Tubular Bells

Creato il 16 febbraio 2011 da Zambo

All’inizio dell’estate del 1973, in piena epoca progressive, esordiva negli UK una nuova etichetta discografica, la Virgin Records, ad opera di un importatore di dischi di elettronica tedesca, Caroline Records. Il primo LP della Virgin si intitolava Tubular Bells, ad opera di un musicista sconosciuto che aveva a lungo proposto ad altre case discografiche la sua idea di una lunga suite musicale strumentale dai toni bucolici, romantici e folcloristici. A dispetto della apparente non commercialità (era composto da due lunghe suite di venti minuti) il disco cominciò a vendere molto bene fino ad arrivare rapidamente sull’onda del passaparola (ma anche delle programmazioni radiofoniche) da stato di cult a primo in classifica. Restò in vetta alle classifiche britanniche per un anno, fino ad essere scalzato dal primo posto dal secondo disco di Mike Oldfield, Hergest Ridge, e riprendere qualche settimana dopo la prima posizione. Fece del patron della Virgin un uomo ricco e di Oldfield un musicista molto famoso ed amato, anche se l’enorme successo di allora lo ha reso paradossalmente più snobbato dai critici nei decenni a venire. Se non avessero venduto a livello di rockstar, i primi tre dischi di Mike Oldfield verrebbero probabilmente ricordati oggi dai critici come i lavori di Ravel o Debussy. Qui ne raccontiamo la loro storia.

Oldfield è nato artista, se già da adolescente, alla fine degli anni sessanta, aveva messo assieme una folk band con la sorella Sally, i Sallyange, con tanto di contratto discografico (per la Transatlantic) e di un disco pubblicato. Si racconta che nel corso dei loro show già impostassero medley di melodie folk della durata di un quarto d’ora. Un destino già scritto quello di Tubular Bells. Nel 1970 divenne il bassista dei Whole World, la band di Kevin Ayers, che a sua volta era stato il cantante ed il bassista dei Soft Machine psichedelici dell’UFO club, i concorrenti dei Pink Floyd di Syd Barrett. Nella band Oldfield conobbe David Bedford, tastierista e compositore che fu strumentale nell’incoraggiarlo a concepire una sinfonia moderna ispirata all’ascolto di A Rainbow In Curved Air di Terry Riley. Oldfield non era tagliato per lavorare in una band: molto timido, soffriva di paura del palcoscenico ed era certamente la persona più lontana che si possa immaginare dallo stereotipo del musicista rock. Vittima di attacchi di panico sul palco, tornò a vivere a casa dei genitori, dove ascoltava musicisti contemporanei come Sibelius e Bela Bartok, e dove prese a concepire una propria composizione originale per cui immaginava il titolo di Opus One. Ispirato dall’ascolto di Riley, cercò (e trovò) al pianoforte quella sequenza ripetitiva di note da ripetere all’infinito che avrebbe costituito il famoso intro del suo lavoro più famoso. Su un semplice registratore B&O prestatogli da Ayers, iniziò a sovrapporre chitarre e pianoforte per registrare su una cassetta i passaggi del futuro Tubular Bells. Racconta Mike che per tutto il resto della propria vita avrebbe inutilmente cercato di reinventare qualche cosa di simile a quella sequenza di note che allora gli riuscì in modo così naturale. Oldfield propose inutilmente quel demo a CBS, Harvest EMI e Pye prima di arrendersi e continuare il suo lavoro occasionale di session man. Lavoro che lo portò a suonare il basso nel nuovo studio di registrazione di Richard Branson, dove ebbe modo di far ascoltare una volta di più il proprio nastro. Branson aveva in progetto di fondare un’etichetta discografica e l’idea di Oldfield gli parve adatta per l’esordio di una label sperimentale. La sala di registrazione del Manor era prenotata dalla Bonzo Dog Band, e ad Oldfield fu concesso l’uso del suo registratore a 16 piste nelle ore libere, principalmente nelle ore notturne. Oldfield utilizzò quelle ore per reincidere in modo professionale il demo di Opus One, sovraincidendo uno strumento sull’altro: piano, chitarre, chitarra elettrica, altri strumenti a corda, con qualche aiuto esterno come il basso di Lindsay Cooper degli Strawbs. Per il gran finale, su un ritmo ripetitivo di basso, ebbe l’idea di aggiungere degli strumenti in assolo uno alla volta, facendoli introdurre dalla voce di Vivian Stanshall, che era presente in studio. Nello studio c’erano anche delle campane tubulari usate da John Cale, che pure stava registrando, e Mike decise di utilizzarle come strumento conclusivo percuotendole con un martello, introdotte da Vivian dalla famosa frase “plus Tubular Bells!”. La suggestione di quell’indimenticabile crescendo avrebbe cambiato al disco il titolo da Opus One a Tubular Bells. La prima facciata del disco era pronta, la seconda fu più o meno rapidamente improvvisata nel resto delle session notturne, ed il disco fu concluso utilizzando un pezzo folk, The Sailor’s Hornpipe, che Mike utilizzava come assolo di chitarra nei concerti con i Whole World.

