Tullio Avoledo. Intervista
Le radici del cielo. Metro 2033 Universe
a cura di Iannozzi Giuseppe aka King Lear
Multiplayer.it libri
1. Come sei entrato in contatto con Metro 2033 universe?
Non sulla pagina ma sullo schermo, giocando al videogame ispirato al romanzo. Sono un gamer piuttosto sofistico, per cui sono pochissimi i giochi che mi catturano davvero. Metro 2033 c’è riuscito, sia per la complessità della trama che per il realismo delle meccaniche di gioco. Mio figlio invece aveva anche letto il libro. Quando ho saputo che Glukhovsky sarebbe venuto a Torino al Salone del Libro ho chiesto al suo editore, Multiplayer.it, se poteva combinarmi un incontro con lui. Senza sapere che un giorno Multiplayer.it sarebbe diventato uno dei miei editori…
Tra un impegno e l’altro siamo riusciti a parlare per una mezz’ora, ed è stato durante quell’incontro che Dmitry mi ha proposto il progetto Metro 2033. Sul momento non gli ho detto né sì né no, dato che avevo in cantiere il romanzo con Boosta. Poi, quando mi sono sentito un po’ meno preso e Dmitry si è rifatto vivo, ho accettato di arruolarmi nella sua squadra. Il nostro obiettivo è la conquista del mondo, o eventuali obiettivi più interessanti che dovessero presentarcisi strada facendo.
Direi di sì. Opere come L’undicesimo comandamento, Guerra al grande nulla, Un cantico per Leibowitz, Una rosa per l’Ecclesiaste o Deus Irae, per non dire di tutti gli ultimi romanzi di Philip Dick, sono storie religiose tout court, credo. Il solo fatto che il genere narrativo usato per trattarle sia quello fantastico non ne altera la natura. Chi più di uno scrittore di fantascienza può accostarsi al regno delle ipotesi e dei paradossi che è la religione? Mi sembra una cosa del tutto naturale. Com’è naturale che uno scrittore italiano di una certa età non possa trascurare l’aspetto religioso, quando tratta un tema come la fine del mondo. Su questo io e Dmitry ci siamo trovati subito in perfetta sintonia.
3. Per sopravvivere gli uomini, che sono scampati all’olocausto, sono costretti a rintanarsi sottoterra. Non è la prima volta che la fantascienza propone ai lettori visioni apocalittiche in merito a un possibile dopo bomba. Metro 2033 universe quanto è diverso da Dr. Bloodmoney, or How We Got Along After the Bomb, romanzo degli anni Sessanta di Philip K. Dick?
La nostra visione dell’apocalisse nucleare è inevitabilmente più cupa di quella degli anni Sessanta. La nostra percezione prospettica dei danni che un evento simile porterebbe non solo all’umanità ma all’intero pianeta è più precisa, e quindi più pessimista, di quella di un tempo. Abbiamo capito che l’Uomo così come lo intendiamo non può sopravvivere, né esteriormente né interiormente, alla Bomba. Un libro e un film come La strada sono esemplari, in questo senso.
4. Oggi si scrive molta più fantascienza apocalittica rispetto a ieri. Come te lo spieghi? Siamo alle soglie del 2012: una profezia dei Maya ci assicura che il mondo avrà termine. Solo fantasia?
Lasciamo i Maya a Giacobbo, please. Diciamo che è venuta meno la fiducia nel futuro. Sappiamo che le fonti energetiche tradizionali stanno finendo, ad esempio, e mentre un tempo si poteva immaginare uno scienziato indipendente che nel suo piccolo laboratorio domestico scopre il modo di salvare l’umanità, ora quella speranza è finita: se quello scienziato esistesse, lavorerebbe nel cuore segreto di una multinazionale, e le sue idee non vedrebbero la luce del sole fino al momento in cui i suoi padroni non pensino che è l’ora di vendere al mondo il miracolo (magari avvenuto dieci anni prima…). In alternativa, se non fosse “addomesticabile”, potrebbe finire i suoi giorni con un misterioso suicidio, o in un incidente stradale…
5. Ne “Le radici del cielo” porti al lettore la visione del Nuovo Vaticano, che è tutt’altro che cristiano, molto lontano da quelli che furono gli insegnamenti di quell’uomo che si chiamava Gesù e che diceva d’esser figlio di Dio. Non temi che qualche fondamentalista cattolico possa rimaner turbato o inorridito?
Se un lettore non rimane inorridito dalla chiesa di oggi mi aspetto che possa scandalizzarsi del mio romanzo, sì.
6. La poca umanità che è sopravvissuta non disdegna l’antropofagia, nel tentativo, forse vano, di avere ancora un futuro. I sopravvissuti mangiano i propri morti, e in alcuni casi allevano, in quelle che sono delle vere e proprie fattorie, degli “storpi” affinché contribuiscano al fabbisogno di cibo della civiltà! Un’immagine apocalittica, ma neanche poi troppo. In situazioni estreme l’uomo è già arrivato a mangiare la carne del proprio prossimo, e in alcune culture il cannibalismo è una pratica importante per trasmettere delle virtù dal morto al vivo, ma anche per esorcizzare lo spirito del morto. Il cannibalismo che è “Ne le radici del cielo” è dettato da una semplice quanto crudele necessità, o c’è dell’altro?
