nerissimo, decisamente più realistico ed umano delle vicende di Rust Cohle e soci: forse proprio per questo, per l'essere così "normale", ha finito per calamitare le antipatie di chi, anche quando sono mascherate da thriller agghiaccianti come la scorsa stagione del prodotto di Pizzolatto, vorrebbe sempre e comunque considerare fiction quello che guarda, qualcosa che, anche nei momenti peggiori, resta comunque al di fuori della realtà.
Le vicende di Woodrugh, Bezzerides e Velcoro, invece, appaiono tremendamente reali, prive del romanticismo e dell'epica delle epopee di finzione, e più che di esplosioni o bassezze sono costellate da toni foschi che paiono ricordare a tutti gli spettatori che non c'è niente di piacevole, di bello o di regalato, e anche quando qualcosa arriva, ci sarà sempre qualcuno pronto a strappartelo, non fosse altro che per soddisfare i suoi istinti predatori: tutto questo senza contare la perizia legata alla messa in scena e alla rappresentazione, degna delle migliori pagine firmate al Cinema da Michael Mann, dalla già citata sparatoria finita in un bagno di sangue nella raffineria di droga e per le strade di Vinci alla lotta nelle catacombe di Woodrugh con gli emissari del misterioso burattinaio dei fatti che mettono in gioco i tre disequilibrati detectives, senza contare il recupero di Bezzerides dalla villa in pieno stile Eyes wide shut alla strepitosa escalation dell'ultimo episodio, tra i più intensi e tesi che ricordi rispetto al piccolo schermo.
Tutto questo senza contare drammi intimi come quelli dei Semyon rispetto alla ricerca di un figlio ed il rapporto tra Velcoro ed il suo erede, tra i più complessi e di pancia tra padre e figlio degli ultimi mesi.
Se, dunque, il prezzo da pagare per questa intensità è una trama che si articola in modo nebuloso e dall'incedere che alterna momenti di calma piatta a vere e proprie rasoiate, ben venga.
La qualità non deve essere giudicata solo per l'apparenza, ma anche e sopratuttto per l'efficacia del risultato.
Altrimenti finiremmo per tramutarci tutti in rosiconi schiavi delle mode e del pettegolezzo, e prima o poi non basterà neppure più essere Rust Cohle che torna a riveder le stelle, per risparmiarsi una pugnalata alle spalle.
MrFord
"The war was lost
the treaty signed
I was not caught
I crossed the line
I was not caught
though many tried
I live among you
well disguised."Leonard Cohen - "Nevermind" -