Tubular Bells fu stampato come il primo disco della Virgin Records, numero di catalogo V 2001. A dispetto dei pareri tiepidi e negativi che l’idea aveva incontrato fra gli addetti ai lavori durante la sua gestazione, il disco sollevò un immediato entusiasmo fra tutti coloro che lo ascoltavano. Ricordo nitidamente la prima volta che lo ascoltai io, con un gruppo di altri teen-ager sulla moquette di una casa di periferia di una cittadina della costa dell’Inghilterra del sud. Fu un’esperienza da togliere il fiato: mai ascoltato niente del genere prima di allora. Innanzi tutto l’arrangiamento era assolutamente originale: invece della solita formazione tastiere chitarre basso batteria, c’era una intera orchestra di strumenti a corda soprattutto acustici, ma anche pianoforte e chitarra elettrici che si sovrapponevano a strati a creare queste evocative melodie romantiche, dolci, tenui, struggenti, con echi di folklore britannico ed irlandese. La musica allora sembrava straordinariamente complessa e profonda; in realtà ascoltata adesso si rivela piuttosto elementare, gli strumenti sovrapposti non erano probabilmente più di venti, ma prima di allora non si era mai registrato nulla del genere. E poi tanto la lunga ipnotica introduzione, quella della ripetizione della melodia del piano, quanto il gran finale della prima parte, quella del giro di basso, sono semplicemente deliziose. Ascoltare il disco significava comprarlo, e questo valeva tanto per il sofisticato fruitore della musica progressiva dei Gentle Giant o dei Soft Machine, quanto per l’ascoltatore occasionale di Bee Gees, tanto era orecchiabile la melodia. Non solo, ma Branson non lasciò nulla di intentato per accrescere la popolarità del proprio protetto, compresi una riduzione del disco in un singolo a 45 giri ed un concerto dal vivo osteggiato dal timidissimo Oldfield (che in futuro si farà sostituire sul palco da Steve Hillage). Il disco fu utilizzato anche nella colonna sonora di un film molto popolare, L’Esorcista. Rimase nelle classifiche inglesi per la bellezza di 264 settimane, ed andò in testa a tutte quelle europee ed americane, cambiando per sempre la vita di Mike Oldfield ma anche di Richard Branson.

Quello che Oldfield fece nel periodo dell’impensabile successo di Tubular Bells fu… nascondersi. Quando fu chiaro che avrebbe guadagnato abbastanza da poterselo permettere si mise a cercare una casa in campagna. La trovò nello Herefordshire, ai confini del Galles, lungo una catena di colline chiamate Black Mountains; una grande casa colonica di colore bianco con un cartello “vendesi” ai piedi di una incombente collina chiamata Hergest Ridge. In questa casa, chiamata The Beacon, sfornita di ogni comodità (non era dotata neppure di un riscaldamento ma solo di un grande camino) Oldfield realizzò il suo buen ritiro. Sofferente di attacchi di panico, Mike passava e giornate a far volare modellini di aereoplano sulle colline e le serate a mangiare al pub di Kington, dove suonava pezzi folk (che avrebbe in seguito registrato) con un musicista dal nome di Leslie Penning. La casa fu dotata di una linea telefonica che Branson usava quotidianamente per sollecitare un seguito a Tubular Bells. Alla fine al Beacon arrivarono strumenti di ogni genere su cui Oldfield cominciò a provare temi musicali ispirati alla atmosfera bucolica di cui era impregnata l’atmosfera. Quando ebba raccolto abbastanza materiale convenne di entrare nel Manor per registrare il seguito del suo best seller. Il disco prese il nome da Hergest Ridge, la collina alla cui ombra la musica era stata ispirata, e rivelò un’anima diversa dal predecessore: non c’era un tema musicale dominante, ma una sinfonica atmosfera pastorale e bucolica, esaltata anche da una tecnica di registrazione più sofisticata, con dozzine e dozzine di sovraincisioni (in un bellissimo intermezzo elettrico che costituisce lo zenit del lavoro, si parla addirittura di un sovrapporsi di un centinaio di chitarre). Oldfield era impaurito dall’idea di dover dimostrare di essere capace di dare un seguito al suo grande successo, così che quando il disco uscì, salendo immediatamente al primo posto della classifica per esserne scalzato dopo qualche settimana proprio dal vecchio Tubular Bells, fra recensioni positive ma tutto sommato tiepide, le sue paure sembrarono materializzarsi. Al contrario Hergest Ridge ha sostenuto benissimo l’attacco del tempo, meglio del suo illustre predecessore. Non ha la stoffa del best seller proprio perché non è un disco particolarmente orecchiabile ma al contrario una straordinaria sinfonia dolce e romantica, ricca di emozioni, di pace e di tranquillità. L’incarnazione musicale della collina di Hergest Ridge e della casa The Beacon.

