La Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) divide l’opinione pubblica e la politica, in gran parte disinformati, su rischi e benefici di un trattato riguardante le vite di 820 milioni di persone tra USA e UE.
La TTIP, il trattato commerciale alla base della costituzione della zona di libero scambio più importante della storia, è da tempo al centro dello scontro tra chi la difende perché foriera di effetti benefici per l’economia e l’occupazione europee in crisi, e chi invece cerca di impedirla perché potenzialmente in grado di arrecare danni al sistema europeo innescando una deregulation nell’ambito delle tutele agroalimentari e ambientali per favorire il profitto delle multinazionali statunitensi a danno della sovranità legislativa nazionale ed europea. Intanto il Parlamento Europeo di Strasburgo ha deciso di non decidere, rimandando la discussione sine die.
Storia della TTIP dal 1995 a oggi
La storia della TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) ha radici lontane. Era il 1995 quando il Transatlantic Business Dialogue pose le basi per il lavoro che avrebbe portato alla nascita del Transatlantic Business Council e del Transatlantic Policy Network. Questi gruppi lobbistici e politici si assunsero il compito di esercitare pressioni sui negoziati per la Transatlantic Free Trade Area (TAFTA, ora TTIP), aperti ufficialmente nel 2013, tra Commissione Europea e Stati Uniti. Ora al tavolo, le cui trattative sono segrete, siedono Ignacio Maria Bercero per l’Europa e Dan Mullaney per gli USA. Il trattato si compone di tre sezioni (Accesso al mercato, Cooperazione in ambito normativo e Norme) per un totale di 24 capitoli inerenti ai più svariati campi degli scambi commerciali: agroalimentare, manifattura, servizi, finanza, comunicazione, energia, ecc.
Nelle intenzioni dichiarate dei promotori vi sarebbe la creazione di una zona di libero scambio commerciale che abbatta le barriere (economiche e regolamentari, principalmente queste ultime) che ostacolano il libero mercato tra le due sponde dell’Atlantico, coinvolgendo gli USA e l’Europa a 28 (rappresentanti complessivamente 820 milioni di persone e il 45% del PIL mondiale) in una colossale operazione di omogeneizzazione dei regolamenti. Questo si tradurrebbe, sempre secondo i favorevoli, in vantaggi per entrambe i contraenti in termini di occupazione, PIL e introiti da esportazioni. Si parla, secondo alcuni studi, di 120 miliardi per l’UE e 95 per gli USA, numeri che, se confermati, sarebbero una manna dal cielo per un’economia in ginocchio dal 2008 come quella europea.
La TTIP e i rischi per l’agroalimentare europeo
Se i promotori vendono la TTIP all’opinione pubblica come la panacea per tutti i mali dell’economia occidentale, gli oppositori (migliaia di associazioni di cittadini e consumatori, sia europee che statunitensi, riunite in network nazionali e internazionali) mettono in risalto gli aspetti più critici e controversi del trattato, suscettibili non solo di non arrecare vantaggi ai contraenti, ma anche di danneggiarli (posizione forte di pareri autorevoli come quello del Premio Nobel all’Economia Joseph Stiglitz). Uno dei punti critici, evidenziato dalla trasmissione RAI Report nella puntata del 19 ottobre scorso, è quello che riguarda l’agroalimentare europeo: tutelato fino ad oggi da una legislazione all’avanguardia che impedisce la proliferazione degli OGM e difende il consumatore informandolo attraverso l’etichetta e permettendogli così una scelta alimentare consapevole, con la TTIP rischia di essere sottoposto a un compromesso verso il basso a scapito della qualità e della tutela della salute, reso necessario per conciliare la legislazione in materia alle regolamentazioni meno strigenti vigenti a Washington.
Il compromesso verso il basso aprirebbe un mercato da 500 milioni di consumatori come quello del Vecchio Continente all'”invasione” degli OGM, delle carni prodotte in allevamenti intensivi con l’utilizzo di ormoni e antibiotici, di prodotti la cui provenienza non è indicata sull’etichetta, ecc. L’abbattimento delle barriere non tariffarie promesso dalla TTIP, secondo i detrattori, metterebbe sostanzialmente in discussione le scelte di politica alimentare effettuate dall’Unione fino ad oggi e il modello basato su salubrità e qualità (che finora permette agli Europei di godere di un’aspettativa di vita di quattro anni superiore a quella degli Americani) in favore dell’apertura alla produzione industriale in quantità (adottata dal paese che registra migliaia di decessi all’anno per intossicazione alimentare ed è in cima alle classifiche mondiali per percentuale di popolazione affetta da obesità, il 34%).
Gli esperti lanciano l’allarme: è in pericolo il cosiddetto Principio di Salvaguardia o Precauzione, adottatto dall’Unione Europea per le decisioni in ambito alimentare, chimico, farmaceutico, ecc. Sino ad oggi il minimo dubbio, anche se non sufficientemente corroborato scientificamente, che una sostanza o un metodo produttivo potessero essere causa di danni agli esseri umani, agli animali o all’ambiente, ha permesso all’Europa di vietarne la diffusione, in tutela dei cittadini e dell’integrità ambientale. Negli Stati Uniti, invece, questo principio non è vigente, è qualsiasi sostanza o metodo produttivo può essere adottato legalmente come sano “fino a prova contraria”. Il compromesso al ribasso, cui l’Europa potrebbe decidere di sottostare sotto il ricatto-promessa della ripresa dell’economia, rischierebbe così di mettere a rischio la salute di milioni di persone: tecniche controverse come quelle del fracking, finora bandite da Bruxelles, potrebbero avere campo libero e diffondersi senza alcun ostacolo. Inoltre maggiori controlli qualitativi implicano maggiori costi: un sistema a due velocità, con prodotti europei “supercontrollati” e di qualità (più costosi da produrre e quindi meno economici sui mercati) contrapposti a prodotti industriali statunitensi (poco controllati, più economici da produrre e quindi più concorrenziali a livello di prezzo al consumo), decreterebbe di fatto la scomparsa delle eccellenze europee (per esempio quelle italiane) dal mercato in cambio della colonizzazione economica del Vecchio Continente per mano di Washington. Non a caso il patto è stato definito un “cavallo di Troia” americano per espugnare le resistenze dei mercati europei.