Ci sono almeno due chiavi di lettura per la mia scelta di introdurre l’antropofagia nel romanzo. La prima è che in una società che riduce tutto a merce e consumo, l’abiezione suprema è consumare l’uomo, considerarlo cibo. E’ una delle mie fobie, quella del cannibalismo. Su un piano un po’ più elevato, possiamo anche parlare della comunione dei corpi, della transustanziazione e di altre amenità, ma per me il cannibalismo rappresenta il nadir della razza umana, perfetto per esemplificare la discesa negli abissi del dopobomba.
7. John Daniels è incaricato dal Nuovo Vaticano di portare a termine una missione, forse fatale. Ad accompagnarlo un manipolo di uomini, delle improbabili Guardie Svizzere. John Daniels, pur essendo uomo di Chiesa, non sa a quale Dio votarsi. Spesse volte si sente un ipocrita, ciò non ostante cerca in tutti i modi di portare a buon fine la missione che il Nuovo Vaticano gli ha affidato. Padre Daniels è l’incarnazione dell’uomo messo di fronte ai dubbi della Fede? E’ solo questo?
E’ un uomo che ascolta ed è disposto a imparare. E’ un uomo che deve temprare la sua fede nel fuoco della realtà, e non opporre la fede alla realtà come uno scudo. La fede di padre Daniels è un tessuto cicatriziale, non una corazza. Alla fine del romanzo è ancora incerto sulla via da seguire, ma continuerà a cercarla, anche a costo del sacrificio di sé. Ha la fede dei martiri, non quella dei predicatori o degli inquisitori, come Gottschalk.
8. Fuori dai sotterranei, dalle catacombe dove i sopravvissuti si sono rifugiati, c’è un mondo radioattivo che, bene o male, ha dato vita a delle creature ben strane, forse intelligenti; sono esse, forse, una razza nuova che in breve sarà chiamata a ripopolare il pianeta Terra diventato invivibile per gli uomini. Se un giorno una catastrofe atomica dovesse scrivere la parola FINE sul genere umano, pensi (sul serio) che delle nuove creature viventi potrebbero prendere il posto del genere umano?
Sicuramente. La vita tende all’autoconservazione, quindi finché avrà spazio e modo per farlo continuerà a lottare per adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente. Una delle mie perplessità nei confronti dell’opera di Glukhovsky era quella del brevissimo intervallo di tempo – vent’anni – tra l’Armageddon e il mondo che descrive. Vent’anni sono troppo pochi per giustificare le mutazioni che descrive. Ho cercato di introdurre alcuni semi di possibili spiegazioni razionali, ma senza calcare troppo sul punto. Anche perché la fantasia ha i suoi diritti, no? Comunque ci sono molti libri, anche illustrati, che descrivono come potrebbe essere un’ipotetica vita sulla Terra dopo la scomparsa dell’uomo. Affascinanti. Terribili.
9. Nel famosissimo manga Hokuto no Ken (1983) di Tetsuo Hara e Buronson, il mondo è stato vittima dell’Atomica. I sopravvissuti sono pochi e la Terra è perlopiù un deserto. Tuttavia ci sono alcuni uomini dotati d’una forza straordinaria, come Ken, chiamato a riportare la pace: il suo scopo è quello di metter fine alle angherie dei prepotenti grazie alla benefica partecipazione dell’Orsa Maggiore. Ne “Le radici del cielo” invece non ci sono eroi superdotati, au contraire semplici uomini armati alla bell’e meglio, come le Guardie Svizzere il cui compito è quello di scortare Padre Daniels sino a Venezia. Chi sono questi uomini?
Sono mercenari. Gente che considera la missione di padre Daniels come un lavoro. Gente così, che raramente ha avuto un monumento, o una menzione nei libri di storia, ha accompagnato nei loro viaggi Cristoforo Colombo, o Charles Darwin. Sono l’unica forza, oltre alla Fede, che permette a un uomo inizialmente incapace di difendersi come padre Daniels di arrivare vivo a Venezia. Coi loro dubbi e i loro difetti sono i veri eroi del romanzo.
10. Oltre a indossare la maschera antigas, come ti sei preparato per scrivere questo spin-off? La fantasia non ti manca di certo, ma oltre ad aver letto l’opera di Dmitry Glukhovsky, hai compulsato qualche altro libro?
Un sacco di libri sulle catacombe, qualche manuale sulle armi, e uno straordinario volumone su Venezia, che conteneva tra l’altro una mappa delle sue cisterne sotterranee. E’ stato proprio quel libro, regalatomi qualche anno fa da un fan, a spingermi a utilizzare Venezia come scenario per la seconda parte del romanzo.