Branson ottenne da Oldfield la realizzazione di una versione orchestrale di Tubular Bells arrangiata dal vecchio amico David Bedford, da portare in concerto, con Steve Hillage alla chitarra. Oldfield non volle saperne di parteciparne, ma si buttò con rinnovata energia alla preparazione del nuovo lavoro, Ommadawn, che avrebbe preparato con precisione maniacale sotto il proprio totale controllo. Scrisse come per Tubular Bells delle melodie accattivanti e si fece montare al Beacon lo studio di registrazione del Virgin Mobile e portare tutti gli strumenti necessari alla realizzazione (le fotografie della copertina lo testimoniano). Per il nuovo disco rinunciò agli echi sinfonici per inventare un nuovo stile, un cross over di musica della terra che negli anni a venire di sarebbe chiamata World, mischiando a fiati irlandesi e cori femminili, chitarre elettriche e percussioni africane (quelle della band Jabula che avevano un contratto per Virgin) fino a sintetizzatori per le texture degli sfondi sonori. I collaboratori furono molti, fra cui anche un’incisione “buona la prima” di Paddy Maloney. A conclusione fu messo un gioviale brano cantato, On Horseback, che Mike aveva scritto nel corso delle sue passeggiate a cavallo sotto l’Hergest Ridge.

Al contrario di Hergest Ridge, Ommadawn risultò un disco asciutto e compatto, muscoloso, molto lucido e a fuoco, con strumenti precisi ed essenziali che vanno dritti allo scopo. La melodia cattura l’orecchio e viene trascinata nel maelstrom della sequenza ritmica come mai prima di allora. All’uscita nel 1975 il disco ebbe effettivamente un grande impatto sul pubblico e sulla critica, e solo l’enorme massa di vendita di Tubular Bells gli impedì di esserne commercialmente alla pari.

Con quella trilogia Mike Oldfield diede al mondo dell’arte e della musica tutto ciò che era capace di dare, esprimendo il 100% della propria creatività. Registrò ancora molti dischi, scrisse pezzi commerciali, entrò di nuovo in classifica ed ebbe ancora successo, ma senza mai aggiungere qualche cosa di memorabile o anche solo di notevole al proprio lavoro. Con la trilogia aveva realizzato il proprio TAO musicale e poteva solo ripetersi. Branson insistette a lungo per una riedizione di Tubular Bells per la Virgin Records, venendogli in odio e logorando i loro rapporti personali, al punto che quando alla fine del contratto Oldfield firmò con Warner, il suo primo lavoro fu proprio il Tubular Bells II che aveva sempre voluto negare a Virgin. Straordinariamente, per questo genere di cose, il risultato non fu affatto un fiasco: Tubular Bells II era un rifacimento dettato dall’amore, una riscrittura con il senno di poi in chiave più moderna, new age si disse di quei tempi. In effetti il rifacimento costituì un miglioramento del capolavoro originale. Ma i tempi erano cambiati e nonostante una buona accoglienza non fu in grado di ripeterne il successo mediatico e commerciale. Credo che oggi TBII non sia neanche reperibile sul mercato, ma invito chi apprezza Oldfield ad ascoltarlo perché costituisce davvero un miglioramento rispetto all’originale. Tubular Bells tornò ancora più volte ad incrociare la vita artistica del musicista, sempre più avara di ispirazione, fino a diventare un tormentone, con una versione addirittura dance (ispirata ad un ritiro a Ibiza) ed altri remake che ho smesso di voler ascoltare.

Proprio a causa del suo enorme successo e forse del carattere schivo, Oldfield oggi è un dimenticato, dalla critica e dal pubblico; ma sarebbe davvero un peccato se qualcuno che ama la musica del XX secolo decidesse di poter fare a meno di conoscere i suoi, qui narrati, capolavori.

Perché si tratta di musica vera. I primi tre dischi sono stati rimasterizzati con l’aggiunta dei gustosi brani folk che a Mike piaceva suonare con musicisti come Leslie Penning.

Tubular Bells (Virgin 1973) ★★★★★

Hergest Ridge (Virgin 1974) ★★★★★

Ommadawn (Virgin 1975) ★★★★★

Tubular Bells II (Warner Bros 1992) ★★★★★

Se dovessi consigliare che disco ascoltare di Mike Oldfield ad un ascoltatore del XXI secolo che non conosce il suo lavoro, direi Ommadawn. A seguire gli altri.


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