Il deficit democratico della TTIP
Uno dei punti più controversi della TTIP è il meccanismo a cui le imprese potrebbero ricorrere per dirimere le controversie con gli Stati qualora ritenessero che le loro possibilità di profitto siano danneggiate dalla legislazione locale. Una multinazionale potrebbe citare uno Stato in cui opera per presunto danneggiamento della propria attività presso il ISDS (Investor-State Dispute Settlement), un tribunale speciale composto ad hoc da tre giudici (uno nominato da ciascuna parte in causa e il rimanente dai due giudici precedentemente scelti). Questi tre giudici privati si riuniscono a proprio piacimento in luoghi a scelta, senza scadenze fisse, senza mandato democratico e senza alcuna trasparenza, per decisioni di arbitrato internazionale che possono condannare i Paesi a risarcire immediatamente (non c’è appello) le multinazionali per multe astronomiche pagate, in sostanza, dai cittadini.
Oltre all’indiscutibile questione delle multe dal peso insostenibile, il problema evidenziato dagli attivisti contro la TTIP e dai giuristi riguarda la Spada di Damocle incombente sul reale potere legislativo dei singoli Paesi. Esporre ogni Stato al rischio di sanzioni per ogni legge suscettibile di modificare le chance di profitto di un’azienda operante sul suo territorio significa consegnare de facto il potere legislativo alle aziende stesse. Un esempio di questa possibile dinamica è il caso Veolia contro Egitto. L’azienda francese di raccolta rifiuti ha citato in giudizio il governo del Cairo per aver innalzato il reddito minimo nazionale al 120 euro al mese, una misura conquistata con il sangue dai giovani della Primavera Araba e che, danneggiando i profitti di Veolia, rischia di essere cancellata dal tratto di penna di un arbitrato internazionale non democratico. In Europa lo stesso scenario potrebbe ripetersi in relazione alle limitazioni ambientali, sanitarie e lavorative: lo spazio di manovra dei governi sovrani sarebbe ridotto e alla il potere legislativo alla mercé delle multinazionali (americane).
L’Europa decide di non decidere sul TTIP
Martin Schulz. Photo credit: euranet_plus / Foter / CC BY-SA
Un trattato complesso come la TTIP ha sollevato polemiche e legittime richieste di trasparenza per negoziazioni svolte sempre a porte chiuse. L’Europa ha fatto un passo verso i propri cittadini, rendendo pubbliche le linee guida del trattato e le proprie posizioni in merito ad ogni suo capitolo. Ma molto deve essere ancora fatto dai leader coinvolti per convincere i cittadini della bontà dell’iniziativa, se è vero che sono già state raccolte oltre 2 milioni di firme per arrestare la discussione e che gli stessi cittadini americani si sono riuniti in associazione per impedire che i propri standard siano estesi all’Europa.
Intanto a Strasburgo va in scena una forzatura europarlamentare firmata Martin Schulz. Il Presidente della massima assemblea rappresentativa europea, con il pretesto di un cavillo formale previsto dai regolamenti (la presentazione di troppi emendamenti), propone di votare per rimandare sine die la discussione della TTIP, in calendario il 10 giugno scorso. La proposta passa per 183 a 181, dimostrando quanto il Parlamento sia diviso sulla questione. L’accaduto è una mezza vittoria e una mezza sconfitta per tutti: i favorevoli, capitanati dal Commissario al commercio dell’Unione Europea Cecilia Malmström, evitano le imboscate dei franchi tiratori in sede di voto (il partito S&D è molto diviso), ma perdono tempo che l’opposizione potrà sfruttare per sensibilizzare l’opinione pubblica; i contrari ottengono la plastica dimostrazione delle divisioni del fronte del Sì, ma perdono allo stesso tempo un’occasione per discutere il provvedimento nel merito e a viso aperto. Insomma, l’Europa è più divisa che mai: difficile, per l’ennesima volta, trovarne il numero di telefono di kissingeriana memoria.
TTIP: cui prodest?
È opinione diffusa che la mossa americana sia tesa a salvaguardare il dominio del dollaro statunitense sull’economia mondiale, in risposta alla crescita esponenziale della Cina che promette di minarne il primato nel medio-lungo periodo. E nonostante le ripetute rassicurazioni, risulta difficile credere che Washington apra il proprio mercato alle merci qualitativamente superiori degli Europei senza una equa contropartita (leggi abbassamento degli standard per permettere alle loro merci di conquistare l’Europa). Intanto, in attesa del decimo round di contrattazioni che si svolgerà a Bruxelles tra circa un mese, Barack Obama e Angela Merkel, dal G7 in Baviera, spingono per la conclusione dei negoziati entro il 2015, mentre il Congresso americano boccia il piano dello stesso Obama per accelerare la discussione di un trattato analogo (TPP, Trans-Pacific Partnership) che vede impegnati gli Stati Uniti sul versante dei partner nell’Oceano Pacifico.