11. La fan-fiction. Sopravvivono ancor oggi dei pregiudizi? Parrebbe di sì. Vorresti spiegare tu che cos’è la fan-fiction?
Non ne ho idea. Veramente.
12. In che stato versa la fantascienza italiana? Mi pare che tu sia uno dei pochissimi autori italiani ben considerato e dal pubblico e dalla critica, anche dalla più ostinata e schifiltosa. Qual è dunque il tuo segreto?
Non lo so. Forse il divertimento che provo nello scrivere, e che magari si riflette nella scrittura. Dovresti chiederlo ai critici. E ai lettori. Comunque Metro 2033 – Le radici del cielo ha avuto pochissime recensioni dalla critica. In compenso non sono mancati gli apprezzamenti in rete, ed erano quelli che mi aspettavo, per questo genere di opera. Ora rimango in attesa del giudizio del pubblico russo, che leggerà il romanzo a febbraio. Per me è quello, l’esame vero da passare: il giudizio dei fan di Glukhovsky.
13. Se la profezia dei Maya non dovesse avverarsi, quali sono i tuoi progetti per il futuro? Puoi fornire ai gentili lettori qualche appetitosa anticipazione?
Sto lavorando a un noir ambientato in un’Italia “parallela” divisa da tempo in tre parti. Per ora sono a un quarto del lavoro e continuo a divertirmi. Il personaggio è un ispettore di polizia tutt’altro che esemplare chiamato a investigare su un furto d’opere d’arte in una remota località del Friuli. Quello che non sa è che la sua indagine lo porterà a scoperchiare trame molto più grandi di lui. Sembra sia un po’ il destino di tutti i miei personaggi. Credo che ci penserei due volte, prima di entrare nel casting di un mio libro…
Se il mio investigatore dovesse piacere, penso di dedicargli prima o poi altri due libri, in modo da averne uno per ogni parte di questa Italia divisa.
Poi ho in mente una storia breve e molto romantica, una storia di sentimenti, tutt’altro che banale: l’addio alla vita di un giovane architetto la cui invenzione ha rivoluzionato il mondo ma a cui nulla può salvare la vita. E ci sarà spazio anche per Egon Schiele, un artista che non mi rassegno a veder morire così giovane…
Tra gli altri progetti per il futuro c’è anche quello di concedermi qualche viaggio culturale all’estero, con la mia famiglia. Ultimamente la letteratura si è presa un po’ troppo tempo della nostra vita.
Note sull’autore, Tullio Avoledo:
Con il suo romanzo d’esordio, L’elenco telefonico di Atlantide (gennaio 2003) pubblicato da Sironi, ha ottenuto un lusinghiero successo di critica e di pubblico e vinto il premio «Forte Village Montblanc – scrittore emergente dell’anno».
Nel novembre 2003 viene pubblicato il suo secondo titolo, Mare di Bering (Sironi) e nel 2005 i due romanzi Lo stato dell’unione (Sironi) e Tre sono le cose misteriose (Einaudi), Premio Super Grinzane Cavour 2006 e finalista, nello stesso anno, al Premio Stresa. Nel marzo del 2007 è stato pubblicato il suo quinto romanzo: Breve storia di lunghi tradimenti (Einaudi), Premio Letterario Castiglioncello-Costa degli Etruschi e Premio “Latisana per il Nord-Est”. Suoi racconti appaiono in antologie pubblicate da Guanda e da Mondadori. Per Guanda, ne I delitti in provincia appare il racconto La traccia del serpente sulla roccia. Il suo sesto romanzo, La ragazza di Vajont, è uscito per Einaudi nel giugno del 2008. È la storia di un amore impossibile, sullo sfondo apocalittico di un Nord-Est “parallelo” tormentato da una guerra civile e dai fantasmi della pulizia etnica. A settembre 2008 è stato pubblicato nella collana “VerdeNero” delle edizioni Ambiente il romanzo breve L’ultimo giorno felice (Premio “Tracce di Territorio”, Pavia), che narra la crisi esistenziale di un architetto cinquantenne coinvolto nella ecomafia delle discariche friulane.
Il 10 novembre 2009 è uscito per Einaudi il romanzo L’anno dei dodici inverni, finalista al Premio Stresa e vincitore del Premio dei Lettori di Lucca 2010.
Il 31 maggio 2011 è uscito per Einaudi Stile Libero il romanzo Un buon posto per morire, un thriller scritto a quattro mani con Davide Boosta Dileo, tastierista del gruppo Subsonica.
Guarda la videointervista a Tullio Avoledo di Alessandra Casella per Booksweb.tv
Leggi la prefazione scritta da Dmtry Glukhovsky
Le radici del cielo. Metro 2033 Universe – Tullio Avoledo – Multiplayer.it Edizioni – pagine 416 – EAN: 9788863551693 – € 19,00
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